Pensieri neri

Dalla rubrica  info/psiche lui, Io Donna, allegato al Corriere della Sera, 22/11/03. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

Il ricordo di un'adolescenza solitaria, oppressa dai genitori, può farsi sentire per molto tempo. Con momenti di angoscia che bisogna imparare a controllare.

"Ho trentacinque anni, di solito sono coraggioso, determinato, desideroso di vivere. Ho qualche soddisfazione professionale, e diverse amicizie. A volte però, la mia mente si blocca, e si riempie di pensieri angosciosi. Come il timore di essere punito pesantemente per qualche errore fatto, professionale, o di comportamento. Mi rivedo allora solo, coi genitori che non capivano l’ importanza per me di cercare nuovi amici nell'età della scuola superiore, e lo proibivano. Diventare adulto è stato un percorso inutilmente doloroso e troppo solitario. Vorrei liberarmi di queste cupezze sterili, che tuttavia mi pare di aver imparato a controllare meglio. Mi chiedo se tale esperienza é normale, e destinata a dissolversi, o devo preoccuparmi. Mentre le scrivo questa lettera mi  sento disteso e sereno. Lettera firmata, Padova

 

Caro amico: lei si sente disteso e sereno scrivendo questa lettera perché ha bisogno di "vuotare il sacco" sulla sua storia di pesante solitudine. Nella quale, naturalmente, un ruolo centrale è occupato dalla segregazione in cui l'hanno costretta i suoi genitori, impedendole di sviluppare le sue amicizie proprio quando occorreva, gli anni dell'adolescenza. L' aspetto affettivo, e quello istintivo della vita relazionale si sviluppa, dalla pubertà in poi nelle relazioni che il ragazzo stabilisce al di fuori della famiglia. Proibirle crea, nel migliore dei casi, delle insicurezze profonde che poi tendono a riemergere, come nei suoi momenti di angoscia. Le "cattive compagnie" vanno evitate occupandosi a fondo, e sviluppando, la vita sociale dei figli, non proibendola. Nel caso del maschio poi, l'esperienza non solo della compagnia, ma possibilmente anche della "banda", composta di altri ragazzi, impegnati in attività fisiche (come i gruppi scout, quelli alpinistici, e sportivi di vario tipo), o creative (come i gruppi musicali), offre occasioni di comunicazione e rispecchiamento molto utili, anche dal punto di vista dell'identità e della cultura (anche istintuale) del proprio genere. Un'esperienza, questa, fondamentale in tempi di latitanza e sbiadimento della figura paterna, generalmente assorbita dal lavoro, quando non allontanata da casa dalla rottura della coppia genitoriale. Nel suo caso poi, come lei mi racconta in altre parti della sua lettera, alla solitudine adolescenziale si è aggiunta la difficile esperienza del "precedente posto di lavoro, dove fui oggetto di una vera persecuzione morale, che dopo anni dalle mie dimissioni ancora mi brucia". Un episodio sofferto, che ha in parte riaperto le insicurezze di relazione che si erano radicate in quell'adolescenza, come lei dice, "troppo solitaria". Tuttavia, anche se in quei momenti malinconici fatica a vederli, lei sa bene che ci sono anche "gli aspetti belli della mia vita i divertimenti, i bei viaggi, le soddisfazioni, ed anche un amore intenso, durato più di cinque anni". Tutte queste belle cose, ed altre che occuperanno il suo futuro, le ha realizzate lei, e questo ci dice che quelle sofferenze affettive adolescenziali non hanno tuttavia intaccato la sua positività e voglia di vivere. Come conferma la sua impressione di controllare via via sempre meglio questi momenti. E' necessario però, da adulti, "registrare", la gravità dei torti subiti, senza rimuoverla, ma anche senza crogiolarsi nel dispiacere e nel rancore. Lasciandosi, dunque, l'adolescenza alle spalle: un'esperienza verso la quale la nostra psiche è, di solito, a lungo ambivalente. Come spiega il ricorrere, a lungo, delle riflessioni cupe sul passato.

Claudio Risé

   

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