Il padre e le regole   

Dalla rubrica  "Psiche lui" di Claudio Risé, in Io Donna, allegato al "Corriere della Sera", 3/06/06. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

"Ogni volta che rientro a casa mia moglie mi chiede di sgridare i nostri due figli, di 12 e 14 anni, per mancanze  più o meno gravi. Io sono molto rattristato nel dover  vedere i miei figli sono in momenti di conflitto,  mi piacerebbe dare loro il tempo per vuotare il sacco, entrare insomma in uno scambio, prima di attaccare con sentenze e punizioni. Lei invece sostiene che il padre dovrebbe soprattutto affermare norme, e dare regole e disciplina".   Bruno, Torino

Caro amico, la sua difficoltà è ampiamente condivisa. La maggior parte dei padri di oggi fa fatica a distribuire di regole e punizioni. Gran parte di loro ha avuto o padri deboli, che di regole non ne davano affatto, o padri autoritari, che si limitavano a quelle, senza manifestare ai figli disponibilità ad ascoltarli, stima ed affetto. In entrambi i casi, i padri di oggi non hanno né dimestichezza, né simpatia per le regole, le punizioni, ed i comportamenti che le accompagnano. Più che “sorvegliare e punire”, avrebbero una gran voglia di parlare, ed anche scherzare e giocare coi loro figli. Non necessariamente perché siano infantili, ma perché questo aspetto “disciplinare” della paternità non fa di solito parte del loro bagaglio. La difficoltà ad essere dei semplici erogatori di norme e punizioni, deriva anche da una percezione che i padri di oggi hanno, anche se non sempre con chiarezza. Essi si accorgono di non essere più,  per i loro figli, i principali fornitori di norme e principi di comportamento. Molto più penetranti e pervasive delle norme proposte in famiglia sono infatti quelle che arrivano dal sistema delle comunicazioni e dei consumi. Lei mi racconta nella sua lettera della difficoltà di proibire (come sua moglie le chiede), al suo figlio più grande i pantaloni a vita ultrabassa. Lei, infatti, si rende conto che  il ragazzino vivrebbe questo divieto come un ostacolo allo sviluppo della  sua vita  sociale, e come una diminuzione del suo fascino sulle amiche e i compagni, in quanto portatore di un look fuorimoda, che svaluta chi lo adotta. I padri sanno  che con la  norma collettiva, occorre confrontarsi realisticamente, anche perché sono abituati a farlo anche nelle proprie vite, per esempio sul  lavoro. Se l’uomo non cade nel  narcisismo, sa che nella vita occorre obbedire. E se non è paranoico, si rende conto che i figli devono coniugare l’obbedienza alla famiglia con quella alle norme emanate dal sistema delle comunicazioni, che vengono recepite e fatte proprie dal gruppo dei loro pari, dei giovani loro amici. Questi padri, come lei, devono fondare la loro autorevolezza anche sull’aiuto fornito ai figli per metterli in condizioni di distinguere, tra le norme collettive, quali provvisoriamente accettare, e quali rifiutare. Per suscitare la necessaria e forte avversione contro la droga, forse, è necessario transigere sul pantalone basso o strappato. Proibire ciò che è sicuramente dannoso e mediare sul resto. Che vuol anche dire guardare con interesse, e senza pregiudizi, al mondo dei figli. Anche questa è paternità.

Claudio Risé

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