Padre di se stesso  

Dalla rubrica  "Psiche lui" di Claudio Risé, in Io Donna, allegato al "Corriere della Sera", 11/03/06. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

   

 "Ho 44 anni. Ne avevo 2 quando mio padre morì in un incidente. Ho  vissuto intensamente e spericolatamente. L’unica cosa che ha funzionato bene è il lavoro, mi sono fatto da solo! L’immagine, rivista in un video, di me come bambino felice che corre incontrò al papà, ha aperto torrenti di lacrime mai uscite finora. Ora ho un unico  desiderio irrefrenabile: riabbracciare il mio papà. Come però ritrovarlo?" Andrea, Losanna

Caro amico, la sua lettera esprime il  forte bisogno di padre in chi, come lei, l’ha perduto proprio all’inizio della propria vita; che prese l’avvio proprio a partire dal gesto di desiderio compiuto dal genitore. Anche per questo egli rimane poi, per tutta la vita, la figura dell’appartenenza originaria, fondativa della propria identità. La sua assenza produce spesso solitudine, proprio perché, non sapendo bene chi siamo, fatichiamo a costruire una relazione forte con un’altra persona. Anche lei, scrivendomi, si chiede: “chi sono io, qual è la mia strada”? Non a caso, poi, scrive: “sono stato confortato dalla sua frase di un libro sul padre:  “L’uomo non è solo, inconoscibile a se stesso, perché il padre, che lo ha concepito, lo conosce. La solitudine dell’uomo è così spezzata". Lei vorrebbe uscire dalla solitudine delle sue vicende affettive, amaro contraltare della sua riuscita professionale. Per spezzarla, desidera   l’accogliente abbraccio paterno, che ha anche sognato, con un’immagine   luminosa.  Come ritrovarlo, però? Qui occorre fare attenzione. In realtà il padre, oltre ad essere immagine della nostra origine, rimane, per tutta la vita, forza di movimento. Proprio perché è lui che ha “messo in moto” il processo, biologico e psicologico, che ha portato alla  nascita. Quando il genitore è mancato prematuramente, è facile, più tardi, nella solitudine della lotta per l’esistenza, lasciarci inghiottire dalla fantasia un po’sentimentale di riabbracciarlo, di farci accogliere dalla sue braccia. L’uomo che deve essere continuamente “forte”, per sopravvivere, sogna un padre che sia lui forte, e gli consenta finalmente di dare spazio al tenero bimbo dentro di sé, messo a tacere per ragioni di necessità. Si tratta, tuttavia, di un’immagine realizzabile solo sul piano onirico, e simbolico; il che, intendiamoci, è già moltissimo. Non dobbiamo però sviluppare uno sguardo rivolto costantemente all’indietro, magari facendo anche della psicoterapia una sorta di tecnologia di ritrovamento del rapporto col padre fisico, che in realtà non potremo più ritrovare. Occorre, invece, ritrovare e sviluppare in noi stessi la forza di movimento dell’immagine paterna. Ha ragione quindi la sua psicoterapeuta, quando le dice che il miglior modo di ritrovare il padre è diventare noi degli ottimi padri per i nostri figli. Ed è autodistruttivo ed antipaterno che lei si lasci prendere dall’invidia per il suo proprio figlio, che ha un padre, mentre lei non l’ha avuto. Il padre è dono di vita, e si ritrova donandosi. Si dia paternamente al figlio, lo accolga  e tuteli il suo movimento, psicologico e fisico: ritroverà così autenticamente il padre dentro di sé.

Claudio Risé

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