Neppure un giorno con noi        

Dalla rubrica  "Psiche lui" di Claudio Risé, in Io Donna, allegato al "Corriere della Sera", 30/06/07. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

   

"Arrivano le vacanze, e col nostro figlio, unico, cominciano i problemi. Pur volendoci bene e essendo  gentile con me e sua madre, fatica a passare anche un solo giorno da solo con noi. Poiché è  molto sociale ed estroverso, noi l’abbiamo sempre assecondato, invitando amici a casa, inviando lui, moltiplicando campeggi e ogni tipo di iniziative sociali. Tuttavia averlo sempre in condominio con gli amici, senza mai un giorno per noi, è davvero insopportabile".

Pietro

Caro amico, per i ragazzini di oggi il “gruppo dei pari”, i coetanei o quelli che loro comunque riconoscono simili a sé, ha un’importanza probabilmente mai avuta nelle generazioni precedenti. Nelle quali i pari erano già, in genere, preferite a genitori ed adulti, con cui era però ancora aperto uno spazio di comunicazione. Le  esperienze  dei “grandi” erano, almeno in parte, ascoltate e giudicate interessanti, qualche viaggio con loro conservava un’attrazione  (se non altro per le comodità, le maggiori distanze consentite, le cose viste, a volte più “pericolose”, e quindi interessanti di quelle accessibili nei gruppi dei pari), il mondo dei loro amici, e amiche, era guardato con curiosità. Oggi questa “attrattiva adulta” è grandemente diminuita. Innanzitutto perché le comunicazioni fra pari sono enormemente aumentate, arrivando a produrre un mondo di divertimenti esclusivi, limitato ai pari di età, a cui gli adulti non hanno praticamente accesso, sotto pena di diventare ridicoli, data la sua estrema specializzazione, diretta esclusivamente ai giovanissimi. Certo i figli, se rimane aperto il canale del dialogo coi genitori, amano che i genitori (soprattutto il padre, il cui interesse viene per solito vissuto come meno invasivo di quello materno), sappiano, e magari apprezzino, chi sono i loro eroi musicali, o dello spettacolo. Che devono però rimanere “loro” , dato che appartengono al mondo dei pari, ed i due mondi rimangono, anagraficamente e culturalmente, distinti. La comunicazione coi figli diventa quindi più limitata, soprattutto con un figlio unico che sia stato, giustamente, molto e  precocemente socializzato coi coetanei. Occorre dunque renderla   più intensa, limitandola a momenti e cose che, da soli o coi pari (che saranno comunque sempre in campo, invitati e coinvolti), non vivrebbero. E’ soprattutto importante fornire loro forti esperienze che tocchino il senso della vita, sia nel campo della bellezza (arte, natura), dell’esperienza fisica (sport), o dell’umano (sia come forza e valore, sia come debolezza, e bisogno). Esperienze brevi (i ragazzi oggi non resistono a lungo), ma intense. E accontentarsi di quelle, anche se non sono quella condivisione tranquilla, prolungata, che i genitori desidererebbero. Quella va manifestata come presenza, e accoglienza, affettiva. Anche se il figlio, individualmente, c’è poco, deve sentirsi profondamente seguito ed amato. Ciò lascia nel suo sentire e nel suo comportamento una traccia molto più profonda dei tempi ridotti e delle poche parole, che l’accompagnano.   

Claudio Risé

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