Nato solo
Dalla
rubrica info/psiche lui, Io
Donna, allegato al Corriere della Sera, 7/06/03. E’ possibile scrivere a
Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli
4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it
Un padre in fuga, una madre distruttiva. Eppure il figlio è riuscito a coltivare in segreto qualche traccia d'amore. Che lo ha salvato dalla depressione. E oggi gli consente di aiutare chi soffre.
«Sono nato "da solo". E così ho continuato a fare: imparare da solo, crescere da solo, capire da solo, andarmene da solo, e restare da solo, come sono ora, e come temo di restare per la vita. Prima, mia madre non mi ha voluto; dopo, non mi ha accettato. Anzi, dai 15/16 anni mi ha spinto di andarmene, finché non l'ho fatto. Continue minacce, insulti, mortificazioni. Ero il parafulmine delle sue ire, unico maschio in casa, in assenza del papà fedifrago. Non ho ricevuto nessun affetto dai miei genitori, niente, zero. Da piccolo credevo che tutte le famiglie fossero così, che tutti venissero picchiati o puniti o lasciati alla loro vita. Ed oggi, la consapevolezza dolorosa della mia storia ritorna. Non la posso dimenticare: è una parte di me. Fino a poco tempo fa ero di quelli che pensano: "ma sì, tanto un giorno la farò finita". Poi ho cercato di svolgere delle attività di sostegno verso persone sofferenti, con qualche difficoltà, ma riuscendo con profitto. Ora quelle pulsioni autodistruttive mi stanno lasciando. Insomma, nel mio piccolo vado avanti. Sono sereno, lavoro, bado a me stesso; sono persino ottimista e faccio progetti. Vorrei solo non nascondermi più il giorno di Natale. Vorrei formare una famiglia ma chi mi vuole? Sono quasi un personaggio dei fumetti, senza storia, un figlio di nessuno».
Alessandro, Cremona
Caro amico, lei è tutt'altro che un personaggio da fumetti, ed è quindi molto più interessante di loro. Lei è un personaggio della vita, con fior di storia dietro di sé: drammatica, sofferente, appassionante, come sono appunto le storie degli esseri umani. Dotate di uno spessore che quelle dei fumetti neppure si sognano. E non è neppure vero che sia "figlio di nessuno", perché questo padre in fuga, e questa madre terribile sono i suoi genitori: distruttivi, probabilmente irresponsabili, ma (come lei del resto rivendica, poche righe più sopra), lei viene da lì. E secondo me non è neppure vero per lei, come in molte storie che le assomigliano, che sua madre non le abbia voluto un po' di bene. Se davvero fosse stato così, come a volte, purtroppo, accade, lei non ce l'avrebbe fatta; non sarebbe sopravvissuto, come accade appunto ai bambini che non sperimentano neppure per un minuto l'affetto materno. Quell'amore che lei ha saputo trovare per chi soffre ancora più di lei, e che l'ha aiutato ad uscire dalla depressione, è nascosto nella sua storia. E' un amore che lei, in qualche modo, è riuscito ad afferrare (anche se senza accorgersene) in questa madre intemperante e reattiva, in questa coppia genitoriale infelice ed arida. Da allora, la sua psiche li ha coltivati in segreto, questi brandelli d'amore, mettendoli a sua disposizione, aiutandola a uscire di casa presto, ad imparare a cavarsela, a prendersi cura di sé. Con amore appunto. Ma l'amore non si inventa, lo si può sviluppare solo quando lo si è già sperimentato da piccoli, anche in forma embrionale, come un segno sbiadito, quasi impercettibile. Più tardi, quando si è poi accorto che la cura di sé non basta a dare un senso alla propria vita, quell'amore le hai poi fatto incontrare gli altri, i sofferenti, coloro che ne avevano bisogno. E quest'esperienza di dono agli altri ha dato nuovo senso e direzione alla sua vita, togliendola dai pensieri bui che si affollano quando la nostra esistenza ruota sempre e soltanto attorno a noi stessi. Dopo aver conosciuto l'amore per gli altri lei è ormai maturo per fare del suo desiderio di famiglia un progetto di vita. La cui realizzazione dipende, è vero, dall'incontro con un'altra persona, che lo condivida. Ma prima ancora dipende dalla fiducia che lei ha in sé stesso. Per ora, lei dà, probabilmente, ancora troppo spazio al peso doloroso dei suoi ricordi d'infanzia, e troppo poco all'orgoglio di aver saputo uscirne, costruendo la sua vita. La giusta autostima per ciò che ha fatto finora è il miglior aiuto per realizzare le sue aspirazioni.
Claudio
Risé
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