Moderno contadino
Dalla
rubrica info/psiche lui, Io
Donna, allegato al Corriere della Sera, 6/12/03. E’ possibile scrivere a
Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli
4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it
Dare una spallata alle nevrosi metropolitane per una vita diversa. Spesso è una reazione ai genitori. Che hanno fatto della città il simbolo della riuscita.
"Ho 18 anni, quest'anno finirò il liceo. Poi vorrei andare a vivere con i nonni. In campagna. E' lì che ho passato gli anni più belli fino a quando, all'inizio delle medie, ho raggiunto i miei genitori a Torino, nuova sede di lavoro di mio padre, ingegnere. Il mio progetto di vita non è giustificato solo dalla nostalgia per l'infanzia: vorrei studiare agraria in una facoltà facilmente raggiungibile dalla cascina del nonno e poi trasferire le nozioni apprese in un lavoro che mi leghi alla terra. Ma sia mio padre sia mia madre sono furibondi: non approvano la mia decisione e vorrebbero indirizzarmi verso tutt'altro tipo di attività. Dicono che fuggo dalla città per paura e per mancanza di carattere. Ma io qui non mi sono fatto neppure un amico: tutti i miei affetti più veri sono in campagna". Giovanni, Torino
Caro Giovanni, il suo progetto tende a realizzare la sua identità, che è diversa da quella di suo padre e di sua madre. Per loro la città, così come il mondo dell'industria, è stata una conquista, che associano con la libertà dal mondo conservatore della campagna, con maggiori guadagni, nuove conoscenze, nuovi costumi. Lei invece, mi scrive nella sua lettera, è stato strappato dalla città a una realtà fisica, sensoriale e affettiva che le aveva assicurato (malgrado la lontananza dei genitori) un'infanzia ricca, felice ed equilibrata. I bambini hanno bisogno di una vita quotidiana regolata e tranquilla, di aria pura, di prati su cui giocare, di strade in cui poter camminare liberamente. E i suoi nonni, con la loro cascina sul fiume e il tranquillo paese raggiungibile in bicicletta, le hanno garantito tutto questo. A Torino, mi racconta, è stato invece diverso; a scuola compagni rissosi e problematici, nel pomeriggio corsi di tutti i tipi che la facevano sentire come un adolescente-operaio stanco, impegnato tutto il giorno a costruire la propria vita secondo programmi preordinati da altri. E' lì, nell'aria che puzza, con i genitori sempre di corsa e in ansia e senza veri amici, che ha preso corpo il progetto di lasciare madre e padre alla metropoli e di costruire per sé un futuro da contadino moderno. Progetto accompagnato - mi racconta - da una bambina con cui aveva giocato, sbocciata poi in un'adolescente felice, il cui sorriso è diverso dal volto tirato delle sue compagne cittadine. Naturalmente, è probabile che un po' di idealizzazione ci sia e che alla fine le cose si rivelino più complicate. Chissà se lei e sua moglie vi accontenterete dei pochi soldi e della vita senza pretese, di cui si accontentano i suoi nonni. E chissà se lei troverà la forza dimostrata dal suo nonno-quercia (come lo chiama nella sua lettera), nel mandare avanti fisicamente, con il suo lavoro quotidiano, la cascina. Un nonno quercia è una potente protezione rispetto a un padre che corre per il mondo a costruire giganti di ferro; ma essere come lui non sarà facile (è anche per questo, forse, che suo padre se ne è andato). Tuttavia il suo progetto non è solo nostalgia. Rivela il desiderio di un futuro più equilibrato, dove ci sia posto per tutto: per gli impianti di ferro e per le querce, per le scalate sociali e per gli affetti di sempre, per le ragazzine dalla faccia tirata e per quelle dall'espressione solare. I genitori avevano dato una spallata alla chiusura contadina, andandosene in città. E lei oggi dà la sua spallata alla nevrosi metropolitana, tornandosene in campagna. L'importante è dirigere lo sguardo davanti a sé, nel futuro, e non indietro, su un passato che è soprattutto un patrimonio affettivo, interiore, su cui costruire.
Claudio
Risé
Torna all'Archivio Psiche Lui Anno 2003
Vai al sito www.claudio-rise.it