Il marito dipendente       

Dalla rubrica  "Psiche lui" di Claudio Risé, in Io Donna, allegato al "Corriere della Sera".

"Ho 40 anni, due figli, e un marito molto difficile, anche se tenero. Non mi sono mai separata per i ragazzi, che hanno oggi 10 e 8 anni, ma ora vorrei un rapporto più libero. Non per avere altre storie: sono medico, il mio lavoro mi piace, e ritengo un valore la fedeltà matrimoniale. La dipendenza di mio marito da me, però, mi dà un senso d’asfissia, e sta soffocando l’amore, che c’era. Credo derivi dall’abbandono da parte di sua madre, allontanatasi dalla famiglia quando lui aveva 7 anni. Ogni mio progetto personale, da un corso di pittura  ad un giro in bicicletta, lo getta nel panico, lo rende aggressivo e sgradevole. E questo mi allontana sempre di più". Luciana, Ravenna.

Cara amica, suo marito appartiene alla numerosa categoria dei mariti/figli delle proprie mogli, che vivono nel terrore di essere abbandonati. Incalzati da questa paura, diventano così molesti nei confronti di ogni piccolo gesto d’autonomia delle proprie compagne, da provocare spesso  dei veri abbandoni, cui le mogli si rassegnano a volte a malincuore. Risolvendo spesso poco, perché l’ex marito non accetta la situazione, e non regge né la  separazione dalla moglie, né quella dai figli, che vive spesso come fratelli minori, rendendo la vita impossibile a tutti, a cominciare da se stesso. E’ una situazione difficile, perché l’autonomia affettiva di queste persone è sovente equivalente a quella di un bimbo molto piccolo. Quindi anche  un confronto sul piano di realtà, per esempio rassicurandolo affettivamente, mostrandogli che non c’è nessun progetto d’abbandono, è difficile da realizzare. Il trauma dell’abbandono della madre, che lo ha “imbrogliato”, andandosene, e non tornando più, viene proiettato sulla moglie, che “potrebbe” fare altrettanto, anche se assicura il contrario. A rendere tutto ancora più difficile è l’esplosivo mixing tra amore e aggressività che caratterizza queste relazioni. La moglie, infatti, è amatissima. Innanzitutto, spesso,  per sé stessa, come lei mi racconta nella sua lettera, da cui è evidente che il vostro è stato veramente un incontro d’amore. Ma è molto amata anche proprio perché rappresenta comunque, a livello profondo, l’oggetto d’amore primario: la madre. Tuttavia, proprio in quanto anche madre, è anche fortemente temuta, e avversata. Innanzitutto perché la madre è stata  protagonista di quel doloroso abbandono (o, in altri casi, di una soffocante e invasiva presenza). E’ avversata però anche per il rancore che tipicamente accompagna una forte dipendenza. L’individuo dipendente, infatti, percepisce che quell'oggetto d’amore tanto amato gli toglie la libertà. In una situazione così complessa, é molto opportuna una buona psicoterapia per suo marito. Nel frattempo, un paziente lavoro di rassicurazione può dare, nel tempo, dei frutti. E’ importante però condurlo non tanto sul piano delle rassicurazioni razionali, come, a quanto mi racconta nella sua lettera, lei ha fatto finora. Non è “con la testa” che suo marito teme di essere abbandonato da lei: su quel piano è rassicurato e tranquillo. E’ col cuore, o se vuole dai livelli profondi della psiche, che teme il fantasma dell’abbandono, che proprio lì, nel cuore, si è saldamente installato. Le rassicurazioni da dare, per quanto puerili e superflue possano sembrarle, sono dunque soprattutto affettive. E’ dalla ripetizione e dimostrazione costante del suo sentimento d’amore, che suo marito potrà trovare quella calma e sicurezza affettiva che può spegnere l’angoscia per l’abbandono materno.

Claudio Risé

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