Luca ha scelto il padre

Dalla rubrica  Info/psiche lui, Io Donna, allegato al Corriere della Sera, 31/01/04. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

La separazione conflittuale dei genitori è problematica per un adolescente maschio. Che può vivere l'affidamento alla madre come una negazione della propria virilità.

«Mio figlio maggiore, Luca, che oggi ha 25 anni, dall'età di 15 ha scelto di vivere col padre. Dopo una vacanza passata con lui, non é mai tornato da me. E ancor oggi mi parla a stento, Vive in simbiosi col padre: parla come lui, si muove come lui, si è laureato in ingegneria e lavora nel suo studio, se ne prende cura. Da quando il mio ex- marito ha ottenuto metà dell’ex-casa coniugale, dove vivo con l'altro figlio ed il mio compagno, vedo più spesso Luca quando passa. Ma rifiuta di venire da me, o di dirmi nulla di sé. Possibile che non senta mai il mio amore e non abbia mai bisogno di avere sua madre vicino? Possibile che sia appagato dal solo rapporto col padre? Mio figlio minore, di 18 anni, ha buoni rapporti sia con me che con il padre e il fratello. Ho una posizione di responsabilità e riesco a gestire tante situazioni difficili, perché qui non riesco ?»

Lettera firmata

 

Cara amica, in una separazione avvenuta tra cause e litigi, come lei mi racconta che è stata la vostra, spesso i figli più sensibili, e dunque più a rischio psicologicamente, sentono l’esigenza di stabilire, prima dei tempi lunghi della giustizia, chi ha ragione e chi ha torto. E lo fanno, a volte tagliando duramente con uno dei due. In genere con chi ritengono responsabile della separazione. Luca ha tagliato con lei, che ha preso l’iniziativa di separarsi da un marito che non le era fedele. Ma che evidentemente, agli occhi di questo figlio, aveva il merito di rimanere comunque nel matrimonio, anche se non lo rendeva felice. I figli, soprattutto se piccoli, o adolescenti, vogliono il proprio benessere, non quello dei genitori. Ed il loro benessere lo identificano con l’unità della famiglia. Non a torto, visto che la sua rottura tra i conflitti, inaugura poi per loro una stagione di lacerazioni e di sofferenze, come è accaduto anche nella vostra. Nel suo caso poi, le è sfuggito il bisogno che il figlio più grande aveva del padre, che a quell’età, in piena pubertà/adolescenza, è la figura di riferimento sulla quale viene costruita non solo l’identificazione sessuale, ma anche l’orientamento di buona parte della personalità. Salvo poi cambiarla più tardi, quando si sono messi a fuoco saldi e precisi riferimenti personali. L’assegnazione del figlio adolescente alla madre, in una situazione di conflitto dove il tempo riconosciuto al padre tende a restringersi, é spesso vissuta dal ragazzo come una negazione della propria virilità, come la riduzione a uno status di “figlio di mamma”, senza la quale non sarebbe in grado di cavarsela. L’esito è spesso negativo. O il figlio accetta questo vissuto di castrazione, che diventa poi il problema della sua vita, come testimoniano la maggior parte delle lettere che ricevo dai lettori. O il ragazzo reagisce, e “cancella” la madre. Salvaguardando così la sua identità sessuale e di genere, ma rischiando le rigidezze e i tratti ossessivi tipici di chi assume una posizione di chiusura verso il femminile. Come riaprire dunque con questo figlio un dialogo di cui entrambi avete certamente bisogno? Innanzitutto abbassando il livello di conflittualità ancora presente. Lei mi dice che Luca: “Vive i procedimenti giudiziari in corso con suo padre come se fossero rivolti contro di lui”. Ma ciò non è strano. Quella padre-figlio è un’unità, anche professionale, progettuale, economica, che non accetta attacchi esterni. Solo di fronte a una sua posizione, femminile, di accoglienza e non rivendicazione, suo figlio potrebbe forse riscoprire quel “bisogno di madre” che ha finora accantonato.

Claudio Risé

   

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