Lo spinello di papà 

Dalla rubrica  info/psiche lui, Io Donna, allegato al Corriere della Sera, 29/10/05. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

"Un figlio modello, il mio Andrea: 17 anni, 3° liceo, ottimi voti, non fuma, non beve, e fa sport. Ho sempre consentito, per il suo bene, che mantenesse i rapporti col padre, che lasciai ancor prima di scoprire di essere incinta. Due anni fa, dopo un ricovero, apprendo che il padre prendeva stupefacenti ed alcool, dietro la rispettabilità, e un lavoro prestigioso. Maschero tutto con un  “esaurimento nervoso”, e i due si rivedono. Ma Andrea lo scopre a farsi le canne. Entra in crisi, e non vuole più saperne né di me, né di suo padre. Che  fare?"   Giovanna, Asti

Cara Giovanna, a me pare che questo svelamento della realtà “tossica” del padre abbia, come spesso accade, dato un’ulteriore spinta alla crescita del figlio. Lei mi racconta infatti, nella sua lettera, che il più evidente risultato della crisi, a parte le diverse accuse a voi genitori, è stato che Andrea “in casa si comporta come se già vivesse da solo… di colpo si è messo a riordinare la sua camera, a cucinarsi i pasti , non vuole più la paghetta e si è trovato un lavoretto per il fine settimana, pur continuando con impegno gli studi... Dice di non voler più sapere nulla né di suo padre né di me e che d'ora in poi penserà solo alla sua di vita.” E aggiunge: “Tutti me lo invidiano un ragazzo così, pure gli insegnanti sono prodighi di lodi eppure io so che sta male da morire.” Io non ne sarei così sicuro. Suo figlio sta certamente soffrendo, ma della sofferenza causata dagli altri, da voi,  utilizza in questo momento  l’aspetto più psicologicamente prezioso: la spinta ad occuparsi di sé, a crescere, a rendersi autonomo. I comportamenti che tanto la preoccupano: riordinarsi la stanza, rifiutare la paghetta, cercarsi un lavoretto, ed insieme badare allo studio, non sono affatto sintomi di malessere. In essi si manifesta, al contrario, l’iniziativa psicologica più positiva che si possa produrre nella vita di una persona: prendersi la responsabilità di sé. Che è anche il passaggio indispensabile per poter poi occuparsi davvero degli altri. Certo, di fronte alla delusioni delle figure genitoriali, i ragazzi assumono atteggiamenti che sfiorano, spesso,  la crudeltà. Cercano così di proteggersi dalla situazione di diversità derivante dal non avere una famiglia “normale”, statisticamente rara, ma pur tuttavia  sognata dalla stragrande maggioranza degli adolescenti. E se noi veramente li amiamo, questi figli, dobbiamo ricordarci che le loro durezze sono anche un tentativo di costruirsi una vita più autentica, priva, ad esempio, del comportamento autodistruttivo che Andrea ha ora scoperto in suo padre. Tuttavia,  lei non deve sentirsi in colpa. Malgrado il padre del ragazzo non si sia comportato correttamente, non contribuendo al  mantenimento di Andrea, lei, come  mi scrive, “ha evitato risse legali, consentendo che i due si vedessero per il bene del figlio.” Questo per il figlio è stata una risorsa che un giorno Andrea le riconoscerà: meglio un padre disturbato, che nessun padre.  Ma lasciamo che il tempo della gratitudine arrivi quando può. Dopo che l’amarezza è passata, e la vita ha preso forma, anche grazie alle delusioni. 

Claudio Risé

   

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