Le matriarche  

Dalla rubrica  info/psiche lui, Io Donna, allegato al Corriere della Sera, 8/10/05. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

"Ho 48 anni, sposato, una figlia di 10. Mia madre mi ha trasmesso le sue fobie sociali, mio padre ha vissuto agli ordini di sua madre. Ho cercato di essere perfetto assecondando mamma e nonna. Tra studio a lavoro,  sempre temendo di deludere le loro aspettative, mi sono laureato, bene, in ingegneria, a 42 anni. Dopo, in due anni in un’azienda locale, ho accumulato un'ansia sfociata in attacchi di panico. Da tre anni insegno in un centro  professionale, con fatica. Vorrei la serenità".

Vincenzo

Caro amico, per incontrare la serenità c’è una condizione indispensabile: vivere rispettando ed accettando sé stessi, e non in funzione di programmi e desideri altrui. La serenità, gradino importante della felicità, nasce proprio da un accordo, in buona parte istintivo, spontaneo e prodotto dalla vita, tra ciò che siamo, e ciò che facciamo. Voler essere in un altro posto,  in un altro modo, diverso da quello che siamo, è una perfetta fabbrica dell’ansia, e della depressione che lei nella lettera lamenta. Ciò che ci dà energia, infatti, è esprimere noi stessi. Se invece recitiamo un copione scritto da altri, come ha fatto lei sforzandosi di realizzare i desiderata di mamma e nonna, questo non ci dà nessuna forza, e ci sentiamo privi di spinte, e depressi. La vita, invece,  nel suo scorrere, ci offre informazioni più attendibili su chi noi siamo e possiamo essere, che i desideri di parenti invadenti. Per esempio, mentre le richieste delle due donne potenti della sua famiglia, mamma e nonna, erano tutte puntate sulla realizzazione professionale, lei ha saputo realizzare, come mi racconta nella sua lettera, un’ottima riuscita familiare ed affettiva. Ha una moglie, come lei dice, “splendida”, che la ama e l’ha coraggiosamente sostenuto nelle sue prove, una bambina amata e risolta. Non è davvero poco, in un contesto, anche sociale e culturale, dove proprio il piano degli affetti è, per la maggioranza della persone, la prova più difficile, e generalmente mancata. Sembrerebbe proprio che è anche perché il campo affettivo era sgombro da proiezioni e richieste materne, lei ha potuto esprimervi più serenamente se stesso, e le sue qualità positive. Il campo professionale è risultato invece più complicato, perché qui, per far felici le due donne, lei voleva essere “perfetto”, e questa è una richiesta fuori dal mondo, che la vita si incarica spietatamente di negarci. Però, anche qui, lei è riuscito, lavorando e studiando, a prendersi una laurea difficile ed apprezzata come quella in ingegneria, e questo indica che lei ha una qualche relazione personale con questo campo di attività e di sapere. Se la vita aziendale si è rivelata troppo competitiva e ansiogena, valorizzi senza sensi di colpa l’attività formativa che attualmente svolge. Ricordando, soprattutto, che lei deve vivere e soddisfare sé stesso, e la famiglia che ha saputo costruire. Non certo le ambizioni di persone, protagoniste e padrone della sua infanzia, che, per quanto amate, lei sa bene essere profondamente malate. E pericolose, per il loro scarso rispetto,  per la vita degli altri, a cominciare da suo padre, e da lei.

   

Claudio Risé

   

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