Il lavoro conta (anche in amore)     

Dalla rubrica  "Psiche lui" di Claudio Risé, in Io Donna, allegato al "Corriere della Sera", 9/09/06. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

"Qual è l’importanza del lavoro nella vita di un uomo? Ho solo 19 anni, ma ho l’impressione che il lavoro, ed anche il reddito, contino molto, non solo dal punto di vista economico. Anche nelle relazioni sociali, essere professionalmente un vincente, o uno “sfigato”, mi pare faccia una bella differenza. E, naturalmente, lo stesso accade anche dal punto di vista sentimentale. Però non se ne parla mai, come se fossero campi separati e diversi. Ho bisogno di orientarmi".

Pietro, Milano

Caro amico, in effetti trattare la realizzazione professionale come una cosa del tutto diversa da quella sentimentale e affettiva,  mi sembra uno dei grandi inganni del modello di cultura contemporaneo. In realtà, come lei stesso dimostra di aver percepito con la sua lettera, la realizzazione personale è un processo espressivo dell’intera personalità, e coinvolge con pari intensità  tutti gli  aspetti della vita dell’individuo, strettamente correlati tra di loro. La divaricazione tra sfera affettiva, ed anche sessuale, e sfera professionale e lavorativa, come fossero ambiti diversi, e magari opposti  è un’idea tardoromantica, addirittura ottocentesca, sopravvissuta perché perpetuata dal cinema, e da alcuni romanzi (molte soap operas sono in proposito già molto più realiste, e veritiere). L’ozioso, o incompetente, non ha affatto stuoli di donne ai suoi piedi. E’ piuttosto vero il contrario, ed ogni ragazzo sveglio se ne accorge fin dai banchi di scuola, anche se genitori e insegnanti sono misteriosamente muti su questo aspetto centrale della vita. In realtà il successo negli studi, e poi nel lavoro, aiuta e sostiene il successo affettivo, ed una sessualità realizzata. Mentre un rendimento sociale insoddisfacente, prima negli studi poi nel lavoro e nella  professione, è percepito dalle donne come un aspetto di solo parziale affidabilità dell’uomo, e tende quindi a rendere problematica la relazione. Le donne, anche per il loro rapporto con la vita e la procreazione, raramente, e solo per brevi periodi, si discostano da un’attenta considerazione del piano di realtà, nel quale il successo lavorativo dell’uomo ha una notevole importanza. Senza parlare poi dell’aspetto più profondo, che è quello della stima dell’uomo per se stesso. La quale si fonda in gran parte  sul riconoscimento positivo che  il maschio riceve dagli altri, dalla società. Tanto più siamo realizzati nel vasto campo riassunto nell’espressione :lavoro (studio, mestiere, professione), tanto più siamo sicuri di noi stessi. Portando dunque questa sicurezza anche nelle relazioni sentimentali. La stessa sessualità, vicina ai comportamenti istintivi, rivela immediatamente la nostra maggiore o minore tranquillità, nella quale i risultati dell’esperienza lavorativa hanno una parte molto importante. La negazione (oggi molto frequente), da parte della coscienza, del problema rappresentato dalla propria affermazione sul lavoro, sposta l’intera questione nell’inconscio. Da dove ricompare come ansia, e come continua ricerca di conferme narcisistiche, che compensino quell’insicurezza mai sistemata.  

Claudio Risé

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