Innamorarsi dell'analista

Dalla rubrica  info/psiche lui, Io Donna, allegato al Corriere della Sera, 16/04/05. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

"Ho iniziato da poco un’analisi e, con sorpresa, mi trovo a fare sogni erotici assai espliciti col mio analista. E' ''normale'' provare questi sentimenti di affetto, e desiderio? E quando ''l'analisi'' sarà terminata, che rimarrà di questo rapporto così importante per me? E voi che siete dall'altra  parte provate sentimenti ed emozioni per chi vi segue in questo viaggio? Qual è la verità di questi sentimenti?"

Roberta

Cara amica, l’innamoramento più o meno inconscio per l’analista, la relazione affettiva verso di lui/lei, costituisce uno dei tratti specifici della cura analitica, nella quale questo fenomeno suscita particolari difficoltà, ma offre anche  sicure opportunità. Esso viene generalmente riassunto nel termine  “transfert”, in quanto, attraverso questi sentimenti forti, l’analizzando trasferisce sull’analista, affetti, desideri pulsioni che aveva in passato  provato per altre persone, e che possono così venire rivisti, e trattati, attraverso il loro ripresentarsi nel corso dell’analisi. In questo modo l’analista "presta"  la sua immagine e la sua figura al paziente perché egli vi “proietti” sopra i contenuti psicologici e biografici che ha necessità di rivedere. Questi contenuti non sono del resto sempre amorosi, ma assumono spesso anche forme di aggressività, competizione ed avversione. Inoltre, l’analista   compare piuttosto raramente con la sua forma e caratteristiche specifiche, ma si trasforma nelle forme e nei contenuti affettivi che deve assumere, a seconda appunto delle necessità e delle fasi della cura.   Da questo punto di vista dunque, il transfert, ed i contenuti affettivi ed erotici che lo accompagnano,  rappresentano uno dei principali strumenti della relazione analitica, e consentono all’analizzando di uscire dalla sua attuale, e insoddisfacente, situazione affettiva, per muoversi liberamente lungo il tempo, ed i diversi spazi emotivi della propria vita, recuperando così preziosi contenuti e ricordi perduti ed integrarli, trasformandoli  in nuove forme, nella sua vita presente. Come lei intuisce  nella sua lettera però, la relazione tra analista e paziente non è solo questo. Tra queste due persone che si incontrano regolarmente, per molto tempo, in una lotta serrata e impegnativa contro la sofferenza, si sviluppano anche sentimenti reali, oltre a quelli di “traslazione”, trasferiti sull’analista per –diciamo così- necessità terapeutica dell’analizzando. Dobbiamo tener conto inoltre, realisticamente, che questi incontri, anche quando entrambi hanno magari una vita relazionale ricca, sono anche, spesso, incontri di due solitudini, che sarebbe inutile esorcizzare con la considerazione che l’eventuale solitudine dell’analista è affar suo, e non c’entra col rapporto terapeutico. L’aspetto “tecnico” del transfert analitico si produce, sempre, all’interno del più vasto fatto, dell’incontro umano tra due persone. Che, senza invadere lo spazio fisico e affettivo di entrambi, non può venire escluso dalla loro anima.

        Claudio Risé

   

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