Il numero due

Dalla rubrica  info/psiche lui, Io Donna, allegato al Corriere della Sera, 30/10/04. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

 

Defilati sia nella vita affettiva sia in quella lavorativa. Ci sono uomini che, forse inconsciamente, scelgono un ruolo in ombra. Per non rischiare. E soffrire meno.

"Ho ormai riconosciuto la mia tendenza a innamorarmi di donne perfette a farmi sentire "IL NUMERO 2". Abilissime cioè nel permettermi di svolgere un ruolo marginale, in rapporti dominati dalla presenza di un altro uomo. In modi e intensità diversi, tutte le mie relazioni sentimentali hanno questo carattere. Le consolo, interessatamente, quando l'altro le delude, o allontana. Anche nei rapporti di lavoro esito a combattere per il primato, mentre preferisco fare il secondo. Sono il primogenito di due figli maschi, e ho sempre pensato che mia madre (ma anche mio padre, morto quando avevo 21 anni) avesse un debole per mio fratello più piccolo. Rimarrò sempre a fare il numero due, o un giorno la mia vita cambierà?"

Ivo, Alessandria

Caro amico, credo che dipenderà da lei, quale posto occupare, nell'amore, come nella vita. Se rimanere in una posizione defilata, e meno impegnativa, o assumersi le responsabilità dei “numero uno”. Un posto che, nella nostra organizzazione sentimentale, è tutt'ora occupato dal marito (anche se spesso ancora inconsapevole del suo privilegio, che vive di frequente come un peso). Di certo, la questione è complessa e proprio nella sua esperienza infantile di "numero due" (pur essendo il primo/genito), lei ha potuto misurarne l'ambiguità. Per esempio, il figlio non prediletto sente meno amore, meno attenzione, ma ciò lo rende anche enormemente più libero. A lui i genitori chiedono, per solito, molto meno, è più difficile che venga fatto oggetto di aspettative elevatissime, ed altrettanto cocenti delusioni. Catastrofi educative che invece spesso non risparmiano chi si trova nella posizione di "numero 1" nell'affetto genitoriale. Il quale, infatti, ha elevate probabilità di pagare questa predilezione (che vive a livello profondo come una richiesta opprimente), col "bruciarsi", affettivamente o professionalmente, per soddisfare l'ansia genitoriale di affermazione che sente su di sé. La stessa maggiore tranquillità è in qualche modo garantita al “secondo” nella vita affettiva. Nella sua lettera lei racconta la storia del suo primo amore importante “vissuto tra i 34 e i 36 anni. Lei era una donna emotivamente instabile, che dopo aver passato la prima metà della nostra relazione a dirmi che ero importante per lei ma che lei (separata) non credeva più nei rapporti di coppia, mi tradì per un altro, andandoci a convivere dopo un mese, sposandolo dopo 18, facendoci in fretta una figlia, per poi separarsene di nuovo. E "ritornando" spesso a consolarsi da me, che la accoglievo sempre a braccia aperte”. Anche rileggendo questo suo resoconto non le sarà difficile accorgersi che lei, numero due, consolatore disponibile, ha ottenuto certamente meno, ma anche rischiato e, probabilmente, sofferto molto meno, del numero 1, diventato marito, padre, e poi respinto nella condizione di single, nel giro di pochi mesi.  Dello stesso genere i rischi, e le opportunità, dei numeri uno nel campo del lavoro; il che spiega il tenace attaccamento di molti, collaudati, numeri due, nel rimanere tali. Qualcosa di non lontano da quegli attori che preferiscono continuare a fare da “spalla” a un protagonista, piuttosto che esporsi essi stessi nel ruolo di prim’attore. Anche se questa preferenza affonda le sue radici in un’esperienza infantile deludente, quale quella del figlio non prediletto dai genitori, non è detto che si tratti di comportamenti   nevrotici. Mantenerli, o cambiarli, fa parte della libertà del soggetto. E dei suoi obiettivi.

 

         Claudio Risé

   

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