Il bambino remissivo         

Dalla rubrica  "Psiche lui" di Claudio Risé, in Io Donna, allegato al "Corriere della Sera", 15/09/07. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

"Mio figlio, 10 anni, sensibile, dolcissimo, cede agli “amici” (prepotenti!). Io e mio marito, ne soffriamo. A calcio il pallone lo porta lui, e il loro se lo conservano fuori ai loro balconi;  lo fanno giocare in porta, pur se non gli piace, e lui subisce. Io vedo le sue delusioni, e  tengo  l’autocontrollo (ma li prenderei a schiaffi!). Lui ci dice che vuole giocare sereno. Anche a scuola, dove è ricercato dai compagni, e ha un rendimento alto, non ama che  la maestra urli. Come aiutarlo?"

Madre preoccupata 

Cara amica, l’avversione  di suo figlio per l’aggressività, è tale che (mi racconta nella sua lettera): “l’anno  scorso arrivò una supplente che gridava, e lui ha sofferto  di mal di pancia “psicosomatici”, dissero i medici”. Ora, al di là dell’indole pacifica di suo figlio, dalla  sua lunga lettera appaiono due cose. La prima è che suo figlio non ha ricevuto quel basilare “addestramento” al confronto con l’aggressività che è    indispensabile in ogni processo educativo, finalizzato a mettere il bambino in condizione di stare nel mondo, affrontando anche le spinte aggressive proprie e degli altri. La seconda (legata alla prima), è che il piccolo, quindi, dall’aggressività  è terrorizzato. In particolare da quella legata a figure femminili d’autorità, come la maestra che urla. Queste figure, però, rimandano a quella della madre. La quale, cioè lei, a giudicare da come descrive gli amici con i quali il figlio ama giocare, e gli schiaffi che vorrebbe dare loro, sembra un concentrato di aggressività, che il figlio percepisce, e della cui esplosione teme gli effetti, sugli altri e sulla sua vita sociale.  E’ probabilmente sempre la sua aggressività non riconosciuta, cara amica, che le ha impedito di addestrare suo figlio a vedersela con quella degli altri. Come in questo episodio: “fin da piccolissimo, se andava in bici e qualche bimbo si avvicinava e pretendeva di  salirci lui, la cedeva senza pensarci due volte; mai una volta che questa pretesa l’abbia avuta lui nei confronti degli altri”. Da come lei descrive questi episodi, e la pretesa degli altri bambini di salire sulla bicicletta di suo figlio, appare chiaro che non li ha mai vissuti con la necessaria serenità, che è quella appunto che consente di gestire le iniziative aggressive degli altri bambini, e di insegnare al figlio a venirci a patti, trasformandole in momenti di contatto, di scambio, e di costruzione di una possibile amicizia. Ha finito così col ridurre gli altri bambini a temibili prepotenti, negando loro la qualità di amici (che infatti mette tra virgolette). E vostro figlio, che a quegli amici, prepotenti o no, teneva moltissimo, non ricevendo un insegnamento non scandalizzato su come mediare le richieste degli altri con le sue, e temendo la vostra ostilità e la vostra condanna, ha finito con l’accettarle tutte senza fiatare, per non mettere in pericolo la sua vita affettiva e sociale. Ora smettetela di pensare che l’aggressività è una cosa orribile, e vedrete che il bimbo l’affronterà più facilmente.

Claudio Risé

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