Il giovane esploratore   

Dalla rubrica  "Psiche lui" di Claudio Risé, in Io Donna, allegato al "Corriere della Sera", 27/05/06. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

"Ho 19 anni,  e ho un grande desiderio di conoscere il mondo e vedere come si vive e lavora in altri paesi. Finora i miei genitori mi hanno trattenuto, anche se con qualche lavoretto estivo sono riuscito un po’ ad emanciparmi. Ora  mi sono informato per altri lavori saltuari, ma in Europa e Australia, e coi miei risparmi partirò. Non che non voglia fare l’Università, ma non so se farla in Italia. I genitori dicono che sono matto; io però ho fatto tutti gli studi senza ritardi, o altri guai". Mauro

Caro amico, la voglia di scoprire direttamente il mondo, senza farselo raccontare dai film, è uno dei segni più vitali della giovinezza. Ha molte componenti, alcune delle quali hanno poco a che vedere col mondo esterno, e molto con l’ambiente familiare nel quale siamo cresciuti. Una è il desiderio di uscirne, di vedere cosa c’è fuori, di mettere una distanza tra noi e le figure parentali che hanno occupato un posto centrale nei nostri affetti e nella nostra vita. E’ naturale che sia così, è una fase di ulteriore sviluppo della coscienza. Un momento che ripete, aggiornandole, le esplorazioni, anche solitarie, che il bimbo fa quando comincia a gattonare fuori dagli spazi che gli erano stati finora assegnati. La spinta emancipativa, a fare da solo, guardare da solo, farsi proprie opinioni, ha in questo movimento di esplorazione un ruolo essenziale. Nel maschio poi, questa esplorazione  del mondo corrisponde anche ad un’esigenza di affermazione della propria identità sessuale. Conoscere il mondo vuole anche dire essere capaci di penetrarlo, nella sua realtà e bellezza; è quindi un’espressione particolarmente vitale della maschilità, nel suo aspetto culturale e di scoperta. Il lato emancipante, di allentamento dai vecchi vincoli genitoriali, deve però essere riconosciuto dalla coscienza, portato alla consapevolezza, e questo nella sua lettera non appare chiaro. Quando ciò non avviene, e noi presentiamo a noi stessi e agli altri la nostra sete di scoperte e di prove come se fosse una vicenda di giovani esploratori, tacendone l’aspetto di una uscita da una realtà familiare che ci sta ormai stretta, le resistenze genitoriali alle nostre partenze si fanno più forti. I genitori infatti sentono, giustamente, che sotto al racconto del “giovane esploratore” c’è dell’altro. Questo “altro”, e cioè il desiderio-bisogno di emancipazione e di uno sviluppo più personale ed autonomo, che lasci maggior spazio alla verifica individuale, diventa così un “fantasma” nella relazione affettiva familiare, e rende tutto molto più inquietante e, per i genitori, incomprensibile. “Hai qui tutto quello che vuoi, cos’altro vuoi cercare, se non grane”?  Questo, come lei mi racconta, è il ritornello dei suoi genitori alle sue iniziative di conoscenza “globale”. Un ritornello frequente nelle educazioni di vecchio stampo, anche quando fondate su affetti e intenzioni positive. Ad esse va francamente opposto il bisogno del soggetto umano di svilupparsi personalmente, in uno scambio col mondo  fatto, anche , di conoscenza diretta, di  scoperta, esplorazione, esperienza.

Claudio Risé

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