I figli dell'altra

Dalla rubrica  "Psiche lui" di Claudio Risé, in Io Donna, allegato al "Corriere della Sera", 20/05/06. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

"L’uomo che amo si è separato, ora viviamo assieme. I suoi due figli, tredici anni uno, e  undici l’altra, pur critici verso la madre, dicono  di considerare la separazione una disgrazia per loro, rispetto ai bimbi  che vivono con entrambi i genitori. Con me, sono “cortesemente” ostili. Il maschio tende ad ignorarmi, mentre la piccola cerca ambiguamente con me un’alleanza contro il padre. A me, invece, viene naturale occuparmi di loro quando sono con noi, senza voler discutere i loro vissuti. Il padre vorrebbe più coinvolgimento". Sandy

Cara amica, il vissuto  di questi ragazzini è quello della stragrande maggioranza dei figli di separati, e dura di solito  per un  po’ di tempo dopo la separazione. Almeno nel migliore dei casi, se cioè le cose vengono presentate come stanno (quindi  la separazione come la fine del rapporto precedente ), e tutto non viene coperto sotto un falso “non è successo niente, io e la mamma ci amiamo come prima”, che getta i figli ancora più in confusione. Se però viene detta la verità, come è meglio fare, i figli possono esprimere apertamente la loro sofferenza per la perdita di un’unità, quella della  coppia genitoriale, che ha per loro implicazioni affettive profonde, perché è stata all’origine della loro stessa vita. E’ un dolore che affonda le radici nell’inconscio, perché l’unione tra il padre e la madre viene sperimentata molto prima che si formi la coscienza, e l’Io. Proprio la profondità di questa sofferenza rende  consigliabile fare in modo che essa venga riconosciuta e manifestata dai figli, che solo vedendola potranno un giorno superarla. Questo comportamento, dire cioè la verità sulla fine del rapporto tra i genitori, consentendo così ai figli di dichiarare la loro sofferenza, è certamente quello che li aiuta più rapidamente ad elaborarla e ad uscirne, ma è anche quello più impegnativo per i genitori, e soprattutto i nuovi compagni/e, che devono subirne i musi, i silenzi, e le aperte, o camuffate ostilità. Accettare però che essi manifestino la loro aggressività per quanto è accaduto, senza incerottarne bocca e occhi per evitare parole o sguardi duri, è  il  modo migliore di aiutarli. Lei percepisce molto bene questo bisogno, e lo descrive perfettamente nella sua lettera. I figli del suo compagno hanno bisogno di una persona che voglia loro bene, e che li accudisca quando ci sono, senza chiedere nulla in cambio. Non hanno invece bisogno  di un’altra madre, come il suo compagno ansiosamente vorrebbe che lei fosse con loro. Di madre ne hanno già una, diversa da lei, che rimarrà la loro madre per tutta la vita. In questa disponibilità ad accoglierli, ad accudirli silenziosamente, gratuitamente, lei offre loro una profonda esperienza di femminile, senza inquinarla con discorsi astratti  su una sua “maternità” nei loro confronti, che aumenterebbe la loro confusione e la metterebbe in conflitto con la vera madre. La sua discrezione verso di loro, rispettosa dei loro vissuti, ed amarezze, è la premessa migliore perché tra voi possa, in futuro, svilupparsi un autentico affetto.

Claudio Risé

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