Far pace col padre sbagliato

Dalla rubrica  info/psiche lui, Io Donna, allegato al Corriere della Sera, 15/11/03. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

Non sempre un modello maschile debole influenza negativamente la crescita dei figli. Soprattutto se a compensare le sue mancanze c'è una forte figura materna.

«Le scrivo per mio fratello, per il suo difficile rapporto con nostro padre, uomo dominato da   una madre capricciosa e tirannica. L’intera vita di mia madre, di mio fratello e mia,  ha subìto l'influenza di questa presenza soffocante. Malgrado ciò, siamo “venuti su bene”. Abbiamo valori solidi, e un buon rapporto tra noi e con nostra madre. E' lei che ci ha insegnato l’ indipendenza, l' ottimismo e la forza. Mio fratello ha ora 25 anni, una vita affettiva intensa, amicizie autentiche, un carattere allegro, e un’ anima  sensibile. Organizza il  proprio futuro con determinazione . E’ leale, concreto, affidabile. Mi preoccupa però l’influenza che mio padre, instabile, e inaffidabile, potrà avere, alla lunga, su mio fratello. E’ pur sempre lui la figura maschile di riferimento. Quanto si può prescindere da un genitore così, e  diventare un uomo, e poi un padre, senza problemi? Ciò che mi preoccupa di più è la rabbia che sento in mio fratello quando parla di lui».

Lettera firmata

Cara amica, il confronto con una figura di padre negativo, dominato da una figura materna fredda, e desiderosa di potere, è una specie di prova del fuoco per il giovane maschio. Le possibilità di venirne annientati  sono in effetti molto elevate. Disorientato dall’incoerenza del padre, invaso e dominato dal femminile distruttivo della nonna-matriarca, il giovane rischia tutto, sia dal punto di vista della difficile identificazione col proprio genere, sia da quello della relazione col femminile. Il risultato è, molto spesso, una caduta generale di interesse per la vita. Nel caso di suo fratello però, le cose sono andate molto diversamente. Per fortuna la storia familiare, come ricorda lo stesso Freud, non va confusa con il destino: evidentemente lei e suo fratello avevate in voi stessi un’indole sufficientemente forte e positiva da contrastare figure devastanti come quella della nonna potente, e imbelli come quella del padre. Ma soprattutto avete potuto contare su una madre dotata di un maschile (un “animus”, come lo chiama Jung), molto più forte e generoso di quello del padre. Come lei mi racconta nella sua lettera, è stata vostra madre a trasmettervi i tradizionali insegnamenti paterni: il valore del dolore come prova, della difficoltà come opportunità per rafforzare e migliorare la personalità. Come accade a molti insomma, avete trovato in vostra madre il migliore dei padri. E ciò vi ha consentito di andare al di là del contesto negativo rappresentato dal legame malsano tra il padre e sua madre, di curare nel vostro vitale trio, madre-fratello-sorella, il  maschile e femminile gravemente malati di queste due figure. Ecco così che la difficile “prova del fuoco” rappresentata per il fratello dalle necessità di confrontarsi con un padre per cui era difficile provare stima, si è trasformata da pericolo mortale in cimento vitale, che ha costruito una personalità forte e positiva, quale sembra proprio essere quella di suo fratello. Ciò ha potuto accadere perché vostra madre ha saputo trasmettervi oltre al suo sapere femminile di  amore e conservazione della vita, quello maschile dell’azione e del valore del cimento, e della sofferenza. Adesso, lei è turbata dagli accenti di rabbia, che sente nella voce del fratello quando parla col padre. Ma ciò è, per ora, inevitabile, e forse necessario. Il padre che è venuto meno al suo compito di fare di te un uomo libero ti ha profondamente tradito. Il suo essere prigioniero del mondo del  bisogno (per esempio di conferma affettiva da parte di sua madre), ha rischiato di impedirti di riconoscere ciò che viene oltre e dopo il bisogno: il desiderio, che caratterizza la personalità adulta. Non accettare la sua debolezza, è anche un modo di coltivare la tua forza. Poi, quando sarai, e  ti sentirai, davvero un uomo, verrà anche il perdono, la riconciliazione con quest’uomo sofferente.

Claudio Risé

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