Fantasie da condividere
Dalla rubrica info/psiche lui, Io Donna, allegato al Corriere della Sera, 19 aprile 2003. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it
I sogni a occhi aperti sono un'attività necessaria nell'infanzia. Se permangono nell'età adulta possono rappresentare una dimensione molto privata. Che si ha paura di comunicare.
«Ho
sempre sognato, sin da piccola. Fantasticherie indispensabili, come ha scritto
anche lei (IO Donna dell’8 marzo). Appena ero sola, mentre camminavo
per strada... Così fino all'adolescenza, sono rimasta coi miei compagni di
fantasticherie - qualche cantante, altri inventati da me, un vero gruppo. Sono
una persona normale, in bilico tra felicità e piccole inquietudini, i problemi
normali di ogni famiglia, e molta gente intorno, genitori, sorelle, zie, nonne:
c'è sempre stato molto calore nella mia vita. E il silenzio dei sogni. A 16
anni, un sacerdote cui "confesso" di
sognare, mi dice che i sogni sono "il filo spinato tra me e gli
amici", e di non farlo più. Ho obbedito per due o tre anni. Ora sono mamma
di due bambini che amo, e ho un marito premuroso, che mi ha aiutato a
realizzare molti sogni - l'amore, la famiglia, il lavoro - e mi lascia
libera (sola?) nel mio mondo di letture, di passioni cinematografiche, persino
di amicizie. Mi piace questa sua capacità di tenermi per mano nella
realtà. Continuo a fare piccole fantasticherie, sempre più brevi, ma al
tempo stesso sento che devo proteggere da queste il mio compagno. Ci incontriamo
su tanti piani, ma questo dei sogni ci vede ancora distanti. Nelle
fantasticherie nessuno dei due ha voglia di darsi all'altro. Sono altri
fili spinati da togliere?»
Marilena,
Bari
Cara
amica, la sua lettera mostra bene la natura multiforme dei sogni ad occhi aperti
nel corso della vita. Fiaba e compagnia nell'infanzia; a volte "fili
spinati ", difensivi verso l'esterno, nell'adolescenza; altro ancora nella
vita adulta, e nella relazione. L'importante é non etichettarli mai
definitivamente, non classificarli troppo rigidamente, e una volta per tutte; ma
rispettarne la ricchezza di significato e di energie, legata alla loro
principale caratteristica: la fluidità e il mutamento. (E' proprio la
mutevolezza che li distingue dalle "idee fisse" delle forme
ossessive). Nella sua lettera
lei racconta come leggendo la mia risposta, che
legittimava i sogni da svegli come un'espressione importante della
psiche, si sia ricordata improvvisamente del sacerdote che le aveva proibito i
sogni, che lei avrebbe usato come "filo spinato con i quali tener lontani
gli amici". E racconta: " Per due o tre anni, sicuramente, io non ho
più sognato. E adesso quei tre anni senza sogni mi sembrano un furto". Mi
racconta però anche come proprio in quegli anni l'assenza di sogni abbia
lasciato spazio a letture importanti nella sua formazione. Anche se la
"proibizione" dei sogni é stata certo un po' drastica (e innaturale),
ha prodotto dunque una pausa che ha dato buoni frutti. La "perdita"
dei sogni in quel periodo non le ha impedito uno svolgimento della vita piena e
felice, come dimostra soprattutto la sua esistenza successiva. Del resto, di
sogni e fantasie lei ne aveva già fatto una buona provvista nel momento in cui
più l'attività del fantasticare é più indispensabile:
la prima infanzia. Poi ha incontrato il marito, che i sogni li realizza. Ed oggi
si chiede come guardare ai suoi sogni nella vita di coppia. Se comunicarli al
marito ingegnere, più avvezzo alla visione razionale, o se proteggerlo
dall'emotività un po' disordinata delle rèveries. Forse, anche qui, si tratta
di imparare dai sogni ad essere fluidi, e rifiutare ogni rigidità. Sia quella
di rinchiudere i nostri sogni dietro a "un filo spinato", come
materiale pericoloso, cui l'altro non deve mai accedere. Da evitare é però
anche la rigidità dell'imporre la fantasticheria come codice di comunicazione a
una coppia che ha dimostrato di saper tradurre i propri sogni in realtà. Mi
sembrerebbe opportuno socchiudere la porta dei nostri sogni all'altro, e stare
poi a vedere cosa fa. Se, gradualmente, vuole conoscerli meglio, ci si avvia a
condividere anche quelli. Se si ritrae spaventato, si rispetta il suo
sentimento, tenendosi per sé le proprie, sempre più brevi, fantasie.
Claudio Risé
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