Famiglia a 50 anni        

Dalla rubrica  "Psiche lui" di Claudio Risé, in Io Donna, allegato al "Corriere della Sera". 

"Per la mia storia (padre assente e madre che mi ha sostituito al marito), ho investito tutto nella professione e lo studio, con successo. Ora, a 51 anni sento la necessità di una famiglia e di un figlio. Pensavo di farlo con Giovanna, 20 anni meno di me, reduce da un matrimonio. Lei chiede libertà,  vacanze con amiche, giornate per sé. Io vorrei maggiore condivisione, non mi basta dormire insieme. Ma tengo a questo progetto". Alberto

Caro amico, la sua storia è per versi speculare a quella di tante donne che, con  qualche anno meno di lei, dopo aver dedicato la prima metà della vita a lavoro e carriera, cercano di assemblare un progetto matrimoniale e di maternità. Tutti, naturalmente, avete ottime ragioni per arrivare a maturare questi progetti a quest’età. Lei, in particolare, ha vissuto la tipica formazione dell’uomo di oggi, lontano dal padre, attaccato alla madre in una simbiosi che solo una terapia ben condotta è riuscita, come mi racconta nella sua lettera, a mettere in crisi. Prima di uscire dall’identità del figlio per entrare anche affettivamente, e non solo intellettualmente o professionalmente in quella di uomo adulto, non poteva né sviluppare un autentico desiderio di famiglia, né provare a costruirla. Il guaio di questi progetti tardivi è tuttavia spesso rappresentato dalla fretta di realizzarli: uomini, e donne, sentono che il tempo passa, e tendono a coinvolgere  nel loro progetto di paternità, o maternità, persone che volte hanno una storia, ed esigenze diverse, almeno per il momento. Si manifesta in quest’atteggiamento la tendenza attuale  a programmare la propria vita affettiva ed emotiva come si programma quella  professionale. E’ una modalità conseguente, in entrambi i generi, allo smarrimento di un’autentica educazione sentimentale, che si è creduto di poter sostituire con ragionamenti intellettuali. I due ambiti sono, invece, profondamente diversi, e richiedono un approccio diverso. In quello lavorativo è più facile che  un investimento di energie dia risultati corrispondenti, mentre nell’ambito affettivo tutto è sottoposto alle sottili variabili delle affinità emotive. Giovanna sembra, dal suo racconto, avere un’idea della coppia diversa da quella ha lei, forse  ancora ingombrato dalla confusione tra la donna e la madre, che la porta a chiedere alla prima la presenza pervasiva che ha  sperimentato con la seconda. La differenza d’età  spesso  accentua questa diversità di obiettivi: la disponibilità,oggi, di una donna di trent’anni a racchiudere la propria esperienza emotiva e di vita nella famiglia, è minore di quella di una donna più grande, che ha una più ampia esperienza dell’esistenza.  La condivisione della propria vita con una donna molto più giovane chiede all’uomo la generosità di lasciarle gli spazi necessari perché la sua personalità si sviluppi, attraverso esperienze personali, a volte non condivisibili nella coppia.  

Claudio Risé

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