L'educatore molesto        

Dalla rubrica  "Psiche lui" di Claudio Risé, in Io Donna, allegato al "Corriere della Sera", 19/05/07. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

   

"Da piccolo sono stato molestato da un educatore. Per la verità si limitava a carezzarmi il viso, la sera, quando ero a letto, in collegio. Mi rendevo conto che questo lo eccitava. Ne ho, però, un ricordo tenero, sessualmente indifferente, anche perché nei giochi coi coetanei facevo ben altro. Ma la fidanzata, di cui ho parlato, dice che dovrei mettermi in terapia, per evitare di ripeterlo coi miei figli. A me sembra di essere tranquillissimo coi bambini (i miei nipoti, e quelli che si incontrano). Forse sottovaluto?"

Alessandro

Caro amico, qualche colloquio potrà chiarire eventuali incertezze. Nei confronti di questi episodi infantili, tuttavia, può essere utile metterne a fuoco le caratteristiche diverse, per non cadere nella rappresentazione confusa e terrorizzante che fa ormai parte del nostro immaginario collettivo, e nella quale confluiscono, oltre alla gravità di questi fatti, materiali psicologici poco trasparenti degli adulti che a vario titolo se ne occupano. Una scarsa trasparenza che a volte finisce col creare episodi inesistenti, come quelli attribuiti alle maestre di Brescia, assolte qualche settimana fa dopo anni di tormenti giudiziari di cui non si capiva il fondamento, che infatti non c’era. Una prima differenza tra gli episodi, è data dall’età della persona molestata. Nel caso di bimbi piccoli è evidentemente presente un aspetto sadico, di sopraffazione di una persona del tutto indifesa, che difficilmente non lascia tracce. Anche quando l’episodio viene espulso dalla coscienza, l’inconscio ne conserva la ferita, fonte di potenziali squilibri, e paure. Lei invece, quando subiva le attenzioni di questo educatore, era in piena adolescenza, tanto da provare una certa tenerezza (come mi racconta) per la goffa eccitazione dell’uomo, che le sembrava del tutto sproporzionata all’inconsistenza erotica dei suoi gesti. Che lei era già in grado di valutare, avendo sperimentato l’erotismo dei giochi sessuali maschili, da lei  vissuti e poi superati, come accade nella maggior parte dei casi. Proprio la sua non partecipazione all’eccitazione dell’altro, che si limitava comunque al gesto affettuoso della carezza sul viso, le ha consentito di evitare uno degli aspetti più negativi dell’esperienza dell’abuso. Che consiste nel senso di colpa provato per aver partecipato al piacere dell’altro. E’ questo senso di colpa, in quanto bambino “sporco”, che ha eccitato l’altro e partecipato al suo piacere, che può poi alimentare spinte sadiche verso gli altri bambini, nei quali si punisce la propria “colpevolezza” di allora. Nella sua storia invece, gli elementi sono molto diversi.  Non c’era sadismo da parte dell’educatore, né partecipazione da parte sua; manca quindi ogni senso di colpa, e la spinta a “punirsi” infliggendo piacere, e colpevole sofferenza in altri bambini. Verso i quali, infatti, lei prova (come per i suoi nipoti) il tranquillo affetto di un adulto sessualmente risolto, senza antichi conti da saldare facendoli pagare a loro. Una condizione ben diversa da quella del silenzioso esercito dei pedofili.  

Claudio Risé

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