Un dono diverso

Dalla rubrica  info/psiche lui, Io Donna, allegato al Corriere della Sera, 18/12/04. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

 

La solita invasione di regali inutili, fatti per dovere o per dimostrare potere. Per sottrarsi alla nevrosi bisogna allontanarsi dall'avere. E riflettere sull'essere. 

"Lei spesso suggerisce la pratica del  dono, come terapia e strada per la felicità. Ora sta per franarci addosso il Natale con tutti quei   pacchetti, e la sua proposta, che quest'estate mi sembrava credibile, mi appare invece terribile. In particolare mi inquietano le solite figure di familiari pronte a rovesciarci addosso  un sacco di "regali", invadendo le nostre vite con oggetti non richiesti, con l'evidente aspettativa di ricavarne prestigio, gratitudine, potere. Il percorso affettivo da lei proposto (da me a te, per te) qui ritorna  invece al donatore (da me a te, per me), con gli interessi. Questa ostentazione di generosità a me sembra piuttosto  un vaccino contro al donarsi vero, una dismisura mercificata imposta all'eccedenza  del vero dono".

Salvatore, Sicilia.

Caro amico, ciò che io vedo come portatore di felicità è, più che il donare, il donarsi. Offrirsi all'altro nel modo più pieno e più presente possibile. Ritengo il dono di sé efficace  contro il malessere dominante nel nostro mondo "civilizzato" e iperregolato, dove la distanza tra esseri umani si sta facendo siderale, con ognuno che si muove nella propria galassia  senza riuscire ad avere un vero contatto affettivo, fisico, e spirituale con l'altro. Il dono di sé può annullare, mi sembra, o almeno fortemente ridurre, quest'angosciante distanza. Ma questo dono (per esempio quello di un uomo che accetta da fare da padre a un bambino non suo, accogliendolo), è diametralmente opposto al "regalo" che imperversa  in queste settimane. Nelle quali, come lei nota, parenti, e amici invadenti, profittano spesso   del regalo  per, invece di offrire se stessi, prendersi uno spazio nella nostra vita. Piazzandoci sul tavolo, come lei racconta nella sua lettera, candelieri indesiderati, televisioni aborrite, romanzi-saga, e altri oggetti inutili e ingombranti. Spesso, d'altronde, in buona fede. Le persone non si danno, proprio perché non sono più abituate ad esserci, mentre "regalano"  cose, perché di quelle hanno un'enorme pratica e conoscenza. Come diceva la filosofa Simone Weil: "L'uomo non sa nulla dell'essere. Egli possiede solo l'avere". Tuttavia, anche in questo clima che lei giustamente definisce "maniacale", noi possiamo bilanciare  il rumoroso delirio del regalo con la discrezione profonda  del dono di sé. Se davvero pensiamo che "felicità è donarsi", dobbiamo farlo donandoci agli altri così come sono, col loro delirio/passione per le merci, e la loro confusione tra dono gratuito e regalo, invece ricco di contropartite. Si tratta allora di cercare  di esserci veramente  per gli altri, in modo autentico, senza discorsi di maniera, ma portando la nostra presenza affettiva, calma, benaugurante, consapevole di un ciclo che si chiude, quello dell'anno, e di un altro che si apre, con le sue promesse e le sue sfide. La nevrosi che  ogni anno rischia di travolgere la tranquilla festa del Natale (in cui appare il Bimbo nuovo, che porta la possibilità di rinnovamento  per ognuno di noi, e per il mondo), si esprime attraverso l'affastellamento delle cose  che, come lei dice, attraverso la loro dismisura, cercano di coprire la  ricchezza dell'essere. Sono, ad esempio, i mille rumori che infrangono l'incanto della Stille Nacht, della notte silenziosa e tranquilla.  Ecco allora che se, in mezzo alla sovrabbondanza maniacale di cose e rumori, noi riusciremo a testimoniare la presenza affettuosa e tranquilla del nostro essere con gli altri, avremo anche fatto un piccolo passo avanti nell'esercizio (anche terapeutico) del donarci. 

         Claudio Risé

   

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