Donne arroganti, maschi pentiti
Dalla
rubrica Info/psiche lui, Io
Donna, allegato al Corriere della Sera, 17/01/04. E’ possibile scrivere a
Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli
4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it
Da una parte donne arroganti, dall'altra uomini pronti a sottomettersi. La colpa? Dei padri. Che non trasmettono più ai maschi il valore dell'identità di genere.
«Sono un 30enne stufo di molti atteggiamenti delle donne di oggi. Non sopporto più la loro presunzione, il loro convincimento di essere sempre e comunque migliori degli uomini. Qualsiasi cosa essi dicano o facciano. Per non parlare del senso di rivalsa e di rancore che traspare dalle loro parole. Ma a sconcertarmi ancora di più sono gli uomini desiderosi di genuflettersi di fronte a loro, di compiacerle. Inoltre, sono moltissimi gli uomini che disprezzano profondamente gli appartenenti al proprio genere. Almeno questo è quello che io vedo ogni giorno, in ufficio, fra amici, in discoteca,in giro, sui media. Cosa c'è all'origine di tutto ciò? Forse le "antiche oppressioni maschili"? Le donne di oggi - libere come l'aria - di cosa dovrebbero "vendicarsi", visto e considerato che loro non c'erano nella Storia?» Fabio
Caro amico, il suo sconcerto è condiviso da molti altri lettori, che pongono gli stessi interrogativi. L’esperienza terapeutica, mostra però che lo stile “iper-assertivo” fatto proprio oggi da molte donne, nasconde spesso un’insicurezza. Chi è davvero forte, infatti, non ha bisogno di dimostrarlo in continuazione. Anche i dati delle ricerche sul malessere aziendale nei confronti dei capi donna, condiviso da uomini e donne, confermerebbero la frequenza di un imbarazzo femminile nel comando, che scivola a volte in uno stile percepito come arrogante. D’altra parte per la donna non è facile esprimersi in modo personale, in una cultura aziendale modellata su valori e comportamenti tradizionalmente maschili. E’ invece meno studiata la reazione che lei chiama di “genuflessione” di molti uomini di fronte a quelle donne che scelgano di fare dell’arroganza il proprio stile di comunicazione. Lei chiede, nella sua lettera, se dietro di questo non ci sia un "senso di colpa" degli stessi uomini accumulato nella lunga storia del loro potere. Si tratterebbe insomma di una sorta di “pentitismo” di maschi che scelgono, come nel caso dei collaboratori di giustizia “pentiti”, la dichiarazione di colpevolezza per mitigare il prezzo della pena. Lei stesso, tuttavia, critica questa tesi, osservando: “cosa c'entrano però le attuali generazioni maschili, che mai hanno oppresso qualcuno?” In effetti, sembra proprio che il senso di colpa sia personale, e non trasferibile lungo i secoli, e le generazioni. L’impressione che emerge anche dal lavoro psicologico con gli uomini è invece un’altra. Sia la “genuflessione” nei confronti della “donna dominatrice”, che il disprezzo e la concorrenza per gli altri maschi, nascono da un profondo scollamento di gran parte degli uomini di oggi dalla propria appartenenza di genere, non più sentita come valore. Molti sono i fattori che hanno determinato questa situazione, diffusa in tutto l'Occidente. Decisiva è però la dimissione dalle funzioni di iniziatore del figlio maschio da parte del padre, sempre più assorbito da carriere e lavori che lo tengono lontano da casa e dalla famiglia. Il giovane uomo non sente l'appartenenza al proprio genere come valore perché il padre non gliene trasmette più i contenuti. Che sono in parte istintuali, e non possono quindi essere comunicati (magari silenziosamente) che da una figura maschile, e in parte culturali, ed anche in questo caso è indispensabile che a trasmetterli sia qualcuno che ne partecipa direttamente e profondamente. Il nuovo maschio è quindi, spesso, carico di avversione verso il proprio genere: un club di cui nessuno gli ha spiegato come ottenere la tessera di ammissione.
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