Don Giovanni per forza

Dalla rubrica  info/psiche lui, Io Donna, allegato al Corriere della Sera, 23/07/05. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

"Vivo un matrimonio felice e molto appagante, ma devo sedurre anche altre donne. Mi dà un senso di pienezza,  soprattutto se già sposate. Ad interessarmi non è la relazione (mia moglie mi basta), ma la conquista. Ho trentacinque anni, e ho sempre considerato la cosa più che naturale per un uomo, anche se mio padre, che giudicavo bigotto, mi ha dato tutto altro esempio.  A volte però mi sembra quasi un lavoro…."

 

Dario

 

Caro amico, la necessità di  sedurre, quando già si vive una situazione affettivamente e sessualmente appagante, ha origine in una nevrosi, come tutti i comportamenti coatti, come  ogni dipendenza. Non è dunque segno di pienezza, ma caso mai di mancanza. Ciò che manca soprattutto, in questo specifico comportamento, è un buon rapporto col proprio genere, quello maschile, magari glorificato a parole, ma, letteralmente “cornuto” appena possibile. Come accade ai mariti delle donne da lei conquistate. E poiché a metterci a nostro agio nel nostro genere maschile, è, innanzitutto, la figura del padre, è appunto nella relazione con lui che affonda questo comportamento. Dunque, mentre il seduttore di solito pensa di agire in funzione delle donne, che vuole conquistare, in realtà la sua è una forsennata competizione con gli uomini, che vuole battere. Come dimostra perfettamente la leggenda di Don Giovanni, in tutte le sue numerose narrazioni, non è l’amore delle donne che lo muove (tant’è vero che poi le lascia), ma l’avversione al padre e alla sua legge, che impone la tutela e la difesa dell’altro, a cominciare dalla donna e dal bambino. Anche nella sua storia compare quest’aspetto: suo padre, che le ha trasmesso un esempio di fedeltà alla propria compagna, era da lei giudicato bigotto. Secondo lei anzi, è proprio questo lato “noioso” del padre che l’ha spinta a suo tempo verso la trasgressione sistematica della fedeltà coniugale, poi divenuta coazione. Può darsi che le cose stiano effettivamente così, e che suo padre le abbia  presentato le virtù maschili in modo scialbo e moralistico, facendogliele odiare anziché amare. Accade però spesso anche un'altra cosa: che il figlio, non sentendosi per qualche ragione all’altezza del padre (non riuscendo a superare l’Edipo, direbbe Freud), decida che si tratta solo di un ometto noioso, e si dedichi a dissacrare i capisaldi del suo insegnamento. Perfino a Jung è capitato qualcosa del genere, come dimostra un bel libro in pubblicazione da Moretti e Vitali. Cominciare così, spesso, una competizione col mondo dei padri - mariti, insomma col mondo  degli uomini, combattuta in gran parte, come raccontano appunto le narrazioni di Don Giovanni, sul corpo delle loro mogli, e figlie (sarà appunto il padre di una di queste figlie sedotte ad uccidere Don Giovanni). Come vede, in tutta questa vicenda, caro amico, la “pienezza maschile” c’entra assai poco, se non come mancanza,   come qualcosa di continuamente inseguito attraverso la conquista, dell’oggetto del desiderio maschile, la donna. Che viene poi subito abbandonato, proprio perché è vissuto come un provvisorio trofeo, e non un vero incontro tra due persone.

           Claudio Risé

   

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