Diciamoci tutto

Dalla rubrica  info/psiche lui, Io Donna, allegato al Corriere della Sera, 10/7/04. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

Raccontare incontri e corteggiamenti. Un gioco narcisistico che può far soffrire il partner. Costretto ad ascoltare in nome di una fasulla libertà dei sentimenti.

“Io ti dico tutto, perché tu no”? E’ questo il ritornello della mia compagna, quando mi costringe a subire dettagliati resoconti sui suoi  incontri, ricchi di risvolti sentimentali, durante meeting di lavoro, o simili. Io ascolto, per non sembrare indifferente, o un geloso, a cui monta subito il sangue alla testa. Però soffro. Non perché gli uomini le facciano la corte: è carina, interessante, quindi è assolutamente naturale che ciò accada. Mi fa soffrire però che lei, invece di lasciar correre, come faccio io quando mi capita qualcuna che parte all'assalto, dia a questi episodi tutta questa importanza. Se tra noi c'è un sentimento d'amore, perché giocare con quello degli altri? E soprattutto sto poi male quando mi sento  obbligato ad ascoltare, in nome di una libertà dei (o dai) sentimenti, che non esiste.

Lettera firmata

Caro amico, lei sta male perché in questo rito del racconto post meeting o convegno, che purtroppo molte donne (ed anche molti uomini) praticano, c'è una sottile crudeltà, travestita da libera comunicazione. A consentirla è un equivoco, di matrice ideologica: che è meglio raccontare, e far sapere, piuttosto che tacere, e tenere per sé alcune cose. Questo è falso, perché la psiche di ogni individuo ha proprie fragilità, che non la mettono  in grado di accettare tutto dell'altro. Per esempio nella  sua storia la vostra posizione è asimmetrica, ineguale, e ciò corrisponde probabilmente ad una diversità della vostra sensibilità. Lei privilegia il rapporto con la sua compagna, e non si lascia, a quanto dice, ingombrare da altre storie, che sente come dispersive rispetto al suo  rapporto d'amore. Per la sua compagna invece non è così, ed il gioco sentimentale sembra avere ancora valore, tanto da coltivarlo, ed insistere per raccontarglielo. Esiterei ad interpretare questo comportamento come un tratto femminile: le donne sono capacissime di profondi e duraturi silenzi, tanto quanto gli uomini, anche se con stile diverso. Ho piuttosto l'impressione di un'insicurezza profonda, probabilmente risalente ai rapporti con le figure genitoriali, che crea nella sua compagna un'insaziabile sete di apprezzamento, e di racconto degli apprezzamenti ricevuti, per sentirsi  più forte. Una sete che per ora non è stata colmata dai suoi apprezzamenti e dal suo amore, che da quanto mi racconta nella sua lettera è pur importante, e manifesto. In lei però, caro amico, questi dettagliati e autocelebrativi racconti, creano sofferenza. Non perché lei non accetti che queste cose accadono, ma perché è ferito dall'importanza che la sua compagna attribuisce loro.  Ed è doppiamente ferito dalla richiesta di ascoltarle: una domanda crudele, perché passa sopra ai suoi sentimenti, cercando di cancellarli sotto un principio razionale, di origine ideologica: parlarsi è meglio che tacere. Principio che nelle comunicazioni  sentimentali, dove una parola può avere l'effetto di una pugnalata da cui l'altro può anche non riprendersi, andrebbe usato con grande cautela. Ho l'impressione, caro amico, che questo gioco crudele, mascherato da ideologia della libertà, andrebbe ormai svelato. Su questo terreno sì, è davvero urgente che voi comunichiate francamente. E' importante che lei dichiari alla sua amica i suoi sentimenti, che non sono né arretrati, né incivili, ma semplicemente umani. E non è neppure escluso che anche questo sia uno degli scopi della sua compagna: farla uscire dalla sua tana di civile disponibilità, e vederla dichiarare la sua umanissima gelosia. Che colerà come miele sul narcisismo della sua  amica. 

       Claudio Risé

   

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