Come si fa a conquistare una ragazza        

Dalla rubrica  "Psiche lui" di Claudio Risé, in Io Donna, allegato al "Corriere della Sera". 

"Come si fa a conquistare una ragazza? Ho 22 anni, e di ragazze ne ho avute diverse, ma mi rendo conto che sono state storie nate per non stare da soli, piacevoli. Ma non sento di averne “conquistata”, veramente, nessuna. Anche intorno a me vedo molte storie di comodo, ma poche veramente convinte. Le ragazze ci stanno, magari diventano anche gelose, possessive, ma di rado sono veramente “prese”. D’altra parte la stampa “specializzata”, diretta agli uomini, attribuisce a prestazioni sessuali e muscolari una capacità di conquista sulle donne che non mi sembra   confermata dalla realtà, salvo per singole sprovvedute, che non sono  la maggioranza. Come mai non sappiamo più conquistare le donne?" Giovanni, Pavia

Caro amico, credo che la conquista della donna sia diventata più difficile perché è l’atto stesso del “prendersi”, tra esseri umani, che ha finito col venire considerato poco interessante, strano, se non addirittura disdicevole. Ciò è certamente legato a fattori sociologici come la maggior abitudine alla solitudine, all’individualismo, ed alla crisi della famiglia, come prospettiva esistenziale condivisa. Ma tutti questi elementi si intrecciano, e potenziano, un tratto psicologico che caratterizza l’occidentale, oggi: la paura di entrare in una relazione profonda con l’altro, in una vera intimità. Questo è poi veramente il “conquistare” una donna: penetrare nella sua intimità, accettando, naturalmente, che anch’essa entri nella nostra. Intimità intesa non tanto come notizie su di sé (che anzi nelle relazioni “freddine” di cui lei parla  vengono fornite abbondantemente, cancellando ogni tratto di mistero), ma come offerta all’altro del nostro vero essere, della nostra autenticità. Allo scopo, appunto, di “prenderlo”, di conquistarlo. Prospettiva guardata invece con sospetto, tanto che anche nel rito del matrimonio religioso lo sposo non  dice più: ”ti prendo”, ma “ti accolgo”. Il che aggiunge qualcosa in termini di accettazione reciproca, ma certamente ne toglie dal punto di vista di quell’indispensabile volontà di “conquistare” l’altro, di prenderne il cuore, senza la quale la relazione rimane ad un livello di condivisione più superficiale. Priva, spesso, di quegli attimi di “partécipation mystique” (come l’hanno chiamata gli etnologi studiando la psicologia dei primitivi), in assenza della quale non si produce una vera passione d’amore.  Il “sapere” della conquista  ha, infatti, alla base, la spinta molto elementare, molto naturale (per certi versi primitiva), di prendere l’altro per completare sé stesso, percepito come parziale, mancante di una parte fondamentale, identificata appunto nell’altro, nel proprio oggetto d’amore. Per realizzare questo desiderio, elementare, di completezza, l’essere umano ha poi sviluppato, nel tempo, tutto un processo di “educazione sentimentale”  evoluto, anche raffinato, soddisfacendo anche alle esigenze di crescita e di completamento dell’altro. Questa educazione è oggi in crisi anche perché si è affermata una sorta di psicologia autarchica, che tende a convincere l’individuo di avere tutto in sé, e di non aver bisogno di nessuno. Si è così confusa la conquista, che tendeva all’unione con l’altro, con l’utilizzo, che tende invece al suo sfruttamento. Anche per questo molte relazioni sono diventate uno studiarsi cautamente, anziché prendersi, e donarsi generosamente. E’ da queste gabbie psicologiche, ormai molto interiorizzate, che occorre uscire per ritrovare il sapere, e il piacere, della conquista.

Claudio Risé

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