Il
tempo libero, nella modernità occidentale, non é per niente libero. Fuori dal
nostro mondo "privilegiato" il contadino indocinese o l'artigiano
arabo quando smette di lavorare si siede ai bordi di un campo, o in un suk,
parla con gli amici, guarda per aria, prega se ne ha voglia, pensa a una donna:
insomma é libero. Vive istintivamente, ma anche perché la sua cultura glielo
consente, qualcosa di simile a ciò che i romani avevano chiamato otium,
contrapposto al più vile, perché utilitario, negotium. Il tempo creativo per
eccellenza, proprio perché non si propone nulla, quello nel quale ogni essere
umano può ritrovare, se non l'ha persa, la sua originaria nobiltà, il suo non
essere solo soggetto - oggetto di produzione e scambio, la sua libertà e,
quindi, vicinanza col divino. Nel mondo occidentale invece, e nelle propaggini
che esso é riuscito a mettere in alcune società industrializzate
extraoccidentali (tra le borghesie subalterne all'occidente o nel proletariato e
sottoproletariato macdonaldizzato), il tempo libero non é libero. Anche se
apparentemente si estende sempre di più, con o senza le 35 ore bertinottiane,
esso continua in realtà ad essere un tempo produttivo, rigidamente
regolato dal modello produzione-consumo. Perché il tempo libero é comunque
condannato a riempire coi suoi consumi il vuoto identitario prodotto dalla
modernità occidentale. Un esempio per tutti. Il lavoratore della pietra dell'
Ossola, o del Carrarese, o del Carso, era inserito in altri tempi in un campo
simbolico - sacrale (come quello del minatore: colui che estrae dal corpo
vivente della madre, ostetrico dei corpi duri, dei materiali forti ) da cui
derivava un'identità forte, e circondata da rispetto. Oggi, il sistema
occidentale e la sua cultura disprezza l'elemento materiale e naturale (in
questo caso la pietra, in altri il ferro, le terra, eccetera), naturalmente per
far quattrini: i prodotti di sintesi rendono di più. Ma in ciò si é dato una
perfetta giustificazione "filosofica" col corto circuito
dell'idealismo storicista: "l'uomo é cultura dunque storia". Peccato
che se la "storia", in cui viene identificato l'essere umano, si
impantana nella società del consumo, l'uomo non ha più altra identità che ciò
che consuma. Tornando dunque al nostro pietraiolo non importa nulla che la sua
famiglia lavori la pietra da generazioni, che il nonno avesse scolpito i leoni
che ruggiscono sulla stazione di Milano, o altrove. Decisivo per la sua identità
é ciò che consuma, e che gli altri vedono soprattutto nel suo tempo libero.
Dal bracciale dell'orologio al gel, dal vestito della ragazza alla sua scarpa:
il tempo libero serve, innanzitutto, per mostrare i consumi, unici produttori di
identità nell'occidente moderno. Ecco quindi che il tempo libero non é affatto
libero, perché in realtà esso viene investito, deve venire investito, nella
produzione di un valore spendibile socialmente, che non é il denaro, ma la cui
produzione é altrettanto obbligatoria di quella del denaro nel tempo lavorato.
E' il valore che Baudrillard riferiva allo status, al prestigio sociale,
all'immagine: il tempo libero viene appunto dedicato alla produzione di questo
valore . La coazione a investire il tempo libero nella produzione di un valore
di status, diverso dal denaro, é tuttavia ancora più forte di quanto osserva
Baudrillard. E ciò perché non si tratta solo di produzione di status, ma del
tentativo di "fabbricarsi" un simulacro di identità, qualcosa dunque
di più profondo e indispensabile dello status o del prestigio sociale, anche se
ad esso connesso. Certo, si tratta di un'identità fragile, provvisoria, e
ansiogena, ma é l'unica possibile nell'attuale società occidentale dei
consumi. L' identità non "debole" e non "fabbricata"
infatti, é stata polverizzata prima dal processo di secolarizzazione, e poi da
quello di industrializzazione.In essi, l'uomo e la sua vita é stato separato
dal sacro, e gli é stato così impedito di fondare un 'identità stabile sulla
relazione col campo simbolico (che é appunto anche quello del sacro, e
della natura che lo esprime e vi rimanda). Quando, come nella società
occidentale dei consumi, il rapporto col sacro viene spezzato, quello con
l'elemento materiale e naturale privato di significato, e lo stesso lavoro passa
dall' "arte e mestiere" a competenze provvisorie ed intercambiabili,
prive di significato in sé, il cosiddetto "tempo libero" diventa
l'ultima zattera per costruire affannosamente spezzoni di identità, che
consentano un autoriconoscimento, seppur provvisorio, e un' identificazione da
parte del gruppo. Non solo dunque questo tempo non é affatto libero, ed invece
ansiosamente produttivo. Ma, inoltre, questa produzione di valore identitario,
nella quale il tempo libero viene faticosamente investito (lo stress da vacanze
tropicali é un classico tragicomico di questo lavorìo), viene realizzata
nell'unico modo imposto dal modello sociale dominante: quello del consumo. Il
soggetto é cioé costretto a investire il tempo libero in determinati consumi,
sperando così di riuscire a produrvi ciò che altrimenti non ha, o ha solo
provvisoriamente, e fragilmente: identità, status, visibilità sociale. Nella
farsa sociale del tempo libero nella modernità occidentale c'è tuttavia un
aspetto particolarmente drammatico. A volte soggetti o comunità,
particolarmente disancorate da ogni aspetto naturale ed autentico, spingono la
fabbricazione nel tempo libero di oggetti di consumo "marcatori" di
identità fino a distruggere ogni aspetto vitale. "... Spariscono i
giardini.. disgrazia per colui che porta in sé il deserto, colui che non ha in
sé, almeno in una cellula, un po' di prima materia della foresta, garanzia di
una fecondità che si rinnova in continuazione.." questa preoccupazione di
Jünger nel "Trattato del ribelle", riguarda direttamente il nostro
tema. Perché "colui che non ha in sé, almeno in una cellula, un po' di
prima materia della foresta", l'uomo del Zivilisationprozess separato dalla
Kultur, per "fabbricarsi " un'identità porta il deserto col suo
terrificante "tempo libero". Si costruisce residenze in villaggi dove
prima erano boschi e giardini, si fabbrica lineamenti di plastica, capelli
finti, vive con donne di silicone, dallo sguardo vitreo....L'attacco al corpo,
al proprio e a quello della natura, é il momento più mortifero della
mascherata funeraria, tardomoderna, del tempo libero. Che sollecita, in chi ama
la vita e la libertà un preciso impegno morale, e politico. Liberare il tempo
dalla schiavitù consumistica del "tempo libero", ed impedire che
l'ansia della produzione di status distrugga la vita, nella terra e nei
corpi.
Claudio Risé