Lo stile di vita occidentale si fonda sul circuito perverso “produci-consuma-crepa”  

Civiltà cresciute contronatura  

Da Area luglio/agosto 1998

 

Il tempo libero, nella modernità occidentale, non é per niente libero. Fuori dal nostro mondo "privilegiato" il contadino indocinese o l'artigiano arabo quando smette di lavorare si siede ai bordi di un campo, o in un suk, parla con gli amici, guarda per aria, prega se ne ha voglia, pensa a una donna: insomma é libero. Vive istintivamente, ma anche perché la sua cultura glielo consente, qualcosa di simile a ciò che i romani avevano chiamato otium, contrapposto al più vile, perché utilitario, negotium. Il tempo creativo per eccellenza, proprio perché non si propone nulla, quello nel quale ogni essere umano può ritrovare, se non l'ha persa, la sua originaria nobiltà, il suo non essere solo soggetto - oggetto di produzione e scambio, la sua libertà e, quindi, vicinanza col divino. Nel mondo occidentale invece, e nelle propaggini che esso é riuscito a mettere in alcune società industrializzate extraoccidentali (tra le borghesie subalterne all'occidente o nel proletariato e sottoproletariato macdonaldizzato), il tempo libero non é libero. Anche se apparentemente si estende sempre di più, con o senza le 35 ore bertinottiane, esso continua in realtà  ad essere un tempo produttivo, rigidamente regolato dal modello produzione-consumo. Perché il tempo libero é comunque condannato a riempire coi suoi consumi il vuoto identitario prodotto dalla modernità occidentale. Un esempio per tutti. Il lavoratore della pietra dell' Ossola, o del Carrarese, o del Carso, era inserito in altri tempi in un campo simbolico - sacrale (come quello del minatore: colui che estrae dal corpo vivente della madre, ostetrico dei corpi duri, dei materiali forti ) da cui derivava un'identità forte, e circondata da rispetto. Oggi, il sistema occidentale e la sua cultura disprezza l'elemento materiale e naturale (in questo caso la pietra, in altri il ferro, le terra, eccetera), naturalmente per far quattrini: i prodotti di sintesi rendono di più. Ma in ciò si é dato una perfetta giustificazione "filosofica" col corto circuito dell'idealismo storicista: "l'uomo é cultura dunque storia". Peccato che se la "storia", in cui viene identificato l'essere umano, si impantana nella società del consumo, l'uomo non ha più altra identità che ciò che consuma. Tornando dunque al nostro pietraiolo non importa nulla che la sua famiglia lavori la pietra da generazioni, che il nonno avesse scolpito i leoni che ruggiscono sulla stazione di Milano, o altrove. Decisivo per la sua identità é ciò che consuma, e che gli altri vedono soprattutto nel suo tempo libero. Dal bracciale dell'orologio al gel, dal vestito della ragazza alla sua scarpa: il tempo libero serve, innanzitutto, per mostrare i consumi, unici produttori di identità nell'occidente moderno. Ecco quindi che il tempo libero non é affatto libero, perché in realtà esso viene investito, deve venire investito, nella produzione di un valore spendibile socialmente, che non é il denaro, ma la cui produzione é altrettanto obbligatoria di quella del denaro nel tempo lavorato. E' il valore che Baudrillard riferiva allo status, al prestigio sociale, all'immagine: il tempo libero viene appunto dedicato alla produzione di questo valore . La coazione a investire il tempo libero nella produzione di un valore di status, diverso dal denaro, é tuttavia ancora più forte di quanto osserva Baudrillard. E ciò perché non si tratta solo di produzione di status, ma del tentativo di "fabbricarsi" un simulacro di identità, qualcosa dunque di più profondo e indispensabile dello status o del prestigio sociale, anche se ad esso connesso. Certo, si tratta di un'identità fragile, provvisoria, e ansiogena, ma é l'unica possibile nell'attuale società occidentale dei consumi. L' identità non "debole" e non "fabbricata" infatti, é stata polverizzata prima dal processo di secolarizzazione, e poi da quello di industrializzazione.In essi, l'uomo e la sua vita é stato separato dal sacro, e gli é stato così impedito di fondare un 'identità stabile sulla relazione  col campo simbolico (che é appunto anche quello del sacro, e della natura che lo esprime e vi rimanda). Quando, come nella società occidentale dei consumi, il rapporto col sacro viene spezzato, quello con l'elemento materiale e naturale privato di significato, e lo stesso lavoro passa dall' "arte e mestiere" a competenze provvisorie ed intercambiabili, prive di significato in sé, il cosiddetto "tempo libero" diventa l'ultima zattera per costruire affannosamente spezzoni di identità, che consentano un autoriconoscimento, seppur provvisorio, e un' identificazione da parte del gruppo. Non solo dunque questo tempo non é affatto libero, ed invece ansiosamente produttivo. Ma, inoltre, questa produzione di valore identitario, nella quale il tempo libero viene faticosamente investito (lo stress da vacanze tropicali é un classico tragicomico di questo lavorìo), viene realizzata nell'unico modo imposto dal modello sociale dominante: quello del consumo. Il soggetto é cioé costretto a investire il tempo libero in determinati consumi, sperando così di riuscire a produrvi ciò che altrimenti non ha, o ha solo provvisoriamente, e fragilmente: identità, status, visibilità sociale. Nella farsa sociale del tempo libero nella modernità occidentale c'è tuttavia un aspetto particolarmente drammatico. A volte soggetti o comunità, particolarmente disancorate da ogni aspetto naturale ed autentico, spingono la fabbricazione nel tempo libero di oggetti di consumo "marcatori" di identità fino a distruggere ogni aspetto vitale. "... Spariscono i giardini.. disgrazia per colui che porta in sé il deserto, colui che non ha in sé, almeno in una cellula, un po' di prima materia della foresta, garanzia di una fecondità che si rinnova in continuazione.." questa preoccupazione di Jünger nel "Trattato del ribelle", riguarda direttamente il nostro tema. Perché "colui che non ha in sé, almeno in una cellula, un po' di prima materia della foresta", l'uomo del Zivilisationprozess separato dalla Kultur, per "fabbricarsi " un'identità porta il deserto col suo terrificante "tempo libero". Si costruisce residenze in villaggi dove prima erano boschi e giardini, si fabbrica lineamenti di plastica, capelli finti, vive con donne di silicone, dallo sguardo vitreo....L'attacco al corpo, al proprio e a quello della natura, é il momento più mortifero della mascherata funeraria, tardomoderna, del tempo libero. Che sollecita, in chi ama la vita e la libertà un preciso impegno morale, e politico. Liberare il tempo dalla schiavitù consumistica del "tempo libero", ed impedire che l'ansia della produzione di  status distrugga la vita, nella terra e nei corpi.
Claudio Risé


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