Carriere con doping

Dalla rubrica  info/psiche lui di Claudio Risé, in Io Donna, allegato al "Corriere della Sera", 28/01/06. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

"Ho letto la lettera del giovane manager preda della cocaina e la sua risposta (Io Donna, 7gennaio 2006). Oltre all’inconsapevolezza dell’ “ombra del potere”, c’è un’altra causa  del comportamento. Oggi  si deve far carriera entro 40 anni. Ciò produce un’ansia che diventa insostenibile proprio quando il posto importante l’hai avuto, e sai che su quello giochi tutto. Ho 47 anni, e lo vedo nei colleghi giovani". Fabrizio, Roma

"Perché non parla del rapporto tra le donne in carriera e la coca? Io ci sono passata, è terribile".

Laura, Milano

Cari amici, le vostre sono due tra le molte lettere arrivate per raccontare il bisogno, frequente nei giovani manager, maschi e femmine, di assumere sostanze euforizzanti, in particolare alcool e cocaina. La reazione dei lettori, dimostra l’attualità di questo problema sommerso, di cui si parla solo, superficialmente, quando la cronaca lo propone. Come mai nelle maggior parte di attività di formazione aziendale non viene quasi mai trattato? Perché non gli si dedica mai una lezione? Sembrerebbe che ci sia un divieto, inconsciamente condiviso, di parlare della questione cui questo comportamento rimanda. Vale a dire di quell’obbligo sociale di essere euforici e ottimisti, all’osservanza del quale è oggi legata l’immagine del successo e le tecniche proposte, e sollecitate  per ottenerlo. Insomma è vietato parlare di quanto costi, agli individui, e al collettivo sociale, l’obbligo di essere allegri, brillanti, spiritosi, “in forma”. Di quanto costi cioè, per dirla in termini psicologici, la rimozione dell’ombra; il fare finta che “è tutto O.K”. Si tratta di un costo certo perché, naturalmente, non è mai tutto ok, c’è sempre qualcosa che non va. Mentre però se uno riconosce cosa non va, e se lo dice, e lo dice a qualcun altro, ciò lo aiuta ad affrontare e trasformare il problema, il rimuovere cosa non va lo trasforma (nell’inconscio in cui viene cacciato), in un nucleo minaccioso, a non vedere il quale servono le sostanze intossicanti a cominciare da alcool e coca. Entrambe le vostre lettere affrontano, da angolature diverse, la situazione. Fabrizio vede il problema del tempo. Per essere veramente riflessivi, per riconoscere “cosa non va”, e dirselo, bisogna avere il tempo di farlo. E se tutta la vita si gioca in quei terribili dieci anni, dai trenta ai quaranta, durante i quali devi fare la carriera (da cui poi dipende tutto, o così tu credi: vita affettiva, salute, serenità), il tempo per riflettere, e riconoscere le situazioni, non c’é. Non c’è neppure il tempo per riconoscerti, per capire chi, e cosa, sei. Il sniffare coca è anche un modo di riuscire a vivere, anche se non c’è il tempo neppure per capire chi sei. Laura, nella sua lettera, affronta il tremendo problema della donna, catturata all’interno del meccanismo, proprio di un maschile distorto, della carriera come prova del proprio valore. Come sostituto di un rapporto col proprio Sé femminile, senza il quale la donna soffre. Tranquilli, amici, torneremo a parlare di tutto questo. E’ troppo importante.

Claudio Risé

   

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