Brividi del cuore

Dalla rubrica  info/psiche lui, Io Donna, allegato al Corriere della Sera, 24/01/04. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

Accettare l'altro nei gesti della quotidianità, non solo negli attimi brucianti della passione. Significa arrendersi all'amore. Riconoscendo di non essere più soli.

 

"Anch'io, come altri lettori, tremo quando il rapporto si consolida. E rischio di usare sempre come metro dell'amore la passione (sentimentale, non sessuale: mi fido di più della tensione della mente che di quella del corpo). Mentre perde di valore quando mi fa dormire sonni tranquilli. Le sue risposte a chi vive le mie stesse tensioni spesso mi convincono. Ma a volte ancora mi perdo. E se vivo una fase di particolare serenità con la mia ragazza, mi spavento: ho paura che il sentimento si sia spento. E invece è ancora lì, intatto. E' vero, come lei dice, che l'amore è costruzione di un progetto. E noi spesso lo cerchiamo solo nel brivido del momento".

Andrea

Caro amico, il fatto è che, fino a quando rimaniamo nella mente e nelle sue tensioni, siamo ancora soli, per conto nostro. Siamo sempre "nella testa". Che è esattamente ciò che i nostri aspetti psichici più timorosi della relazione desiderano. Mentre, quando accettiamo l'amore per l'altro nelle cose di tutti i giorni, vuol dire che l'abbiamo davvero accolto nella nostra vita, come suo elemento integrante. A quel punto abbiamo davvero abbracciato l'altro, il nostro oggetto d'amore, e non siamo più soli, chiusi nella nostra roccaforte di difese verso l'esterno e, soprattutto, verso l'amore e le sue manifestazioni. Ma perché - potremmo chiederci - lo temiamo così tanto, se ci sembra invece che sia ciò che desideriamo di più? Il fatto è che proprio con la relazione d'amore l'essere umano realizza pienamente la sua umanità. Che si manifesta nella capacità di amare, specifica dell'essere umano. Si tratta dunque dell'iniziazione più importante e di quella più difficile che cerchiamo di rimandare con ogni scusa. La conquista del Graal - che infatti si conclude con la domanda posta da Parsifal: "Dimmi, cosa ti strugge?" - non è altro che la rappresentazione simbolica dell'iniziazione all'amore "da persona a persona" su cui si è costruito il modello di cultura (quindi di relazione psicologica) dell'Occidente. Un modello molto impegnativo, anche dal punto di vista esistenziale. L'amore quotidiano, non quello puramente cerebrale, costruito su miti collettivi e produzioni immaginarie, significa poi essenzialmente dono. Quando amiamo incominciamo a praticare due attività psicologiche estremamente impegnative e difficili, anche se molto belle. La prima è quella di accogliere l'altro per come esattamente è e non per come noi vorremmo che fosse. E' per questo, tra l'altro, che svalutiamo spesso l'importanza dello star bene con l'altro fisicamente. Quando ciò accade infatti ci siamo già accolti vicendevolmente, corpi e anime hanno già scavalcato da soli ogni difesa mentale. E allora usiamo qualche mito collettivo (per esempio l'immagine della "donna ideale"), o qualche produzione della testa (per esempio il concetto di "tensione mentale"), per svalutare questo incontro reale, concreto e insieme simbolico. Quando abbiamo accolto, siamo poi pronti per il dono attivo. Possiamo impegnarci, insomma, nel provare a costruire una vita con l'altro e per l'altro. Un impegno entusiasmante, ma che ci fa tremare le vene e i polsi. Anche perché si realizza anch'esso non nei meandri della mente, che pilotiamo come e dove vogliamo, ma nella realtà di ogni giorno,  tra cose da fare e affetto da donare.    

      Claudio Risé

   

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