Sacrificio
e trasformazione in Bosch
di
Claudio Risé
Incipit
al libro:
di
Massimo Centini, Edizioni Polistampa, Firenze 2003
L'arte,
è un esercizio di crudeltà, diceva Georges Bataille. Questa relazione con la
crudeltà, le viene, spiegava, dal senso della festa. Un tratto, questo,
che l’arte ha in comune con la guerra: lo vedeva bene Georges Bouthoul,
il fondatore della polemologia, lo studio della guerra, che della relazione tra
guerra e festa ha fatto il tratto distintivo della disciplina da lui fondata. Ma
la festa, quella crudelmente, e allegramente celebrata da Hieronymus Bosch,
evoca e dà campo libero all’inconscio, al rimosso, che ne costituisce la
prima materia, e ne allestisce la
segreta geometria. Arte-festa-crudeltà: questa dunque la triade che ispira la
pittura di Bosch. Raduni e cortei percorsi da figure che sono anche gli spettri
della sventura e del dolore. Nell'arte come nella festa, come
nell’osservazione della propria psiche, occorre restare
aperti all’orrore, alla rappresentazione di ciò che intimorisce e
ripugna. Senza questa apertura non c’è vera emozione (dunque:nessuna
trasformazione). Quell’emozione che nella pittura di Bosch accompagna invece,
senza lasciarlo mai, lo sguardo di chi la frequenta.
Si tratta, per la precisione, dell’emozione del sacrificio. Il
sacrificio, naturalmente, che accompagna, e rende, appunto, “sacra”, ogni
vita umana. Quello, ad esempio, narrato dalla Croce, nella riflessione religiosa
ma anche, non a caso, in tutta la storia dell’arte. Anche in Bosch.
Appassionato di sacrifici, perché assetato di trasformazione. Attivata,
appunto, dall’emozione festosa e crudele. Modernissimo, in questa sua passione
sacrificale che costituirà poi il nucleo “forte” dell’arte moderna, dalla
frantumazione cubista, a Bacon, alla body art. Tutte strade per andare
dietro la superficie, scendere al di sotto, in un’appassionata, psichica e
spirituale insieme, ricerca dell’Acheronte. La stessa che, dal secolo scorso,
ha mosso l’intuizione, e poi la pratica, psicanalitica.
Perché é vero, come dice ancora Bataille che se ne intendeva, che la
pratica del sacrificio è sempre un desiderio di distruggere. Ma anche di
rivelare. Cosa? Il piacere. Quello, appunto, poco noto, o almeno poco dichiarato
alla coscienza, assicurato dalla distruzione e dal sacrificio. Ancora: rivelare
la meraviglia, che affonda le sue radici nell’inconscio, del tormento, senza
il quale non si dà passione e quindi scoperta, trasformazione. Tutta
l’esplorazione dell’inconscio ci racconta che è il piacere che - come
ricorda ancora Bataille: “ci spinge verso il punto in cui ha luogo la
distruzione…….. fin
dall'infanzia aspettiamo lo sconvolgersi dell'ordine in cui soffochiamo”.
Bosch, questo sconvolgimento, ce lo offre con le sue feste crudeli,
rappresentando incubi, che sono anche desideri e riti d’orrore, universali ed
eterni. La contemplazione della sua pittura ci trasforma proprio perché essa
percorre con rigorosa allegria l’archetipo della festa, e
dell’orrore. Nella pittura di
Bosch la rappresentazione della distruzione dell'oggetto del sacrificio
sconvolge anche il soggetto che, osservandolo, vi partecipa. E in questo modo lo
trasforma. Osservando l’oggetto distrutto, violato, torturato, è
la nostra falsa solidità che viene spezzata, incrinata per sempre, sotto
la forza dell’emozione che rivela l’orrore. La festa crudele di Bosch
distrugge la nostra finta festa mediocre, schiudendole possibilità di
trasformazione che attingono direttamente alla vicenda della Croce. “Dobbiamo
soffermarci” esortava Bataille in L'arte, esercizio di crudeltà. “sull'accento che l'arte tocca nelle vicinanze della
morte”. E’ in quella zona che possiamo conoscere meglio i nostri desideri.
E, quindi, liberarci delle nostre paure.
[Arte, bellezza e cultura: civiltà]