Bambini senza noia
Dalla
rubrica info/psiche lui, Io
Donna, allegato al Corriere della Sera, 13/09/03. E’ possibile scrivere a
Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli
4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it
Iperattivi e incapaci di concentrarsi. Così diventano i bambini di oggi stimolati di continuo dagli adulti. Che non li lasciano mai soli. In silenzioso far niente.
«Sono un nonno agiato, reduce da una vacanza in cui ho ospitato nella mia casa in collina figli e nipoti, insieme e a turno, per circa tre mesi. Sono rimasto sbalordito da come i bambini non siano mai lasciati in pace. Mamme, e anche i papà, sia pur più riluttanti (mi sembra), continuano a portarli di qua, di là, fargli vedere il tal castello, il tal bosco, portarli ad imparare la canoa, lo ski nautico sul lago vicino, il minigolf, i safari, i parchi a tema anche se lontanucci. Una fatica bestiale, poveri bambini! E sì che qui in casa, tra giardino, bosco, fiume, lago raggiungibile in bici, ci sarebbe già un sacco di roba interessante. Ma soprattutto, mi preoccupa una questione: quando mai hanno tempo di annoiarsi, questi bambini indaffaratissimi? E, se non si annoiano, come faranno ad imparare a guardare i cespugli, le radure, spiare i movimenti degli uccelli, sentire le differenze del loro canto, capire in quale terra crescono i vermi, e in quale le formiche costruiscono le loro città? Ma se poi non imparano questi sottili misteri della natura, che a me sono serviti moltissimo anche per orientarmi nella vita, a cosa saranno servite le vacanze, se non a stancarli ancora di più? Come osano poi, genitori e educatori, incolparli di incapacità di concentrazione, se non li lasciano mai soli, in silenzio, a guardarsi intorno, in quella noia preziosa da cui nasce ogni riflessione?»
Lettera firmata
Caro amico, siamo in un modello di cultura estroverso, rivolto al di fuori, all’attività, a ciò che viene organizzato nel mondo circostante. La noia, il silenzio, il “guardarsi intorno” non programmato sono, di fatto, tabù, vengono accomunati alla depressione (con cui invece non hanno nulla a che fare), e temuti come sintomo di possibili devianze. La cauta esplorazione di un giardino e dei suoi segreti è autorizzata solo se diventa un’esperienza collettiva, didattica, con tanto di conduttore vociante e stipendiato, orari di inizio e di fine, e magari un biglietto da pagare. E’ accettata, cioè, solo se si estroverte, e si trasforma in un’esperienza socializzata, con un aspetto di consumo più o meno palese. Quali sono per bimbi e adolescenti le conseguenze di questo modello? Innanzitutto appunto quella “iperattività”, e “mancanza di capacità di concentrazione” che educatori e psicologi rimproverano poi agli stessi bambini, magari intervenendo su di loro coi noti farmaci, di cui abbiamo parlato anche in questa pagina. La concentrazione, infatti, nasce proprio nella non attività, come sapevano bene i latini che consideravano l’”otium” il tempo delle scoperte più profonde, e decisive, e il “negotium”, quello dello scambio, importante ma che senza l’otium non potrebbe mai svilupparsi davvero. La nostra invece è una psicologia, e una società, “negoziale”, dove si traffica tutto il tempo. E quindi, parrebbe, non nascono poi grande intuizioni, se non, appunto, nella direzione del comunicare: dalla televisione, al telefonino, al parco a tema. Lo sviluppo continuo dell’estroversione, e dei comportamenti organizzati, emarginando l’introversione, e i comportamenti spontanei, trovati magari nella solitudine, continua a fare crescere solo una parte della psiche umana, quella legata all’attività ed alla socializzazione diretta, ed a rattrappire quell’altra, quella orientata all’ascolto, alla ricerca pura, ed alla socialità indiretta, che nasce dalla scoperta dei legami profondi con gli altri esseri umani. La paura della solitudine, oggi così diffusa, è ad esempio uno dei risultati dello sviluppo di questo modello culturale e psicologico. L’individuo cui da piccolo è stata evitata l’esperienza della noia, molto legata a quella della ricerca, della costruzione, e della scoperta, rischia, da grande, di essere una personalità più “debole” e dipendente dagli altri, rispetto ai ragazzini che noi siamo stati, grandi costruttori di capanne nei boschi, che quasi nessuno veniva poi a visitare.
Claudio
Risé
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