Apollo uccide giocando

di Claudio Risé

 (risposta al Direttore del bimestrale Letteratura e Tradizione, Sandro Giovannini, discutendo della natura “solare” dell’architettura fascista)

(Letteratura e Tradizione www.pesaro.com/heliopolis  heliopolisedizioni@libero.it )

 

 Caro  Giovannini,

la richiesta (assai opportuna) di riflettere sulla dimensione di natura  apollinea, statica (e estatica) del fascismo, sincronica a quella dionisiaca, dinamico-eroica, mi fa venire in mente cose poco piacevoli, ma dotate forse  di brandelli di verità. Innanzitutto che Apollo, con tutta la sua solarità, giocando uccide. E’ appunto una storia mediterranea, quella che vede il Dio giocare con Giacinto, fanciullo amato per la sua bellezza, e scaraventargli in testa il disco del sole, senza pensare - nella sua estasi divina - che la capoccia del ragazzo non l’avrebbe retto. Poi certo a tardiva riparazione fa rinascere Giacinto, ogni primavera, come fiore. Si sa qual’é il destino di questi fanciulli fiore: la bellezza é sempre garantita, ma la vita breve, fragile. Come certi sussulti estetici (e politici) che ciclicamente si ripropongono, primaverilmente, perché senza bellezza non si vive, e poco dopo sfioriscono. Anche perché poi, ancora una volta Apollo riprende a dardeggiare, più forte (e infine arriva addirittura il freddo inverno). Insomma, il gioco adolescenziale col dio solare é pericoloso. Nel senso che   inchioda a un’eterna adolescenza.  Ci sono dei rivelatori di questo scenario. Uno é, appunto, una sorta di sete di bellezza. Presente anche nella tua tesi sulla “dimensione del Fascismo nello spazio e nel tempo.” Per esempio quando parli di “spazi solari” e  “esoticità riportata in casa, nei borghi chiusi e diffidenti (spesso squallidi) di allora”, descrivi efficacemente cosa accadde, ma non ti accorgi (mi pare) che “i borghi chiusi e diffidenti” non li puoi mai far fuori del tutto (né come dimensione architettonica né come metafora di una diversa socialità e individualità). Salvo appunto cadere in quella “solarizzazione” estetico-estatica che si conclude fatalmente col “colpo doloroso”, non all’inguine di Amfortas , ma sulla testa di Giacinto. Che é poi il “doppio” di quel  “narciso infantile sfrontato” di cui tu parli, che nel momento dinamico mette in scena l’Eroe e i suoi riti. Anche Narciso infatti finisce male, e rinasce con forma simile a quella di Giacinto, quella di un fiore, primaverile e caduco. L’ aspetto statico, spaziale del Fascismo, che probabilmente é come tu dici: Apollo-sole - classicità - bellezza, ne spiega la fragilità come categoria estetica, e anche politica. Non solo perché “la bellezza, se cade, non può essere perdonata”. Ma perché appunto fatalmente cade, collassa, quella bellezza che imprudentemente (e un po’ impudicamente), passa la sua giornata giocando  col Sole,                                                                                                                                                                                                                                                                                                                e rimuove l’ombra, il “natio borgo selvaggio” e il suo squallore (ma anche la sua diversa bellezza), l’introversione, la pietra grezza e non levigata e pulita . Cade , ma poi per questo non viene perdonata. Perché ha tagliato la vita, e la sua bellezza, in due, e se ne é presa solo la parte più luminosa, aperta, estroversa. Ha distrutto il borgo quella bellezza solarizzata, per “palagiare” come diceva Gadda, in Eros e Priapo, ovunque si poteva (e non si poteva). Distruggendo così anche sé stessa, perché senza l’ombra, senza le acque (non quelle luminose dei mari annessi ma quelle nascoste che scorrono sul fondo della valle), senza il bosco, non c’é rigenerazione. E se non si onora l’oscurarsi vespertino, il ritirarsi nel tramonto, la quotidiana umiltà di Compieta, il disco solare (dalla discesa troppo a lungo rinviata) ti cade in testa di colpo, e ti stende per sempre. La tensione solare non tiene -non può tenere a lungo - il giorno dura quel che dura - e seguitando a coprire l’ombra, a negarla, diventa superficialità, rimozione della tragedia, ignoranza e dispregio delle forze elementari, chiacchiericcio e buone maniere, passeggiate da notabile a cavallo a Villa Borghese, “bon ton” di “generone” romano... E’ da quelle parti che si prepara quindi il naufragio naturalistico-neorealista nell’arte del dopoguerra, tentativo fatalmente mancato di ritrovare la “naturalità” rimossa dalla solarità bianca e luminosa. Senza poi riuscirci,  perché il naturale invece é “forte”, e sacro, non populista e sentimentale, anche se già Visconti, prendendo la strada più corta, lo cercava sotto le canottiere di “Ossessione”. E, col gioco apollineo, si conferma, negandola, la divisione dell’Italia, che non é poi tutta così “mediterranea”, e solarizzabile. Nell’arco alpino il marmo bianco é solo obitoriale, o cattedrale. Vi si rimpiangono -non senza ragione -  i “borghi” e le contrade, del resto spesso stupende, buttati giù per far spazio agli Altari delle Vittorie (incerte, imprestate; un agile discobolo non é necessariamente buon Generale), e ai Palazzi delle Giustizie in cui si insedieranno inquisitori dal ghigno vanesio, democraticamente feroci, anch’essi cavalcanti con l’occhio all’obiettivo, mentre il cavaliere è necessariamente altrove. Servirebbero invece alberi a cui appendersi simbolicamente, come Odino dentro noi nordici ciclicamente esige, per non finire a farlo concretisticamente  come invece, sull’albicocco, Alexander Langer. 

Del resto ciò di cui parlo altro non é se non la necessità, o il destino, dell’Europa, cui tocca unire ciò che Hölderlin chiamava ( nell’ inno Andenken,  dedicato anche a questa questione ) : “il vento del nord est”, il mondo nordico, assieme  alle “lente passerelle” su cui “spirano brezze cullanti, gravi di sogni dorati” nei “giorni celebrativi”, il mondo degli Dei mediterranei. In  Andenken Hölderlin canta come sia proprio questo “salutare” devotamente il mondo delle origini mitiche, solari della nostra anima, verso cui conducono le “lente passerelle”, nei giorni celebrativi, onorando tuttavia “il vento del nord est”, a fare sì che quando “la patria tramonta”  si dischiuda la possibilità del “ mondo nuovo”. Proprio dall’incontro fra “la stirpe che resta, e le forze della natura, che sono l'altro principio reale”. L’orrore dell’oscuro originario, della terra e del sangue (del “sangue più antico,...dov’era la paura sazia ancora dei padri.” di cui parla Rilke nella Terza Duinese ), é in effetti perfettamente apollineo. Il dio del sole chiama “ orrendi numi” e anche peggio le Erinni, dee della terra e del sangue, nell’Orestea. Peccato che siano loro, questi orrendi numi, che tengono (dall’ “originaria foresta” rilkiana) nelle loro mani i fili della Tradizione, dunque della radici e delle identità, e senza di loro lo Stato non può veramente nascere, come Pallade Atena, dotata di “metis” , sa invece perfettamente.  Fu proprio questa rimozione del nord, di Wotan, dell’Ombra e della morte, che rese imprevedutamente, il fascismo politico succube di Hitler e della Germania. Ciò che viene rifiutato dalla coscienza ci possiede dall’inconscio.  La “bestia bionda” e la selva, negata nelle piazze immaginate come greco-africane, guida allora dall’inconscio la mano che firma come in trance i trattati con l’”imbianchino” gaddiano, e il suo seguito di Arbeiter jungeriani. Tanto disastrosi quanto poi sarà salvifico il Waldgänger, il ribelle che passa al bosco - ma (notazione volgare che faccio con scorretto piacere), Jünger poteva forse pensarci anche prima, sia a ribellarsi, che a passare al bosco... . Continuato con ostinazione fino ai giorni nostri, il: No! gridato in faccia  all’ombra, alla selva, alla pietra, é ciò che per reazione suscita oggi il lato “forte” della rivolta nordica (attivo soprattutto nell’animo del  Nord, ma non per questo meno reale). Del tutto incomprensibile - del resto- alla cultura dello Stato italiano, che la solarizzazione estatica della visione fascista non ha  affrancato dalla tradizionale grettezza sabauda (da caserma di secondo livello, quale fu prima lo Stato dei Savoia, poi la Casa automobilistica che ne prese il posto.) L’estasi non affranca mai da nulla, a meno che sia il risultato di un cammino spirituale consapevole (e qui certo non lo fu, persino Evola e la Rivolta confermano). Finita l’estasi tutto é come prima, anzi un po’ peggio per via del “down”. D’altra parte rimanere troppo a lungo nella depressione fa male, anche se l’aspetto euforico - maniacale del fascismo, col suo gioco solare, é appunto fin troppo “chiaro”. Bisognerà dunque uscirne in qualche modo. C’é - allora - in giro una vergine glaucopide che trasformi le Erinni in Eumenidi, facendo con loro un patto profondo, che non si dedichi solo alla  copertura marmorea della terra, ma sia capace di penetrarla ? Perché alla creatività a venire non tocchi solo il sapore acre del sangue.  Irriso, certo con scherno dal cinismo del “generone”, sensibile solo a damazze e auto blu. Eppure quel sangue che ha sete di origini già corre da anni , in tanti rivoli , anche preziosi. E, per fortuna, ogni giorno, su ogni altare. Per la salvezza di chi osa berlo.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                  

 

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