Amore e lettino

Dalla rubrica info/psiche lui, Io Donna, allegato al Corriere della Sera, 1/03/03. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it

Si inizia la terapia per curare un disturbo. Non per provare nuove emozioni. E anche l'innamoramento del paziente per l'analista, quando avviene, ha uno scopo preciso: la guarigione.

«Nella sua risposta sul numero 5 di Io Donna (1/02/03, Una strana passione), sull'amore tra paziente e analista, lei scardina la domanda dei lettori. Il fatto che l'atto d'amore possa svuotare di contenuti i risultati raggiunti dalla terapia, non risolve la questione. Molto spesso ho immaginato di fare terapia per vivere in maniera più sana la mia omosessualità, e mi sono sempre chiesto se questo rapporto con un analista uomo non mi avrebbe portato ad una passione d'amore, alla quale mi abbandono con eccessiva facilità. Quello che manca nel suo discorso sulla relazione che si stabilisce tra paziente e analista è la corrispondenza di sentimenti. Quello che lei ha descritto è un rapporto di uno a uno (da parte del paziente) contro uno a molti (da parte dell'analista). Ciò che frustra l'amore del paziente verso l'analista è la consapevolezza che quel genere d'amore da lei descritto non ha quell'univocità ed esclusività di cui l'amore (qualsiasi forma assuma) ha bisogno per essere tale. Mentre il singolo paziente ama  un solo analista, l'analista (secondo il suo principio) può amare più pazienti  contemporaneamente, di quell'amore speciale e singolare che lei ha descritto. Non è la stessa cosa. Avrei diffidenza per una terapia psicanalitica, perché saprei che l'amore per il mio analista non é corrisposto nello stesso modo».

Alessandro

 

Caro amico, nel "discorso" sulla relazione analitica, e l'amore che in essa si vive, si tende a perdere di vista  il fatto che l'analisi é una terapia. Non si va in analisi per provare nuove emozioni, né  per vivere una relazione "speciale"; tutto ciò accade, é vero, ma perché é il combustibile di un'attività terapeutica, finalizzata al benessere dell'analizzando. I numerosi limiti e vincoli del particolare affetto che sorge tra paziente e analista non sono affatto casuali, ma funzionali al buon esito della terapia. Il rischio, dunque, che il sentimento tra paziente e analista possa "svuotare i contenuti raggiunti dalla terapia" non rappresenterebbe un banale incidente, ma il fallimento di tutto il lavoro svolto, che occorre assolutamente evitare. Ma veniamo alla questione della sua lettera: il paziente ama il suo analista, quest'ultimo ama i suoi pazienti. Rapporto certamente asimmetrico: come la maggior parte dei rapporti affettivi, del resto, ognuno dei quali ha le sue segrete, o palesi, asimmetrie. Ma tutto nell'analisi é asimmetrico. E' l'analista che decide se prendere o no il paziente in analisi, che fissa il suo onorario, le condizioni del "contratto" analitico, l'orario delle sedute. Questa asimmetria, oltre ad essere funzionale allo svolgimento "tecnico" dell'analisi, ha un preciso significato terapeutico. Il paziente, proprio nel rapporto con l'analista, che pure tiene a lui, e si impegna per il suo benessere, é messo di fronte al fatto che egli non é il centro del mondo. Consapevolezza che invece la nevrosi tende a  negare, soprattutto se legata alla sofferenza narcisistica, oggi diffusissima. La terapia analitica, insomma, avanza in una situazione di privazione, in cui il paziente riceve la conferma dell'interesse e dell'impegno dell'analista per lui, ma, contemporaneamente, nulla é "come lui vorrebbe" che fosse. L'analista non é tutto per lui: é questa una delle difficili prove imposte dal piano di realtà, illustrata abbondantemente nei sogni, dove la presenza degli "altri", pazienti o familiari dell'analista, inquieta enormemente il paziente. Interpretarli aiuterà l'analizzando a abbandonare gradualmente la confusione tra amore e voracità orale (ti voglio tutto per me), che é uno dei tanti residui di un bisogno narcisistico non appagato nella relazione con la madre. E gradualmente  l'analizzando, frustrato nelle sue pretese divoranti nei confronti dell'analista, tornerà a rivolgere il suo sguardo amoroso sul mondo, sugli altri. Senza più riferire tutto a sé stesso, alle proprie pulsioni e ai propri desideri, ma imparando a vedere il volto dell'altro. E ad amarlo davvero: senza mangiarselo.

Claudio Risé

 

Torna all'Archivio Psiche Lui Anno 2003

Vai al sito www.claudio-rise.it