Il mio amico rapper   

Dalla rubrica  "Psiche lui" di Claudio Risé, in Io Donna, allegato al "Corriere della Sera", 15/04/06. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

"Giovanni, mio figlio tredicenne, legge svogliatamente i libri di scuola, ma segue con  attenzione ogni notizia sui divi della musica, di cui sa tutto. La sua passione sono le  band musicali, e rappers come Fifty Cents. Io e sua madre siamo disturbati da questa sua passione per i “divi”, condiviso con  gran parte dei suoi compagni (anche se lui sembra prenderli ancora più sul serio). Anche le maestre, che cercano di portarlo ad uno sguardo critico sulle manifestazioni del tempo, sono costernate, e tutti  non sappiamo come fare"

Un padre preoccupato

Caro amico, credo che dobbiate tutti cercare di capire cosa suo figlio (e i suoi amici) cerchino nei protagonisti del rock e del rap. Giovanni, come ogni adolescente, cerca fortemente ritmo, entusiasmo, emozioni. Cerca dei modelli giovanili con cui identificarsi, come sono appunto i protagonisti delle band, che vengono da un’esistenza  di convenzionalismi annoiati, da cui riescono ad emergere  grazie alla loro fantasia, al loro talento, ed alla loro spinta vitale. Cerca dei possibili fratelli maggiori, immagini di identificazione: materiale questo indispensabile per la crescita della personalità. In questa fase quello “sguardo critico sulle manifestazioni del tempo”, che voi e le maestre cercate di suscitare in Giovanni e nei suoi amici, ha soprattutto l’effetto di un sonnifero, di quelli che ti lasciano depresso, e col mal di testa. Un adolescente non ha bisogno di questa somministrazione di saggezza distaccata, fatalmente annoiata perché noiosa. Lo “sguardo critico” va a cercarselo, a dosi tollerabili, nelle stesse produzioni culturali e spettacolari che ama, nei testi e nella vita dei rapper ad esempio, che sviluppano anch’essi una critica sul tempo, ma con meno sussiego dell’educatore che pretende di educare spegnendo  gli entusiasmi degli educandi. Mentre invece, é proprio quell’entusiasmo che segnala un interesse  reale, una partecipazione, un’emozione, sui cui si può innestare un’esperienza educativa. Non si può educare annoiando, come certi manuali di terza media che ignorano l’epica, per proporre  retoriche poesie cinesi sulla pace. E’ certamente molto più interessante la vita di Fifty Cent, il nero emarginato promosso dall’altro emarginato (ma bianco, quindi meno di lui), Eminem, e poi affermatosi per conto proprio. In una storia così, certo anche spettacolare e di consumo, ci sono però contenuti forti: l’amicizia, la ricerca creativa, la disperazione, la spinta di sopravvivenza, la volontà di affermazione. Tutte cose spazzate via dai nostri programmi educativi, così politicamente corretti da non  lasciar più spazio alle grandi forze della vita e della storia dell’uomo, che non sono (naturalmente) per nulla corrette: sono vitali e creative. Come molti rappers. Occorre appunto fare l’operazione inversa, e chiederci cosa questi ragazzi cercano di dirci con le loro passioni. Scopriremo così che cercano di comunicarci la loro ricerca di eroi, di storie umane in qualche modo esemplari, di vicende che non nascondano il dramma della vita  sotto parole mielose (e, appunto, corrette), ma lo rappresentino per quello che è. 

Claudio Risé

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