Alla larga dai suoceri

Dalla rubrica  info/psiche lui, Io Donna, allegato al Corriere della Sera, 24/05/03. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

 

Da una parte l'etica del lavoro e del sacrificio. Dall'altra il lassismo del denaro e dell'assenza di regole. Un giovane si chiede se l'ambiente della futura moglie potrà condizionare i suoi figli.

«Se non esiste il "complesso del cognato del figliol prodigo", lo invento io. La mia ragazza è forte e volenterosa. Sorelle e fratelli, hanno avuto tutti problemi di droga: una è morta, uno non studia, l'altra ha appena finito a suon di milioni una scuola privata. Lo stesso discorso vale per i rispettivi coniugi nullafacenti. Tutti sono a carico dei miei suoceri, ricchi e aperti. Che a noi riservano frasi tipo: "Siete i più fortunati, non avete bisogno di niente". Fortunato? Vengo da una famiglia povera e laboriosa. Noi fratelli abbiamo finito l'università brillantemente pur lavorando per mantenerci agli studi. I miei suoceri lo sanno, eppure mai un elogio. Frequenti, invece, le accuse alla scuola che non capisce i ragazzi più dotati e fantasiosi. Come potremo insegnare ai nostri figli il valore del sacrificio, delle soddisfazioni, tanto più grandi quanto più intensi sono gli sforzi? Come accettare che nella famiglia di mia moglie, che sarà per noi l'unica di riferimento (i miei genitori sono scomparsi), non venga data nessuna importanza al lavoro?».

Lettera firmata

 

Caro amico, la sorprenderà, ma, purtroppo, c'è un misto di orrore e di fascino nel modo in cui lei parla della famiglia della sua futura moglie. Ed è il fascino, naturalmente, che è pericoloso. Tanto da farle immaginare che una famiglia del genere possa diventare il vostro riferimento, dato che i suoi genitori sono scomparsi. Ci mancherebbe proprio che voi guardaste a questo gruppo familiare come a un orientamento. Come lei stesso osserva. "Non penso sia un caso che tre su quattro figli abbiano cercato rifugio nella droga". Infatti non c'è nulla di più corrosivo di un'educazione dove tutte le colpe sono fuori e qualsiasi comportamento distruttivo, interno alla famiglia, viene sempre giustificato. Questo priva il giovane dell'esperienza del limite e del divieto, del senso del bene e del male, del giusto e dell'ingiusto, che è indispensabile per costruire un orientamento e una personalità. L'assenza di orientamenti, di norme e il mancato appoggio, da parte della famiglia, alle già labili norme collettive, crea appunto quel vuoto che il giovane tenta spesso di riempire assumendo sostanze stupefacenti. Le caratteristiche di questa famiglia ci impediscono, tra l'altro, ogni riferimento al "figliol prodigo", anche se l'idea della sindrome del fratello-cognato del figlio scioperato era spiritosa. Il figliol prodigo, infatti, torna al padre, riconoscendo più volte la sua colpa, e anche il padre che lo accoglie, sa benissimo che il figlio ha sbagliato, tanto da dire al fratello geloso: "Era morto, era perduto, ed è stato ritrovato" (Luca 15;32). Insomma se non c'è riconoscimento della colpa, dell'errore e del pericolo mortale corso, assieme a quello del valore del fratello che invece si comporta giustamente, non siamo nella generosità, ma nella patologia dell'onnipotenza.  Che è appunto la patologia della famiglia disfunzionale, che produce figli tossicodipendenti e poi non li giudica perché dovrebbe giudicare sé stessa. Una famiglia dunque, caro amico, da non prendere mai a riferimento del proprio nucleo familiare. Lei ha dei fratelli valorosi: stringete i rapporti con loro nel vostro cammino verso la vita. I suoi genitori sono morti, è vero, ma il loro ricordo e la loro forza sono dentro di lei; cerchi di sentire la forza, simbolica e affettiva, che queste persone semplici e brave hanno saputo darle, senza sostituirle con un nucleo familiare malato. Infine, valorizzi tutte le persone che nella città, attorno a lei e alla sua ragazza, vivono con responsabilità, consapevolezza e disponibilità al sacrificio: sono loro la comunità di riferimento.   

Claudio Risé

   

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