Adolescenza turbata

Dalla rubrica  info/psiche lui, Io Donna, allegato al Corriere della Sera, 14/06/04. E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano; oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it  

Subire da ragazzo un tentativo d'abuso. Un'esperienza lacerante che lascia, in età adulta, un pesante retaggio: l'insicurezza e la perdita di autostima.

"Ho 32 anni, ingegnere, con un ottimo lavoro. Ma nonostante la facciata ho l’impressione che la mia vita sia ferma.  A 8 anni avevo l'amichetta con cui volevo vivere, con animali, alberi da frutto e vari figli. Ma a 11 anni, iniziata la pubertà, ho conosciuto un uomo, di allora 40. Amico di famiglia, mi portava in giro, come uno zio, o un padre. Presto però, mi mise in situazioni imbarazzanti: in tenda, con esibizioni e approcci, o in barca sul lago, dove mi sollecitava a spogliarmi, e si metteva nudo davanti a me. Alla fine  di quell’estate  non avevo più la  sicurezza di prima. Mi sono sentito come rallentato, con poca fiducia in me stesso. Dal punto di vista sessuale la storia non sembra aver lasciato tracce: hanno continuato a piacermi le femmine. Ma lo slancio verso la vita è debole".  

Marcello, Novara

Caro amico, la conseguenza forse più insidiosa dell’abuso nell’adolescenza, è proprio l’indebolimento dell’autostima di chi lo subisce. Questo sentimento fondamentale, che è alla base anche dello slancio vitale, e del gusto dell’intraprendere nuove esperienze (professionali, sentimentali, spirituali), viene ferito dall’abuso, per molteplici ragioni. Una è l’impressione di essere spinto, trasgredendo, a fare cose sbagliate. A differenza però di altre trasgressioni “scelte”, che possono, al contrario, diventare anche produttrici di autostima (come la prova sportiva rischiosa, e superata), l’abuso indebolisce perché è una trasgressione subita. Passivamente. Che viene accettata o per forza, o per la maggiore autorevolezza dell’altro, o per l’ambiguo silenzio della famiglia. Tutti questi  elementi contribuiscono a fare  sentire il soggetto come caduto in una trappola, da cui non ha la forza di uscire, e per questo si disprezza. Tanto più che egli è, per solito, almeno in parte connivente con gli approcci dell’abusante, per via della fortissima attrazione che  la sfera sessuale esercita in quegli anni, in tutte le sue forme, su un’adolescente. Anche lei, caro amico, da una parte , come mi racconta nella sua lettera, disprezzava profondamente quell’uomo, ma dall’altra non riusciva a trovare la forza di mettersi al riparo da quella relazione: ad esempio raccontando tutto ai genitori e, se  non le  avessero creduto, semplicemente rifiutandosi di uscire con lui. Invece non  l’ha fatto: per quieto vivere, ma anche perché le avances di quell’adulto non la trovavano soltanto ostile, come pensava la sua coscienza. A livelli più profondi lei era anche incuriosito, attratto da quell’avventura, lusingato dall’interesse che l’uomo provava per lei, ragazzo bisognoso di conferme come ogni adolescente. Ed è proprio questa oscura e sgradevole connivenza con l’aggressore, e la passività che viene generata da questa situazione di ambiguità, che logora poi l’autostima di chi subisce la situazione abusiva. Egli si rimprovera di non averla “limpidamente” rifiutata. Anche se, nella maggior parte dei casi, non era in condizione di farlo.  Il disprezzo, e l’avversione per l’autore dell’abuso rischia dunque  di trasferirsi sulla vittima, sotto forma di insicurezza, perdita di slancio, minor interesse per la propria vita, minor fiducia nella capacità di affermarsi. In realtà, la persona “sopravvissuta” all’abuso, ha invece molte ragioni per apprezzare fortemente il coraggio che gli ha consentito di uscire da quella difficile situazione, e di costruire una vita che non è mai (come non lo è la sua) sola “facciata”. Ma spesso è difficile ritrovare queste ragioni da solo, ed occorre il “coraggio” di farsi aiutare da un terapeuta. 

       Claudio Risé

   

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