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RIDUZIONE DEL DANNO

INTERVENTI A BASSA SOGLIA

1.1 LA SOCIETÀ’ COMPLESSA

 Prima di iniziare il mio discorso mi è sembrato importante fare lo sforzo di analizzare sinteticamente la nostra società per cercare in essa l’origine del fenomeno della tossicodipendenza. Questa non è una scelta facile, in quanto ogni lettura della società è  allo stesso tempo utile ed incompleta. Ognuno di noi, nella propria esperienza, può dire qualcosa di vero sulla società ed anche gli studi più recenti riflettono la categoria mentale di chi ha potuto analizzare i dati a disposizione dei diversi osservatori della gioventù. Ciò su cui gli studi concordano è che oggi siamo tutti in una situazione di disagio, con la differenza che il mondo degli adulti ha maggiori strumenti di altri (ma è poi così vero?) per affrontare questa crisi. Ma come può una categoria che vive un certo disagio (gli adulti) giungere a risolvere i problemi di un’altra categoria (i giovani)? E’ quindi importante camminare insieme per capire e risolvere quei problemi che ci riguardano tutti. Qualcuno chiama questa situazione con il termine di Società complessa, termine che più di altri mi sembra astenersi da giudizi affrettati. Le caratteristiche di tale società, secondo questa lettura (ribadisco non l’unica!), sono:

·          Non ci sono valori unificanti: autonomia nei confronti dei valori e dei criteri, prevalenza della esperienzialità, espansione del soggettivismo (il valore uno se lo dà da sé), pluralismo culturale.

·          Pluralità dei modelli sociali o schemi di comportamento: nessun gruppo sociale è in grado di agire e proporsi come punto di riferimento unificante. Ci sono molteplici agenzie di significato. L’identità non è configurabile con un modello storico da applicarsi ad una persona o ad un gruppo o ad una istituzione, ma è relazione e quindi mutevole, flessibile.

·          Cadono le evidenze etiche: il principio fondante dei valori, delle relazioni, dell’appartenenza è la soggettività. Da qui ulteriore frammentazione. Ne deriva un aggregato di tipo debole: disponibilità a fare delle cose su tempi brevi, senza impegnare troppo la propria vita in un progetto, vivendo il tempo libero come rilassamento e disimpegno all’interno di una maggiore aggregatività.

Non mi soffermo su altri aspetti della società complessa, quali ad esempio la mondializzazione della comunicazione, l’interscambio culturale in atto attraverso l’immigrazione o l’emigrazione da  un paese all’altro, ecc. in quanto gli aspetti evidenziati hanno solo lo scopo di motivare il termine di “società complessa” da me adottato. Per ulteriori approfondimenti rimandiamo ai testi indicati nella bibliografia.

 1.2  I GIOVANI

 Come si situano i giovani nel contesto che sopra ho esposto? Ci vuole un atteggiamento di umiltà nel mettersi davanti al mondo giovanile. I giovani infatti vanno dai 15 anni ai 25 anni e sono oggi una presenza sempre più minoritaria nel nostro paese. Mentre nel 1989 erano il 19,22% della popolazione, nel ‘97 sono il 15,26% e, continuando così le cose, nel 2000 saranno il 12%. Stiamo quindi andando verso una società di anziani e resta sempre più difficile per il mondo degli adulti aprirsi al mondo giovanile, che spesso viene relegato in strutture di parcheggio (es: università) ed emarginato dalle grosse decisioni. Come guardare al mondo giovanile? Con una osservazione partecipata (osservazione soggettiva), con un approccio giovanile (osservazione di tipo sociologico), tenendo conto che i giovani sono parte del tutto ed in essi sono presenti, spesso anticipati, tutti gli aspetti della società. Per essere il più obiettiva possibile, utilizzo sinteticamente alcune categorie diverse, ben conscia che nessuna categoria da sola coglie la panoramica complessiva, in quanto ogni discorso sui giovani è fin dal suo nascere complicato e riduttivo.

·        Categoria della marginalità: i giovani sono esclusi dai diritti e dalle risorse promessi dal sistema. Essi non hanno rilevanza sul piano del potere e sono gli adulti che prendono decisioni per loro. Permangono molti anni in strutture di formazione  e tendono a chiudersi in gruppuscoli.

·      Categoria della frammentarietà: i giovani hanno perso un centro, un punto di riferimento. La scuola, la famiglia, la chiesa, lo stato sono incapaci di trasmettere una cultura uniforme. Si allentano i legami tra le diverse esperienze di tempo e si perde la memoria storica (presenzismo). I giovani reagiscono a ciò con un consumismo esasperato e una chiusura nel privato come ultima spiaggia verso la perdita di senso.

·      Categoria del cambiamento culturale: i giovani sono protagonisti di un cambiamento lento e non vistoso che a lungo andare produce nuovi valori. Essi sono in grado di fare cerniera tra passato e presente.

·      Categoria della eccedenza delle opportunità: i giovani di oggi hanno possibilità di fare molte esperienze senza fissarsi su alcuna. La spinta è il bisogno di adattamento. Il rischio è di pragmatismo strumentale che alla fine confina con l’opportunismo. In questa lettura il soggettivismo è positivo, ma vi è il rischio di perdere il significato del senso della vita.

·      Categoria dell’identità: oggi è in gioco il cambiamento radicale della nostra società dove cresce sempre più il bisogno di trovare la propria identità. Questa è rivendicata dai giovani attraverso il  loro silenzio, la loro indifferenza verso il potere, la separatezza, la mancanza di un progetto. Si rifiuta ogni modello pre-costituito. Si cerca la propria identità in nuove forme di aggregazione ( gruppi liberi, movimenti pacifisti, associazioni di interesse religioso, ecologico, salutistico, culturale, varie forme di impegno nel volontariato).

 2.1   I GIOVANI E LA DROGA

 Se prima degli anni ‘70 la diffusione della droga tra i giovani aveva assunto il significato simbolico di rottura con la cultura prevalente, presentandosi come simbolo dei valori alternativi post-materialisti e in genere non acquisiti, a metà degli anni ‘70, con la diffusione delle droghe pesanti, la droga diventa simbolo di una separatezza che implica il rifiuto radicale di ogni contatto con il mondo adulto. E’ la posizione di una generazione fortemente delusa dal mondo degli adulti e ormai prossima alla contestazione delle utopie ideologiche. All’inizio degli anni ‘80 la droga entra nello scenario della vita quotidiana come comportamento controllabile e compatibile, cioè come meccanismo di fuga o di compensazione utilizzabile senza troppi danni (o almeno così si crede) da un numero crescente di adepti. La società sembra complice del fenomeno con interventi giustificanti o con un certo disinteresse di fondo. Con gli anni ‘90 e la comparsa dell’HIV, la società si pone di fronte al fenomeno droga dapprima con interventi repressivi del fenomeno senza grossi successi. Si passa poi ad un atteggiamento di prevenzione, spinti anche da una diversa sensibilità e dalla necessità di arginare la piaga dell’AIDS. Per intanto, e ci troviamo ai nostri giorni, si diffonde l’uso di droghe alternative, quale ad esempio l’ecstasy, che apre nuovi scenari (ma questo è ancora tutto un capitolo da scrivere...).

Oggi, secondo i dati dell’ultimo rapporto dello IARD, il 26,6% dei giovani ha un atteggiamento tollerante verso le droghe leggere, il 7,5% nei confronti dell’eroina. Il dato preoccupante è che quasi un giovane ogni cinque non esclude nella propria vita l’uso di droghe leggere, mentre uno ogni trenta non esclude il consumo di droghe pesanti. E’ possibile stimare attorno ai due milioni e mezzo i giovani che, anche se astrattamente, non si ritengono del tutto estranei alla cultura della droga. E il problema non è neppure culturale, in quanto i più esposti sembrerebbero quei gruppi sociali connotati da caratteristiche che potremmo definire privilegiate e che conoscono notizie sulla droga. Il fenomeno trova la sua massima concentrazione in città con più di 50.000 abitanti, in particolare nelle grandi città del Nord e del Centro Italia. Su un’eventuale futura legalizzazione dell’uso degli stupefacenti i giovani sono per i due terzi contrari. Tenendo conto che questa indagine ha preso solo in considerazione le tradizionali droghe pesanti, senza affrontare il problema delle nuove droghe, e che il fenomeno è in espansione tra i giovani, ritengo insufficiente l’attenzione della società al fenomeno.

 2.2    LO STATO E LA DROGA

 Come l’Italia ha affrontato negli anni questa materia? La prima legge sulla tossicodipendenza è degli anni 20: non viene punito l’uso individuale, solo viene data una multa per il consumo in pubblico; viene sanzionato l’uso di gruppo e il traffico illecito; è proibito il commercio clandestino e ai minori. Nel 1954 vi è un’inversione in senso repressivo con pene detentive da 3 a 8 anni e multe salatissime per la detenzione. Il tossicodipendente viene paragonato a un malato e ricoverato in ospedale psichiatrico. Si spera di spaventare con la severità delle pene, ma i risultati non sono confortanti. La legge del 1975 dichiara, in senso solidaristico, non punibile chi acquista o detiene modiche quantità di stupefacenti per uso personale: la società non deve staccarsi da chi è in difficoltà, ma aiutarlo con interventi di assistenza, terapia e prevenzione. Si classificano le sostanze e si distingue il consumatore dallo spacciatore. Si prevede la presenza sul territorio di servizi medici assistenziali e terapeutici (legge 685/75). Nel 1990 si ha un’inversione di rotta e la criminalizzazione dei tossicodipendenti senza distinzione tra chi fa uso occasionale di sostanze e chi le spaccia. L’impostazione di questa legge verrà disconosciuta con il referendum del 1993.

Da allora si è aperta una stagione nuova per le politiche sulla tossicodipendenza in cui le parole chiave sono: riduzione del danno (RDD) e interventi a bassa soglia (BS). E’ la conferenza nazionale di Palermo (1994) a indicare queste strade. La Conferenza di Napoli, si inserisce su questa falsa riga, allargando il concetto di prevenzione e introducendo quello di “cura della vita”. Essa propone di riconoscere sempre e dovunque la dignità della persona ed i suoi diritti fondamentali anche quando il tossicodipendente non ha ancora deciso di uscire dal tunnel della tossicodipendenza.

 3.1       LA RIDUZIONE DEL DANNO

 Il concetto di RDD affiora negli anni 80 in Inghilterra di fronte all’HIV, per arginare il diffondersi di questo virus si distribuiscono siringhe e preservativi. In Italia questo concetto si afferma nel 1994 con la constatazione di alcuni problemi:

·      l’HIV ha modificato il fenomeno della tossicodipendenza elevando i rischi per la salute e la vita   dei tossicodipendenti;      

·      è cambiata la tipologia del tossicodipendente;

·      vi è la presenza di un notevole gruppo di tossicodipendenti (forse la maggioranza) che non viene   raggiunto perché insensibile a un discorso di disintossicazione;

·      vi è un elevato numero di tossicodipendenti in carcere per reati legati alla droga.

Di fronte a queste problematiche ci si pune su due posizioni:

1.    Centralità della persona e dignità di ogni individuo per cui ci si oppone ad ogni tipo di    emarginazione cercando di salvare comunque la vita e rispettando la libertà dell’altro.

2.    Importanza del recupero globale del tossicodipendente, senza cadere nell’accettazione passiva della sua situazione, ma inseguendo sempre un cammino di crescita e di autopromozione. In questa diversità di vedute è comune il rifiuto dell’ aspettare che il ragazzo tocchi il fondo. Logica valida un tempo, ma rischiosa oggi con la presenza dell’ AIDS: la vita deve essere salvaguardata sempre e comunque. E’ comune l’attenzione sulle scelte affinché siano rispettose della dignità umana e non siano semplificatorie (repressione - approccio farmacologico).

Se vi è un’attenzione e una sensibilità comune fra tutti gli operatori ad affrontare il tema tossicodipendenza da quest’ottica, più complesso è il discorso sui mezzi con cui si attua la RDD; è lì che ci si divide. Questi mezzi sono:

-      disponibilità e accessibilità di presidi sanitari,

-      unità di strada per contattare il sommerso,

-      distribuzione di siringhe e profilattici per agganciare i tossicodipendenti e diminuire i rischi di infezione,

-      prescrizione di farmaci sostitutivi (metadone),

-      interventi assistenziali per garantire il minimo vitale a chi è sulla strada,

-      legalizzazione delle droghe leggere per prevenire l’uso di eroina, separando i mercati e la prescrizione controllata di eroina . Questo con l’intenzione di sottrarre il tossicodipendente dai rischi dello spaccio e agganciarlo alle strutture sanitarie.

I rischi maggiori che vengono colti sono:

-      l’ideologizzazione degli interventi: la tossicodipendenza è un problema non semplice a cui si fa fronte con risposte varie e complesse;

-      la possibilità di usare gli interventi di RDD per controllare i tossicodipendenti e la piccola delinquenza che da essi deriva (ghettizzazione);

-      la generalizzazione: ogni tossicodipendente ha una sua storia e una sua originalità per cui ognuno necessita di un intervento ad hoc;

-          la cronicizzazione degli interventi: ogni azione su  un singolo è un momento transitorio in un cammino di crescita.

Cadendo in questi rischi perde importanza la comunità.

Da questi rischi si coglie anche l’ambiguità del termine: RDD: danno per chi? Per il soggetto o per la società? In base alla risposta anche le scelte concrete saranno diverse.

 A livello operativo la RDD viene accettata come una delle possibili risposte alla tossicodipendenza a cui si accompagnano altre azioni: prevenzione, attività sul territorio, educazione, sostegno alle famiglie, SERT,  interventi intermedi che possano accompagnare il tossicodipendente (unità di strada, centri diurni, cooperative di reinserimento  lavorativo, ecc..).

Il punto d’arrivo deve essere sempre il recupero del tossicodipendente, con tempi più o meno lunghi, a seconda della persona, ma ogni intervento deve essere fatto in quest’ottica, non per mantenere il tossicodipendente come tale.

In questo discorso la comunità acquista la sua peculiarità come luogo privilegiato, anche se non necessariamente unico, in cui un ragazzo può completare il suo cammino di autopromozione e preparasi a riprendere la sua vita nella normalità.

Queste le linee e le prospettive che avrebbero dovuto guidare gli interventi nel campo della tossicodipendenza negli ultimi anni. In realtà si è a volte ridotta la RDD a distribuzione di metadone, con il risultato per tutti avvertibile di un progressivo svuotarsi delle comunità e un formarsi di code infinite ai SERT.

Con la conferenza di Napoli si ribadisce che il 1° obiettivo dell’azione definita “riduzione del danno” è quello di ridurre la mortalità e le patologie correlate all’abuso di droghe, attraverso un sostegno terapeutico, sia preventivo che curativo, finalizzato a limitare gli effetti negativi del consumo di droghe sull’organismo del tossicodipendente, sul suo equilibrio psichico e  sul suo adattamento sociale. Parole chiave sono: accoglienza di tutti i tossicodipendenti attraverso la capacità di relazione dell’operatore, fiducia al soggetto, stimolo alle sue capacità di autoregolazione. Le comunità e i SERT sono invitati a collaborare, ad uscire dai propri ambienti per inserirsi propositivamente nel territorio. Questo non toglie alle comunità un compito importante come tale è il recupero dei tossicodipendenti, ma intende spronarle ad agire anche al di là dei propri cancelli, soprattutto con la comparsa delle nuove droghe che, senza togliere nulla alle droghe tradizionali, sembrano innescare una serie di problemi di non facile soluzione.

 3.2  TERAPIE PROTRATTE CON METADONE

 Comunemente si sostiene che la terapia sostitutiva a base di metadone è la più efficace nel consentire a persone dipendenti dall’eroina di abbandonare lo stile di vita tossicomanico, consentendo il recupero della salute fisica, psichica e la riabilitazione sociale.

Il metadone deve essere considerato come un semplice farmaco, da utilizzare in base alle sue caratteristiche ed alle sue proprietà ed alle indicazioni specifiche nel singolo caso.

Il dosaggio adeguato indicato dalla letteratura internazionale è intorno agli 80 mg/die (con variazioni da 60 a 120 mg).

E’ dimostrato infatti che al di sotto dei 40 mg. il metadone ha un effetto antiastinenziale; con un dosaggio compreso tra i 40 e i 60 mg. si ottiene l’effetto eroina-bloking (blocco degli effetti dell’eroina); con dosaggi superiori il metadone esplica un’attività anti-craving (blocco del desiderio di eroina). In alcuni casi, le cui modalità devono essere concordate con il paziente, viene accettato l’uso contemporaneo di eroina se si ritiene che la terapia comporti comunque dei vantaggi per chi l’assume nel termine di riduzione dei rischi e di necessità condizionanti. Si sostiene ancora che la letteratura scientifica internazionale è a favore del trattamento metadonico.

Tutti i paesi che hanno adottato indicazioni a favore della riduzione del danno, hanno in questi ultimi anni liberalizzato la disponibilità di metadone. E’ anche assai diffuso il sostegno nei confronti dell’opinione secondo cui il mantenimento con metadone non deve essere orientato esclusivamente verso l’obiettivo dell’astinenza e secondo cui un obiettivo terapeutico basato solo sulla “eliminazione delle droghe” non è universalmente nè auspicabile nè adeguato.

L’astinenza dalle droghe illecite è considerato un obiettivo auspicabile, ma chiaramente secondario e vale la pena di osservare che non esiste prova che l’accesso ai programmi di mantenimento riduce la probabilità di una definitiva astinenza stabile dalle droghe stesse.

Gli obiettivi del trattamento metadonico sono:

·        A BREVE TERMINE:

a)    Diminuzione del rischio infettivo, sia per l’HIV che per le altre patologie (HBV, HCV, TBC, endocarditi batteriche)

b)   Diminuzione del rischio accidentale (overdose)

c)    Diminuzione del rischio di comportamenti droghe-correlati (prostituzione, attività criminali)

Riduzione della distruzione della rete sociale

·     A LUNGO TERMINE

a) Sospensione definitiva dell’uso di sostanze

b) Riabilitazione e socializzazione

3.3       ALCUNE CONSIDERAZIONI

 a)         A partire dai dati pervenutoci dal Ministero dell’Interno a cura della Direzione Centrale per la Documentazione “Settore Problemi e servizi sociali” dell’ottobre 1996, risulta che dal 1991 ad oggi il numero dei tossicodipendenti che si rivolgono al servizio pubblico è passato da 46.905 utenti a 90.278 (quasi il doppio). Di questi erano trattati con il metadone nel 1991 13.734 utenti, mentre nel 1996 sono 36.639 (quasi triplicati). Lette così le cose e tenuto conto del leggero calo di decessi, sembra che le cose stiano andando meglio e che la terapia con metadone funzioni. Ma se andiamo a vedere quanti tossicodipendenti, con l’intento di attuare un reinserimento sociale pieno e non più dipendente da alcuna sostanza hanno scelto una struttura socio-riabilitativa, vediamo che mentre nel 1991 erano 21063, nel 1996 sono 22632. Questo dimostra che il trattamento con il metadone, invece di spingere il tossico a cercare vie alternative al suo inserimento, tende a creare una nuova dipendenza. Inoltre l’aumento dei tossicodipendenti indica chiaramente l’urgenza di una nuova riflessione che  non concentri l’attenzione (e la conseguente destinazione economica dei fondi a disposizione) sulla riduzione del danno, ma andando alle cause della tossicodipendenza, tenti anche altre vie e, non da ultimo, favorisca il delicato momento del reinserimento sociale ( comunità, cooperative di lavoro, ...)

b)         Nel frattempo, da quest’anno il Fondo antidroga passa in massima parte alle regioni che lo dovranno gestire realizzando direttamente interventi preventivi. Il 75% di tutto il fondo è stato ripartito sulle regioni italiane secondo due criteri: il numero degli abitanti e la diffusione del fenomeno della tossicodipendenza. A sua volta ciascuna regione deve stabilire le modalità di accesso ai finanziamenti sulla base di una normativa predisposta dal Ministero degli Affari Sociali.

 c)         L’uso del metadone come terapia di fondo da utilizzarsi verso la tossicodipendenza, dipende dall’idea che uno ha del tossicodipendente.

Se il tossico è solamente una cellula impazzita di una società complessa come è la nostra, l’intervento su questa cellula sarà quello di ridurre il danno sociale che questa cellula può fare e -  ma solo se ritenuto possibile e con costi contenuti - recuperarla. In questo discorso si capisce bene che il tossico è visto come elemento pericoloso in quanto oltre a nuocere a se stesso (problema marginale!) diventa trasmettitore di malattie infettive e, in quanto costretto a procurarsi la roba, è un potenziale delinquente. La soluzione a ciò è duplice: o dargli la “roba” gratis (ma la disponibilità di questa rischia a sua volta di coinvolgere molti più giovani) o controllarlo. Il metadone risponde a ciò.

Se il tossico è invece una persona che esprime un disagio sociale e la tossicodipendenza una scelta più o meno voluta per un proprio tornaconto che ha creato una dipendenza, il problema è molto diverso. In questo caso il metadone può essere adottato, ma solo per un primo intervento, in quanto lo scopo è quello di intervenire sulle cause che hanno portato alla tossicodipendenza (mancanza di valori, noia, superficialità, immaturità, insicurezza, paure, amici,...). In questo caso è importante che attorno al tossicodipendente sia ricostruito un tessuto sociale diverso, nel egli possa scoprire una nuova valorizzazione positiva del tempo e delle regole. Il tutto all’interno di un modello di vita diverso dal punto di vista affettivo e valoriale.

 4.1 INTERVENTI A BASSA SOGLIA

 Per interventi a bassa soglia (B.S.) si intende tutte quelle iniziative che non pongono come pregiudiziale all’incontro con il tossicodipendente la disintossicazione e l’avvio di un percorso terapeutico. E’ una categoria più ampia della RDD e ci pone su un fronte in cui è oggi urgente e necessario avviare la sperimentazione. Prevede risposte a chi non è pronto all’ingresso in comunità, al tossicodipendente che non è disponibile alla disintossicazione, risposte varie tra le quali il tossicodipendente può trovare quella che ritiene più idonea alla sua domanda. Questo intervento si situa in diverse aree, in particolare:

·      sensibilizzazione dell’opinione pubblica per riproporre la figura del tossicodipendente come persona capace - se aiutata - di autopromozione, evitando la sua emarginazione e superando l’ottica che lo vede esclusivamente come problema sociale.

·      Formazione di figure intermedie (volontari, psicologi, sacerdoti, insegnanti,...) che superino la tendenza a “scaricare” questo genere di problemi, ma superando le paure e le difese, sappiano offrirsi come interlocutori con compiti di primo ascolto, counseling, orientamento, accompagnamento.

·      Rafforzamento (anche con incentivi economici atti all’assunzione di personale competente specializzato per i “giovani a rischio”) delle struttture operative sul territorio già funzionanti nell’ambito della prevenzione (oratori, società sportive non professionali, scuole, biblioteche, circoli ricreativi,...)

·      Interventi per il trattamento di tossicodipendenti non disponibili alla disintossicazione, senza accontentarsi di quei pochi già messi in atto.

·      strutture di accoglienza (pronto intervento): spazi aperti tutto il giorno in cui accedere liberamente con alcuni servizi essenziali. Questi spazi dovrebbero essere ampi, senza “spazi nascosti”, puliti, luminosi e ben arredati, in quanto l’ambiente già da solo trasmette rispetto e gentilezza.

·      strutture integrative per tossicodipendenti in trattamento metadonico con attività di gruppo, laboratori, animazione del tempo libero, per favorire il risveglio di interessi e potenzialità.

·      educativa di strada (già in atto in qualche parte) con scopo di ascoltare, consigliare, orientare ai servizi; distribuzione gratuita di siringhe.

 5.1 CONCLUSIONE

 Cosa è accaduto? Le USSL hanno fatto scelte dettate da una priorità economica, per cui il metadone costa meno che aprire o mantenere un centro diurno o contribuire al soggiorno in comunità di una persona. Si è scelta la via più comoda e meno dispendiosa. Nel frattempo si è fatto strada il discorso della legalizzazione delle droghe leggere e lo scontro ideologico tra proibizionismo e anti proibizionismo. La conferenza di Napoli, anche a seguito del voto del parlamento pochi giorni prima dell’inizio della conferenza, ha evitato queste questioni e riposto l’attenzione sul tossicodipendente. Ma di fatto, almeno fino a delle prossime direttive, sembra che per molti SERT il metadone sia il “possibile oggi” e i continui tagli nella sanità rischiano di rafforzare questa tesi.

D’altra parte le comunità faticano ad aprirsi in maniera costruttiva sul territorio, anche perché sono spesso caricate di aspettative ed oneri non corrisposti da un sufficiente risarcimento economico.

Le nuove droghe, poi , trovano un po’ tutti impreparati. La sensazione è che si consideri il recupero ormai una battaglia persa e si tenti soprattutto di limitarne i danni, mentre le risorse e gli sforzi si concentrano sulla prevenzione. L’idea di fondo è che con la droga ormai si convive per cui il tiro è stato abbassato al vivere in maniera sicura con la droga (cfr. ultimo volantino Ministero affari sociali). Per finire c’è il discorso della libertà e del suo rispetto: ognuno è libero di fare ciò che vuole e va comunque rispettato, ma - ci chiediamo -  ognuno è anche libero anche di farsi del male?

  BIBLIOGRAFIA

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 BOCCHI G.L., CERUTTI M. (a cura di), La sfida della complessità, Feltrinelli, Milano, 1987.

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 CARITAS AMBROSIANA, Le problematiche giovanili tra l’esperienza della tossicodipendenza e la pastorale ordinaria, Milano, 1996.

 CARITAS AMBROSIANA,  Oltre la scuola. Disagio, prevenzione, volontariato, Ed. Oltre - In Dialogo, Milano, 1996.

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