Baden Powell dice che “la storia deve essere narrata in maniera facile, non ampollosa, e con certo accompagnamento drammatico. La voce acuta di una donna, la voce stridula dello sciacallo, la voce ringhiosa della tigre, e la mimica delle mani per illustrare lo strisciare del serpente, o i pugni del combattente messo fuori combattimento. [Si deve]... però [fare] attenzione a non esagerare in questo, perché l’attenzione dei lupetti potrebbe spostarsi dalle parole ai gesti. Soprattutto [si deve non tollerare]... che la storia venga interrotta quando tutti sono sprofondati nell’atmosfera voluta: nessuna domanda deve essere rivolta o fatta - portate i vostri ascoltatori con voi senza soluzione di continuità sino al sospiro di eccitata soddisfazione che accompagna la fine-”[46] Certamente non é facile e anche “saper raccontare” é, nella maggior parte dei casi, un’arte che si impara con il tempo e tanta pazienza. Qualcuno, per evitare i problemi di un “buon racconto” preferisce leggere. Anche se Baden Powell prevedeva pure questa ipotesi[47]egli stesso fa notare che raccontarla sia però preferibile. E’ necessario aprire qui un approfondimento.
Il dibattito che spesso sorge con questa domanda, vede da un lato coloro che attraverso il racconto ottengono notevoli risultati in mezzo ai bambini e dall’altra quelli che hanno difficoltà sia a memorizzare il racconto che a raccontarlo in modo lineare. I primi difendono a spada tratta la necessità di “far rivivere a livello di fantasia” attraverso il “raccontare” un determinato episodio, gli altri prevedono anche in alcune particolari circostanze o problematiche l’uso del racconto “letto”. Carlo Trevisan e Luigi Tedeschi ci vengono in aiuto con il loro intervento. Essi dicono:
“Quella del raccontare bene é un’arte difficilissima....Narratori
si diventa (come in tutte le cose).....Dipende molto dall’esercizio pratico,
dall’autocritica, dalla imitazione....Il saper spiegare chiaramente e in breve
tempo un gioco, in una maniera anche avvincente, saper insegnare qualcosa in
modo originale, é già una preparazione....[ Si potrà] iniziare con racconti
brevi, poco complicati, [che] si prepareranno con cura. Lo scambievole aiuto
fraterno tra i Vecchi Lupi, le osservazioni sugli errori e i trucchi,
contribuiranno a un lento ma sicuro progresso. Sarebbe anche utile che Akela non
raccontasse gli “altri” racconti, per dare più solennità alla Storia di
Mowgli e per porla, inavvertitamente, su un piano differente....
Un capo branco mi diceva. “I miei Lupetti non vogliono più sentire
parlare di Mowgli. Il mio predecessore il teneva seduti per quarti d’ora ogni
volta e leggeva loro, con voce monotona, il Libro della Giungla. Per loro la
Storia di Mowgli é come l’olio di ricino!”.....Secondo me la Storia di
Mowgli non deve, in nessun modo essere letta. Specialmente per tre motivi:
·
é difficilissimo leggere
senza generare monotonia e noia. Più che non il raccontare;
·
perché in alcuni punti ci
sono delle “tirate” descrittive, magnifiche dal lato letterario, ma non
accette al bambino;
· perché noi, il Lupettismo, il Libro della Giungla lo “utilizziamo”, non lo narriamo soltanto. Alcune frasi le saltiamo, certi punti li presentiamo a tinte più marcate o no, talvolta ampliamo.
Poi narrandolo, hai gli occhi dei tuoi Lupetti fissi nei tuoi, libertà
di movimento e tu stesso t’immedesimi. Il che non avviene nella lettura.....Se
qualcuno l’avrà letto (ammettendo che sia arrivato alla fine) troverà che il
racconto di Akela é molto più bello.”[49]
Prima di raccontare un episodio ai Lupetti ritengo sia importante provare a raccontarlo davanti a uno specchio e ripetere il racconto fino a quando non ci “vede” sicuri. Questo perché il racconto, perché risulti avvincente, deve essere “posseduto” da chi racconta, quasi come la parte di un attore che resta recitata bene solo se l’attore entra pienamente nel ruolo che deve interpretare. Chi racconta dovrebbe riuscire a cogliere che sta “raccontando la propria storia” e non “la storia di qualcun altro”. Sembra tutto ciò macchinoso, eppure i Lupetti si accorgono subito di questi aspetti, direi che hanno quasi un “sesto senso” per cui non li si può imbrogliare.
Raccontare davanti allo specchio ci aiuta anche a vederci “come gli altri ci vedranno”, e di conseguenza a controllare i gesti o, viceversa, a non restare impalati come colui che recita una poesia.
E’ bene che il racconto si svolga possibilmente in cerchio, in un luogo che non porti a distrarsi facilmente. Per questo motivo si sconsiglia di raccontare in luogo aperto a un Branco numeroso (tranne qualche eccezione, ad esempio nelle Vacanze di Branco) in quanto il Bambino di distrae con facilità. Basta una farfalla, un fiore, un filo d’erba e la sua fantasia lo trasporta lontano da dove si trova. Il luogo migliore sarebbe la “Tana”, in quanto ambiente conosciuto, e per questo luogo che dà sicurezza al bambino, senza “eccitare” la sua innata curiosità. Tanto più se la “Tana” ha alcuni dipinti della Giungla sulle pareti, dipinti di cui ho già parlato. Si deve cercare che i Lupetti, nell’udire il racconto, “siano seduti comodamente, se ne stiano diritti e non piegati in avanti e possano tutti vedere chi racconta”[50]. Attenzione a non girare le spalle a nessuno, né a camminare durante il racconto. Se possibile ai racconti assistano quegli adulti che portano all’interno del Branco i medesimi nomi che compaiono nella storia.
Gli psicologi affermano che l’arco di concentrazione nell’ascolto in un adulto ha un ciclo di durata medio di 8 minuti, ampliabile a 15 per gli argomenti di un certo interesse. Oltre questo tempo vi é una parabola instabile con momenti di concentrazione alternati a momenti di distrazione non quantificabili in quanto legati ad ogni singolo individuo e agli argomenti trattati. Per il bambino mediamente si consiglia di non superare la soglia dei 10 minuti. Ipotizzando che i Lupetti di un Branco siano particolarmente interessati al racconto Giunga e abituati ad ascoltare, a mio giudizio non si dovrebbero mai superare i 20 minuti, tenendo questo tempo come punto di riferimento eccezionale e non normale. Anche Luigi Tedeschi é del mio parere là dove afferma di “non prolungare il racconto della Storia di Mowgli a puntate superiori a 20 minuti”[51]. Generalmente é bene suddividere il racconto in almeno tre parti, interrompendo quando é ancora vivo l’interesse, magari in un punto che genera attesa per la continuazione.
[46]Manuale
dei lupetti, p. 278
[47]Manuale dei Lupetti, p.278-279
[48]Educare con una favola, pp.107-108,
[49]Educare con una favola, pp 108-109
[50]Educare con una favola, p.108