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GLI STRUMENTI A DISPOSIZIONE DELL’AGESCI PER LA CATECHESI DEI GIOVANI

 

 

 

Gli strumenti del  metodo della branca R/S

 

Il noviziato ha una durata annuale e offre alcune esperienze concrete di servizio svolte insieme al gruppo, possibilità di confronto, condivisione profonda, riflessione. Nella catechesi si tiene conto dell’età particolare dei ragazzi e si privilegia la via del ‘far fare’ per poi ‘far discutere’ sull’esperienza fatta, verbalizzandola e interiorizzandola. Strumenti educativi propri sono:

·          la Strada, come cammino fatto insieme o singolarmente,

·                    la Comunità, come luogo di progressione personale, verifica, critica costruttiva, scelte finali, valori (quali il rispetto, l’aiuto all’altro, la preghiera e l’ascolto della parola di Dio),

·                    il Servizio, per imparare ad aprirsi agli altri, per conoscere la realtà e giudicarla obiettivamente, per non fare solo parole.

Generalmente il noviziato é un’esperienza di piccolo gruppo. Al termine di questo periodo, se si vuole continuare il cammino nell’Associazione, si compie una cerimonia, che prende il nome di ‘Firma dell’Impegno’, con la quale si sancisce la propria adesione ai contenuti proposti durante il noviziato e si entra in Clan/Fuoco.

La durata del Clan/Fuoco é di 3-4 anni e costituisce un tempo in cui il giovane, partendo dalla propria disponibilità, anche attraverso un servizio annuale personale all’esterno dell’Associazione, e passando attraverso l’esperienza (in genere nelle varie branche dell’AGESCI), giunge all’autonomia, sottolineata dalla cerimonia della ‘Partenza’. Tutte le esperienze di questi anni vengono verificate e dibattute, anche se fatte personalmente. Con la ‘Partenza’ si consegna al Rover e alla Scolta dei simboli quali, ad esempio, la ‘lanterna o la torcia’ (simboli della luce) e la ‘forcola’ (bastone con forcella) che ricorda la scelta perenne dell’uomo tra le due vie del bene e del male.

[A questi simboli, secondo le varie tradizioni dei gruppi scout, si aggiungono altri simboli: la Bibbia o il lezionario (simbolo della Parola di Dio e della liturgia), il sale (simbolo del bene sulla terra), il lievito (simbolo della fede), un granello di senape (simbolo del Regno di Dio), i nastri omerali (simbolo dello spirito dello scautismo che va vissuto per tutta la vita), l’accetta (simbolo della propia iniziativa nel superare gli ostacoli della vita), la bussola (simbolo della strada maestra da seguire), il lezionario festivo (simbolo della Messa), una croce (simbolo del sacrificio),... Spesso i simboli sono adattati alla persona che prende la partenza.  Per approfondire i simboli, cf BRANCHE R/S, Manuale della partenza, Borla, Roma, 1992, 66-67 e 77-80.]

Con la ‘Partenza’ il Rover e la Scolta fanno propri tutti i valori con cui si sono confrontati durante il cammino in branca R/S e si impegnano a viverli in uno spirito di ‘Servizio’, parola che rappresenta il motto stesso del roverismo-scoltismo.

Nel presentare gli strumenti che la Branca R/S adotta per realizzare gli obiettivi catechetici che ho evidenziato nella terza parte di questo lavoro, si poteva seguire una duplice via: affrontare l’azione catechetica all’interno dell’educazione globale,o affrontarla estrapolandola dal metodo scautistico. Entrambe le vie erano da ritenersi corrette: la prima rispondeva a quella che è la realtà, ma rischiava di non mettere in luce il modo in cui lo strumento è utilizzato per realizzare l’obiettivo. La seconda rispondeva a questo, ma presentava la catechesi come slegata da altri aspetti altrettanto importanti e nella realtà collegati tra loro. Si è preferito adottare questa seconda via in quanto da un lato si è ritenuta più aderente a quello che è l’obiettivo di questo capitolo e dall’altro pensiamo di avere finora dato sufficienti contributi per situare nel giusto contesto quello che si andrà via via affermando.

 

 Spiritualità della Strada

 

“La Comunità R/S vive i suoi momenti più intensi in cammino. Infatti, camminare a lungo sulla strada permette di conoscere, dominare e superare se stessi e dà il gusto dell’avventura; portare a lungo lo zaino e dormire sotto la tenda insegnano l’essenzialità e il senso della propria precarietà; camminare nella natura insegna a vedere le cose e se stessi come creature di Dio, fa immergere nell’ambiente originario di vita, rende maggiormente coscienti del proprio corpo, rispettosi e amici degli uomini, degli animali, delle piante, dell’ambiente tutto; camminare con gli altri e incontro agli altri insegna l’amicizia, la fraternità e la solidarietà Ma, soprattutto, vivere la spiritualità della strada permette di cogliere come tutte queste esperienze sono di Dio e aiutano ad arrivare a Lui”.Tutto ciò esige che quando si ‘fa strada’ vi sia “ogni volta uno scopo preciso e un programma per raggiungerlo; quindi niente improvvisazione nella speranza che accada qualcosa”.Il camminare insieme, ‘passo dopo passo’, costa fatica, ma aiuta il giovane a cogliere il valore del tempo e della gradualità, l’abitua ad osservare e a rispettare,]a cogliere un ‘tempo interno’ rispetto al ‘tempo esterno’ che il ritmo frenetico della vita costringe a vivere.

La Route

 

Il modo più classico di vivere insieme la ‘Strada’ è la ‘Route’. Nella forma classica “presuppone più giorni di cammino, il pernottamento in posti sempre diversi e lontani tra loro, un alimentazione e un bagaglio essenziali e leggeri, un percorso interessante e un tema di fondo che leghi i momenti dei vari giorni [...]. Esistono inoltre altre possibili forme di Campi (di lavoro, Cantieri, Campi di preghiera, incontri con Comunità...) che, in particolari momenti, rispondono meglio alle esigenze della Comunità”.Per la catechesi uno dei tempi  più adatti alla Route, è quello di Pasqua, in quanto la liturgia della Settimana Santa ha in se stessa gli stimoli per affrontare un cammino di conversione e provocare delle scelte di fede. Questo però comporta che i giovani vengano ‘portati via’ dalla parrocchia proprio nel momento culmine delle celebrazioni liturgiche della Settimana Santa, anche se queste verranno vissute in altro luogo. Un compromesso a questo problema è stato adottato in alcune parrocchie, dove i giovani rientrano dalla Route per la Veglia Pasquale, portando i legni che serviranno per il fuoco dell’accensione del Cero Pasquale nella celebrazione della Luce. Certo è che il problema permane.

A quanto si è qui detto può venire spontanea una obbiezione: ma cosa resta di tutto ciò quando i giovani ritornano nei loro ambienti? L’AGESCI ritiene che “più la strada è esperienza forte di conoscenza e di incontro con noi stessi, con il prossimo, con la natura e con Dio, più riusciamo a capire e vivere meglio le stesse esperienze una volta tornati a casa”.Certamente questo resta tanto più vero, quanto il Capo ha la capacità di far cogliere il contrasto esistente tra l’esperienza fatta e la vita di tutti giorni per cogliere dalla prima quei valori utili ad affrontare in modo diverso le difficoltà che il quotidiano pone. Le difficoltà da superare quindi non saranno più legate a problemi di fatica, fame, freddo, sete, ecc., ma ai rapporti fra le persone, alla anonimità delle strutture, ai giochi di potere, ecc... 

Il deserto

 

Dura da poche ore, ad una giornata e si svolge in particolare in occasione della Route annuale o della Pasqua. Perché il momento sia utile va preparato in tutti i particolari e i giovani devono averne chiaro lo scopo. Sta ai Capi o ai giovani stessi preparare del materiale che viene poi rifornito a tutti in occasione del deserto ed ha la caratteristica di guidare la riflessione su piste ben precise. L’itinerario scelto per il deserto non deve essere impegnativo, in quanto deve favorire un clima di silenzio e un ampio spazio personale di riflessione.

 

  L’Hike

 

“E’ un’attività all’aperto della durata di un giorno o al massimo di un fine settimana, che si fa da soli. [...] ; una specie di ‘missione’ ”. Al Rover e alla Scolta vengono dati:

·        un percorso preciso da compiere per raggiungere una certa località;

·        un equipaggiamento ridotto al minimo;

·        pochi soldi, da usarsi solo in caso di necessità;

·        del materiale per la riflessione personale (in genere è tratto dalla Bibbia o da altri testi di meditazione e di preghiera);

·        indicazioni per eventuali contatti da prendere e attività da fare.

Scopo dell’hike è di costringere il giovane a cavarsela da solo, esercitando l’intraprendenza, l’autosufficienza e la creatività. L’hike è evangelicamente collegato al passo di Mc 6,7-12: Gesù manda gli apostoli (missione) con il potere  di scacciare gli spiriti maligni (servizio), li invita ad avere solo i mezzi necessari (povertà), cercando ospitalità dove si è accolti. Essi predicano la conversione (dialogo con la gente).]Quando si parte tutti insieme per l’hike è ‘opportuno’ precedere il momento con una celebrazione penitenziale. Anche in caso si preveda di ritrovarsi insieme al termine, è importante concludere questo momento con la Messa, sottolineando il momento dell’offertorio attraverso la condivisione delle esperienze e il ringraziamento per le persone incontrate e\o le cose belle imparate.

  

La comunità

 

“Si ha comunità quando un gruppo di persone ha uno scopo comune; ha alcune regole liberamente accettate; ha valori comuni. [...]. La Comunità di Rovers e di Scolte ha due altri aspetti che la caratterizzano: è una comunità di adolescenti e ha come scopo primario l’educazione”.E’ quindi una realtà in continua evoluzione, dove può accadere che “lo scopo venga rimesso in discussione perché poco gratificante; l’atteggiamento nei confronti delle ‘regole’ sia di accettazione ma anche di sofferenza; l’adesione ai valori non sia piena, ma dipendente dalla diversa maturità delle persone”.[Essa non è un fine ma un mezzo di crescita.Non analizziamo qui tutti gli altri componenti della Comunità nè le sue caratteristiche,ma ci chiediamo: nei riguardi della catechesi come questo strumento è ( o può essere) utilizzato? Innanzitutto ogni Comunità si dà un ‘programma’ che fa riferimento al più ampio progetto educativo della Comunità Capi, nel quale la catechesi è di norma sempre prevista. Il programma che nasce dai giovani è quindi il risultato dell’incontro-scontro tra le loro esigenze, le tradizioni e il progetto del gruppo. Inoltre è compito dei Capi portare i giovani a scelte ed esperienze che siano educative, pronti sempre ad intervenire anche in maniera decisa se ritengono un’attività pericolosa per l’incolumità delle persone o diseducativa.Importante, dove può essere fatta, è utilizzare bene la ‘settimana di Comunità’.

In genere tutti i gruppi prevedono nel programma annuale un ‘tempo dello spirito’ nel quale la “Comunità si lascia interpellare dalla Parola di Dio e cerca di leggere la storia, dei singoli, ma anche dell’umanità, alla sua luce. Il tempo dello spirito fa da sottofondo a tutte le attività, ma ha dei momenti forti di contemplazione, silenzio e preghiera. Strumenti [che si utilizzano a questo scopo sono]: il deserto, l’ascolto della parola, il ritiro spirituale, la partecipazione alla  liturgia nei momenti forti della Chiesa, ecc.”

 

 

Il servizio

 

“I1 Servizio è la sintesi della proposta educativa e l’elemento unificante dei vari interessi, delle attese personali, delle attività e dei valori proposti. Ciò nasce dalla convinzione che una persona trova la sua completa dimensione nel fare il bene degli altri, ad imitazione di Gesù, che non è venuto nel mondo per essere servito, ma per servire. L’educazione al servizio deve essere graduale ed implicare per ogni Rover e Scolta un impegno gratuito e stabile, a cui si è chiamati da altri, in cui si impara a donare con competenza, avendo saputo accogliere i bisogni di chi sta intorno. [...]. Il servizio può essere svolto in Associazione o in altri ambienti, anche non nel campo dell’educazione, ma privilegiando strutture ed ambienti dove sia possibile un rapporto con le persone e una continuità compatibile con la appartenenza alla Comunità ”.

Ci si può chiedere: perché lo scautismo propone di ‘servire’ e non di ‘aiutare’? La differenza fondamentale è che il servizio  viene presentato come un modo di vivere che va al di là della stessa esperienza scout, una scelta che si estende a tutta la vita.

A questo valore, che può essere anche solo di ogni uomo, la fede aggiunge elementi nuovi e determinanti, come la capacità di vedere in ogni uomo il Figlio di Dio, in quanto uomo fatto a Sua immagine e somiglianza, come la capacità di lottare per le ingiustizie che vanno contro all’insegnamento d’amore del Padre.

Anche qui, come per la Comunità, non approfondiamo tutto ciò che il sevizio comporta, come la competenza, la disponibilità, la scelta del luogo, i vari elementi del servizio, le attenzioni pedagogiche. Quel che ci interessa è sottolineare come questo strumento apra a tutta una serie di valori religiosi che sono di supporto o di completamento alla fede. Se da un lato, infatti, la fede aiuta il servizio a ‘superare le diversità e le lontananze’,dall’altro il servizio può essere un’importante  occasione per verificare la propria fede e maturarla concretamente (senza con ciò nulla togliere al primato di Dio, di cui la fede è innanzitutto un Suo dono).

 

La Carta di Clan

 

Il progetto del Clan/Fuoco é scritto nella ‘Carta di Clan/Fuoco’, documento scritto dai ragazzi stessi e periodicamente (ogni tre-quattro anni) verificato e corretto. Generalmente i valori che qui compaiono sono la solidarietà, l’acquisizione di quelle capacità necessarie per essere uomini costruttivi e capaci, la libertà, la verità, la responsabilità, i fondamenti etici. Per la dimensione religiosa compaiono tutti quei valori che portano a divenire membri attivi nella Chiesa e testimoni autentici di una fede divenuta più personale.La Carta di Clanè uno strumento per la progressione personale e di Comunità. Diviene, quindi, uno splendido strumento nelle mani del Capo per verificare a che punto è il cammino del Clan e se questo sta facendo vero scautismo o altro. E’ inoltre un momento decisivo per il giovane di 17 anni che, terminato il noviziato, attraverso al “firma dell’impegno [ manifesta] la volontà di impegnarsi secondo le indicazioni espresse nella Carta di Clan”.Per il giovane deve essere  questa “la prima decisione totalmente personale e non influenzata da Capi, genitori o contingenze scolastiche come era potuto avvenire nel passato da lupetto o da esploratore: la decisione se continuare o meno la strada del roverismo”

In questo documento “dovrebbero esserci questi capitoli:

·        una premessa che indica la situazione della Comunità, i problemi ma anche le speranze, le difficoltà ma anche i progetti;

·        gli obiettivi che la Comunità pone a se stessa e i suoi membri: alcuni proiettati nel futuro, come mete di fondo, altri saranno a breve termine e dovranno essere concreti e verificabili;

·        i mezzi che la Comunità intende usare, cioè le esperienze da vivere, le tradizioni da conservare o inventare, le attività da mettere in programma;

·        la visione di uomo e donna che la Comunità intende mettere alla base degli obiettivi da raggiungere e dei mezzi da usare;

·        una parte finale, con indicazioni pratiche, come per esempio i tempi della progressione, le modalità della scelta del servizio, gli incarichi”.

La catechesi, in genere, rientra come uno degli obiettivi che la Comunità deve porsi per essere all’interno di un cammino di scautismo cattolico.

[ La Carta di Clan, [...] essendo un documento del gruppo, è anche specchio del cammino del singolo”. (AGESCI, Regolamenti, o. c., art. 16, p. 80).  “E’  uno strumento per la progressione della persona e della Comunità. E’ scritta e periodicamente rinnovata dal Clan, che rende esplicito, secondo le proprie caratteristiche e tradizioni, un modo di sentire e vivere le proposte della Branca; fissa le proprie riflessioni; stabilisce particolari ritmi della propria vita; trova un riferimento costante alle proprie esperienze”. (AGESCI, Riflessioni sulla progressione  personale in Branca R/S, o. c., art. 34, p. 27).]

 

La Partenza

 

Abbiamo già parlato di questo importante momento dello scautismo che, attorno ai 20/21 anni, conclude l’esperienza scout.

In sintesi chiedere la Partenza significa:

·           “voler essere strumenti della parola di Dio, uomini e donne che annunciano il Vangelo - cioè la Buona Novella che Dio ci ama e ci libera dal peccato - e lo vivono, non come fatto individuale, ma all’interno della comunità cristiana, cioè della Chiesa”;

·          voler vivere come adulti tutti i valori che lo scautismo propone;

·          mpegnarsi a livello politico nel cambiare le strutture di ingiustizia in particolare nei confronti dei più deboli e degli emarginati;

·          voler vivere come ‘servi’ “in una continua tensione ad aiutare gli altri, ad essere accanto a chi soffre nel corpo e nello spirito, ad essere solidali”sull’esempio e le parole di Gesù.

Vogliamo qui ora affrontare questo momento dal punto di vista catechetico, precisando fin d’ora che la partenza non è l’unico modo di terminare l’esperienzaDice infatti il regolamento che l’uscita dal Clan prende il nome di ‘partenza’ quando “la Scolta e il Rover scelgono di giocare la propria vita secondo i valori della Chiesa [e] di voler attuare un proprio impegno di servizio”.In caso contrario si può concludere il cammino con un saluto, con una festa, una celebrazione, e altri modi ancora diversi dalla partenza.

La partenza si chiede e viene data, non si prende da soli. Ma come è possibile valutare dall’esterno il cammino di fede del singolo? L’Associazione, tenendo conto di ciò,  invita a rifiutare la partenza a chi non ha voluto mai percorrere un cammino di fede negli anni precedenti, a chi apertamente non ritiene la ritiene indispensabile alla propria vita, a chi ha sempre mantenuto un “atteggiamento di sostanziale indifferenza e relativismo circa la fede in Cristo e nella Chiesa” pur vivendo in parte i valori proposti dallo scautismo.Per contro ritiene significativa la partenza per chi ha accolto anche solo globalmente il messaggio della Rivelazione e si trova  in sincera ricerca, spesso sofferta; per chi si compromette nella vita della Comunità e valorizza la Parola e il Sacramento pur ponendosi davanti con un atteggiamento di criticità aperta, a patto che la partenza significhi per tutti costoro un impegno ad approfondire la Rivelazione.

Se la partenza non è un falso, apre alla formazione permanente e dovrebbe spingere il Rover e la Scolta ad aprirsi alla propria Chiesa, inserendosi in strutture caritative e di servizio (quali, ad esempio, la Caritas) e partecipando a quelle occasioni di formazione catechetica che la propria fede esige, anzi ricercandole.

La Progressione Personale

 

Specialmente in questa età il primo protagonista della propria educazione è il giovane stesso. Ad lui la branca offre come strumenti per la verifica: l’ ‘ingresso in Noviziato’, la ‘Carta di Clan’ e la ‘Partenza’. Attraverso il dialogo personale con i Capi e l’A.E., e il confronto con gli altri giovani in un clima aperto, rispettoso e fraterno, il giovane affronta e approfondisce le proposte che lo scautismo offre, imparando a darsi degli obiettivi e ad affrontare progettualmente la propria vita.Nei confronti della fede i Capi, pur rispettando le posizioni di tutti, “nella convinzione che Gesù, Dio e uomo, è l’unico che porta la salvezza a tutti [...] propongono un cammino di crescita dove il Suo messaggio è annunciato (evangelizzazione), conosciuto ed approfondito (catechesi), celebrato (liturgia) e vissuto (testimonianza) alla luce dell’insegnamento della Chiesa”.

“Nella Progressione si deve realizzare concretamente una sintesi tra i valori proposti ed i mezzi usati. Le modalità concrete con cui vengono proposte, raggiunte e verificate le mete devono perciò rappresentare le esperienze esemplificative dei valori [proposti ...] Il punto focale è coniugare la libertà con la fedeltà: fedeltà alla Legge scout, fedeltà alla realtà dell’uomo concreto, fedeltà al progetto di Dio per noi: perciò fedeltà alla Vocazione personale. [...] La Progressione non procede secondo una linea ascendente retta (non procede perciò accumulando esperienze e riflessioni sempre nuove), ma seguendo una specie di spirale: esperienze e riflessioni di significato analogo si ripetono a livelli sempre più profondi di interiorizzazione. [...] E’ questa caratteristica che permette di rimediare, più o meno completamente, a carenze passate che altrimenti rimarrebbero incolmabili”.

 

Il Capitolo

 

Il capitolo è “il tentativo di cogliere i vari aspetti di un problema, cercando anche di risalire alle cause di fondo e di valutarne gli effetti e, una volta che ci si è fatta un’opinione, dare un giudizio sul modo in cui il problema viene vissuto o gestito e scegliere l’atteggiamento da prendere, come persone e come Comunità”.Ogni anno una comunità R/S affronta uno o due capitoli per la durata di uno o due mesi ciascuno. I temi partono da una situazione concreta (la morte di una persona cara, la partenza per il militare di un componente del Clan o la sua scelta di Obiezione di Coscienza) o da interessi comuni. Alcuni gruppi scout stabiliscono fin dall’inizio dell’anno un Capitolo per ogni area di azione: servizio o area sociale, scelta di fede o area dell’esperienza religiosa, crescita personale o area antropologica. Altri affrontano l’argomento scelto dai vari punti di vista, compreso quello religioso.

Lo scopo del capitolo è quello di:

·        “far lavorare le persone in gruppo;

·        abituare ad approfondire un problema;

·        dare gli strumenti perché questo sia possibile;

·        permettere di dare un giudizio responsabile;

·        coinvolgere fino alla scelta di un impegno o di un servizio”.

Nel capitolo, dopo la scelta del tema, vi è l’approfondimento, nel quale si dividono gli R/S in gruppi (pattuglie), e dove a ciascuno è dato un compito: cercare sui libri le informazioni necessarie, intervistare, chiamare o ascoltare degli esperti, proporre delle esperienze. E’ importante per i giovani che nell’approfondimento non manchi l’esperienza diretta. All’approfondimento segue la discussione, utilizzando qui le varie tecniche di comunicazione (cartelloni, diapositive, testi scritti, ecc.) e il momento delle scelte.Per la catechesi è questo uno dei momenti più importanti, anche se è pure il momento di maggiore tensione, in quanto si tratta di giungere ad assumere degli impegni concreti che coinvolgano la Comunità e i singoli, evitando di rimanere nel vago o di colpevolizzare tutto e tutti.

 

La Veglia

 

La veglia è un momento in presenza di pubblico, creato per comunicare una esperienza, coinvolgere e suscitare una risposta, una reazione in chi vi assiste. Ciò significa che per fare una veglia la prima cosa necessaria è la voglia di comunicare agli altri qualcosa che, attraverso un ‘Capitolo’ o un incontro con qualche realtà diversa o un avvenimento, è rimasto impresso nei Rovers/Scolte. La catechesi usa ampiamente di questo strumento, in particolare in occasione dei momenti ‘forti’ dell’anno liturgico (Pasqua, Natale,...) o in seguito ad esperienze di servizio su cui si nota un disinteresse generale. Il lavorare insieme, il creare i contenuti da trasmettere, il trovare la forma adatta e il momento giusto divengono per i Rovers\Scolte occasione di crescita e indirettamente li costringe a fare sintesi di valori umani e religiosi, li apre all’approfondimento  evangelico e alla missionarietà. Spesso questo strumento si rivela da un lato occasione di ulteriore confronto per cogliere l’essenziale, quel che vale veramente, in un cammino di autenticità (non si può trasmettere se non ciò in cui si crede) e dall’altro strumento di verifica da parte dei Capi per cogliere quali sono i contenuti che i giovani hanno assimilato.

 

I Capi della Branca R/S

 

Anzitutto una premessa: “Capi della Comunità R/S sono persone adulte che hanno scelto di servire come educatori, aderendo al Patto Associativo e preparandosi con uno specifico iter di Formazione. Poiché il noviziato e il Clan sono momenti di un’unica proposta, i Capi e gli A.E. del noviziato e del Clan formano un’unica ‘équipe’, perché le attività, spesso separate, siano però in armonia con le finalità della Comunità R/S”. Con i giovani i Capi instaurano “un rapporto personale di fiducia, di attenzione, di confronto , di disponibilità e di amicizia. Essi pertanto portano il proprio contributo nella ricerca di occasioni di crescita delle persone e della Comunità; mettono a disposizione le proprie esperienze di vita e la conoscenza del Metodo, proponendo mezzi concreti per la gestione della vita del gruppo e operando perché le decisioni prese vengano realizzate”;inoltre testimoniano le proprie scelte di fondo e animano la Comunità perché tutti i partecipanti siano coinvolti nel suo cammino. Importante e in alcuni casi determinante è il ruolo dei Capi nella progressione personale, in particolare nel periodo che va dalla ‘Firma dell’Impegno’ alla ‘Partenza’: è il momento che, con molta umiltà, si è chiamati a ‘giocare’ il proprio ‘ruolo di Capi’ in quanto è un “momento molto delicato nel quale si intrecciano il ruolo dell’adulto e quello del giovane giunto alla soglia della maturità”.

Il rapporto Capo/giovane nella progressione personale “deve essere caratterizzato da: chiarezza di messaggi, senza ‘maschere pubblicitarie’; proposta e non imposizione di momenti di incontro; coerenza e trasparenza nella testimonianza del Capo; continua tensione a modificare questo rapporto parallelamente alla crescita del ragazzo/a”.

Per quel che riguarda specificatamente il Maestro dei novizi, il suo primo compito è “premurarsi di conoscere i tratti essenziali dell’esperienza vissuta in branche G/E [...]. Il suo ruolo deve essere fortemente propositivo, per aiutare i ragazzi a uscire da quella marginalità psicologica e da quei problemi di identificazione che caratterizzano l’età del noviziato. Non deve parlare molto.” Egli non è solo un amico, ma innanzitutto un punto di riferimento. “Sa infondere fiducia, perché la sua è presenza costante, solida, equilibrata ed entusiasta. Ogni sua proposta dovrà tener conto di ogni ragazzo, ma dovrà essere fatta a tutto il gruppo. Dovrà  soprattutto proporre sempre, senza stancarsi mai, senza lasciarsi abbattere dagli insuccessi”.]Nella realtà, però, risulta che i Capi preferiscono avere più un ruolo di ‘Chioccia’, cioè un atteggiamento comprensivo, affettuoso, di ascolto che una funzione propositiva.

Al capo Clan, in particolare, si chiede che abbia fatto sue le scelte metodologiche e ideologiche dell’AGESCI. Fondamentale è, quindi, “la sua adesione alla Chiesa Cattolica e la volontà di essere annunciatore della Parola fra i suoi ragazzi con spirito di servizio, cioè con la consapevolezza che non è lui che dà la fede, ma che prepara il terreno al seme di Dio. Il Capo è persona di fede che rende più forte e convinta nella sua Comunità, meditando la Bibbia e vivendo i Sacramenti come segni della presenza di Dio nella storia. Inoltre cerca di migliorare anche la sua preparazione tecnica per rendere l’annuncio del Vangelo più efficace e preciso”.

Un altro ruolo importante del Capo Clan/Fuoco è l’assegnazione dei servizi di aiuto nelle unità scout, che va presentato ai Rovers/Scolte come occasione di crescita e di servizio. Poichè le attività del Clan devono sempre avere il sopravvento su quelle delle unità,va posta attenzione perché i Capi delle Unità, in cui vengono mandati i Rovers o le Scolte, abbiano chiaro che questi giovani sono in formazione.

Nella Progressione Personale, man mano che si avvicina il momento della Partenza, il dialogo personale tra Capo e giovane diviene sempre più impegnativo e serrato. E’ questo uno dei principali motivi per cui ai Capi Clan, più che agli altri Capi, è richiesta una continuità di almeno tre-quattro anni nella stessa Unità.

 

 L’Assistente Ecclesiastico

 

L’Assistente Ecclesiastico è un “adulto educatore che testimonia e anima la sua unità con e come gli altri capi”.]Non è quindi un ‘parroco dei Capi o dei giovani’, ma un adulto capace di dare un’anima ai contenuti, di coagulare le persone attorno a dei valori, di collaborare, avendo ben chiaro l’obiettivo che caratterizza la sua presenza. Non è infatti facile per l’A.E. sentirsi ed essere trattato alla pari, in quanto la tendenza a voler ‘manipolare il Gruppo’ è sempre presente, anche se il Gruppo non permette ciò in quanto è in grado di vivere da solo, e questo crea difficoltà a qualche Assistente. Ma anche per l’AGESCI l’Assistente è prima di tutto un ‘sacerdote’ a cui il vescovo, con l’ordinazione sacerdotale, ha affidato una precisa missione, sintetizzabile nelle espressioni: “conservare la fede ed essere strumento di riconciliazione; spezzare il pane dell’Eucarestia; suscitare carismi attraverso la lettura della Parola e la pratica della preghiera”.]Da ciò ne deriva che l’Assistente va condiviso con altri gruppi o persone, che non gli si può chiedere di ‘giocare’ durante le attività e si deve  tenere presente che “la sua conoscenza dello scautismo è spesso incompleta.” Ma soprattutto è necessario aiutare i giovani a “capire il senso profondo della sua missione” che è quella di “ripetere l’annuncio di Cristo”.Questo non significa che l’Assistente non deve anche lui camminare per essere ‘segno’ di ciò che annuncia, per farsi vicino ai giovani e dare loro la possibilità di aprirsi a lui in un cammino di discernimento spirituale.

L’Assistente Ecclesiastico ha anche dei compiti specifici:

·        “deve garantire che il vangelo sia annunziato fedelmente e integralmente;

·        deve assumere di volta in volta funzioni diverse di stimolo, di chiarificazione, di approfondimento e di ridimensionamento dei problemi;

·        nel momento in cui la comunità si riunisce in quanto cristiana egli deve ricordare che non si è più un gruppo in sè, ma parte della Chiesa;

·        presiede la liturgia, e fa percepire l’oggettività della fede cristiana come patrimonio ricevuto e non creazione del piccolo gruppo. Non parla quindi come singolo o per hobby personale, ma a nome della Chiesa;

·        insieme [...agli altri capi] porta la responsabilità di discernere il cammino di ciascuno.

Gli può venir chiesto un aiuto speciale, in forza del suo ministero, anche tramite il sacramento della Riconciliazione. E’ evidente che questa sua particolare presenza richiede, più di ogni altra, delicatezza, discrezione, discernimento e religioso rispetto dell’azione di Dio e della libertà personale di ognuno”.

L’Assistente Ecclesiastico accetta di essere tra ‘l’incudine e il martello’, imparando ad essere “pastoralmente paziente e culturalmente vigilante, senza estremizzare le posizioni, perché anche i temi fondamentali e i valori di riferimento necessitano di tempi di maturazione presso ogni generazione”. Egli ha il compito di “formare vocazioni laicali al servizio educativo” e di “aiutare i Capi a tradurre pedagogicamente i grandi temi della catechesi”.[ Quindi è fratello maggiore e padre misericordioso, artefice di comunione dentro e fuori dell’Associazione, educatore nella fede e testimone dell’assoluto con Dio, vero apostolo di Gesù Cristo e Animatore spirituale: così lo vogliono i giovani, così deve sforzarsi di diventare.

 

La bibbia

 

“Durante la cerimonia della Partenza in Branca R/S, è tradizione consegnare al Rover e alla Scolta, che ha compiuto tale scelta, la Bibbia e questo gesto assume, di volta in volta, significati vari e molteplici, legati, oltre al valore in sè della Bibbia, anche alla persona che la riceve, al cammino fin qui percorso e a quello da percorrere in futuro. La Parola di Dio, nella sua manifestazione biblica, è dunque nello ‘zaino’ di tutti i Capi scout.

Esiste in Associazione “un’abitudine diffusa alla lettura” della Parola di Dio, anche se a volte mancano gli strumenti di lettura e gli itinerari organici, e lo stesso PUC, pur ricco di indicazioni bibliche, rischia di creare nei Capi confusione tra ‘catechesi’, ‘annuncio’, ‘preghiera’. Inoltre spesso vi è un accostamento moralistico alla Parola.]La stessa capacità di “trasmettere la Parola’ è in funzione della sensibilità religiosa dei Capi”.L’AGESCI è da parecchi anni che è al corrente di ciò e ha tentato e tenta di prospettare una soluzione attraverso i ‘Campi Bibbia’.

 

I Campi Bibbia

 

L’idea dei Campi Bibbia nacque già all’interno dell’AGI nel 1969, ma inizialmente non ottennero un grosso successo, anzi il numero di iscritti fu abbastanza deludente, segno questo di una scarsa sensibilità da parte dei Capi per questi argomenti.Malgrado ciò si volle andare avanti e già nel 1978 i partecipanti ai vari Campi Bibbia furono 120, segno questo dell’avvenuto cambio di mentalità.

Dal 1980 in poi si utilizza come luogo per eccellenza dei Campi Bibbia ‘San Benedetto’ sul monte Subasio, presso Assisi.

Vediamo ora in sintesi come si svolge un Campo Bibbia. Innanzitutto esistono Campi fissi e mobili, Campi di livello ‘A’, che hanno più un carattere introduttivo e Campi di livello ‘B’ per chi già possiede una conoscenza biblica di base. La giornata tipo prevede le Lodi celebrate in comune, alcune ore (in genere tre al mattino e due al pomeriggio) di lezione sulla Bibbia, la scuola di canto, una celebrazione della Parola o la Lectio Divina guidata da un esperto o l’Eucarestia o la celebrazione del Vespro o una celebrazione penitenziale. Dopo cena vi è l’incontro con un ospite che porta la sua testimonianza,  o una veglia biblica. Non manca la dimensione del gioco, e, all’interno della settimana, un ampio spazio per il ‘deserto’.

Lo stile che si adotta nell’affrontare la lettura biblica è originale e prevede la sintesi tra due componenti essenziali: da una parte lo studio della Bibbia e dell’altro lo stile e lo spirito scout. “La lettura della Bibbia, secondo la tradizione e l’esperienza dello scoutismo cattolico in Italia, [avviene] lungo tre linee: la contestualizzazione, la comunicazione, l’attualizzazione vitale”.

Il campo Bibbia è rivolto a Capi e costituisce un’occasione per un approfondimento della propria fede e l’acquisizione di una maggior competenza educativa, a partire dall’incontro e dal confronto con la Parola di Dio. I campi sono pensati per capi dell’Associazione, ma sono aperti alla partecipazione di altri educatori e adulti interessati. Sono animati da uno staff di Capi dell’Associazione che collaborano con un biblista e per la preparazione el’animazione del campo”. (Eventi di formazione per Capi (eventi extra iter) , in Scout Proposta Educativa, XXI (1995) 10, V)

 Malgrado l’ampia propaganda, non si fece nulla, in quanto le iscrizioni al primo campo proposto furono solo 2. Il primo campo Bibbia si tenne perciò nel 1971 e fu rivolto ai Capi dell’AGI e dell’ASCI. Gli iscritti furono 18, ma i partecipanti (organizzatori compresi) in totale solo 12. Cf MOSETTO F., I Campi Bibbia Agesci: un’esperienza di incontro con la Bibbia,  in Note di Pastorale Giovanile XXVI    (1992) 1, 71.

A prova del ‘cambio’ di mentalità avventuro nei Capi nei confronti della Bibbia vi è che a 24 anni di distanza sono più di 2500 coloro che hanno partecipato ai Campi Bibbia. Cf MOSETTO F., o. c., 72.

La liturgia e la preghiera

 

Per quel che riguarda la liturgia, sottolineo che nella vita scout, come in ogni tipo di vita cristiana, tutta la liturgia e in particolare l’Eucarestia non può essere un momento separato e “tanto meno un gesto obbligatorio da assolvere in ossequio alle leggi, ma è e deve essere ‘la sorgente e il vertice’ dell’orientamento della proposta educativa scout e della attuale attività educativa dell’Assistente insieme ai Capi”.Dalla liturgia il giovane dell’AGESCI:

·   avverte la ‘dimensione comunitaria’ di tale atto, in quanto l’incontro personale con Dio avviene insieme con i fratelli;

·   viene aiutato a cogliere il mondo come un itinerario di  ‘ricapitolazione in Cristo’ che già è anticipato e preparato dal pane e dal vino che divengono corpo e sangue di Cristo;

·      percepisce attraverso il ‘tempo della liturgia’ lo spazio e il tempo del quotidiano come tempo ‘proiettato nel futuro’. Il tempo solo in Cristo acquista un senso, diviene luogo della testimonianza, dell’impegno e della salvezza.

La liturgia diviene santificazione dello spazio, in cui i simboli religiosi acquistano significato.Lo scautismo possiede “un patrimonio di segni, simboli, e cerimonie che, educando al linguaggio simbolico, possono costituire, se correttamente proposti, il presupposto per una educazione alla liturgia della Chiesa”.

Lo stesso PUC insiste molto sulla dimensione liturgica come scelta educativa fondamentale a cui il giovane va ‘iniziato’ e aiutato nella comprensione  sempre più profonda, per coglierne il valore e giungere a una partecipazione attiva ‘all’interno della comunità cristiana locale’. Il problema più diffuso è la ‘ripetitività’ dei gesti liturgici, la quale si può superare solo attraverso l’educazione “al rapporto personale con Gesù: solo con questo presupposto la liturgia può essere compresa e vissuta come luogo e momento in cui Cristo incontra personalmente e salva ogni credente”.Un’occasione da non perdere è la partecipazione ai momenti forti liturgici, in particolare il triduo Pasquale.

Per quel che riguarda la preghiera, essa viene generalmente legata alla Bibbia o, meglio, al Vangelo. Partendo dall’idea di fondo che è importante “pregare la situazione” ci si rivolge al vangelo “nello stile di una tipica conversazione attorno al fuoco alla B.P. o nello stile di un racconto di parabole”,scegliendo al suo interno quei brani che richiamano il tema scelto per la riunione o il periodo liturgico o, ancora, una tappa all’interno di un itinerario di preghiera”.Con ciò non si intende affermare che questo tipo di preghiera sia esclusivo, anzi siccome la preghiera “implica una consegna del cuore con o senza parole”è importante imparare  a pregare, ma ciò è possibile solo se si lascia dello spazio a Dio. Riguardo ai giovani, l’Associazione invita i Capi a far riscoprire loro i gesti e le preghiere tradizionali, a farli partecipare agli incontri di preghiera proposti dalla Chiesa locale e a far fare le opportune esperienze di preghiera, in particolare attraverso l’incontro con comunità che hanno questa dimensione come prioritaria ( ad es. i monasteri,...).