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L’agesci e la Chiesa
L’ elemento più evidente che caratterizza il modo originale di presenza dello scautismo cattolico nel panorama ecclesiastico italiano é certamente rappresentato dalla sua dimensione “laicale che si traduce nella piena assunzione da parte dei Capi di precise responsabilità nell’ambito educativo e nell’ambito della catechesi, all’interno della Chiesa, [e] ha costituito per molti anni qualche motivo di difficoltà verso l’ASCI e l’AGI prima, e verso l’AGESCI poi, da parte di vescovi e sacerdoti che tendevano a preferire nei laici scelte di pura collaborazione e obbedienza, rispetto al rischio di autonomi comportamenti”.[25] E’ capitato perciò in passato, e ancora può capitare oggi, che l’AGESCI, a causa di questa sua peculiarità, sia considerata dai vescovi quasi come una sorella ‘minore’ rispetto ad Associazioni e movimenti immediatamente legati alla guida e alle direttive della gerarchia ecclesiastica.[26] Certamente non sono mancati in passato momenti di tensione,[27]ma se si tiene conto del cammino fatto in questi ultimi anni all’interno dell’AGESCI e da parte di vescovi e sacerdoti, del fatto che un certo numero di genitori affida agli scout i propri figli più per motivi di ordine educativo o ricreativo che per altri motivi, della disponibilità dell’AGESCI a intervenire là dove è richiesto un notevole apparato logistico, della forte sottolineatura ecumenica dello scautismo, vediamo che il quadro se da un lato si fa più complesso, dall’altro acquista altre valenze positive. Non a caso lo stesso papa Giovanni Paolo II ha definito lo scautismo “un’Associazione di ‘frontiera’ a cui la Chiesa guarda con particolare attenzione”.[28] Questo deve spingere l’AGESCI, oggi più che mai, ad acquisire una dimensione missionaria e un’integrazione con quelle realtà che, in particolare in ambito locale, si rivolgono agli stessi ragazzi da altri punti di vista; il tutto in una visione di intervento globale che mai va dimenticata. [29]Indicativamente l’Associazione prevede che il referente del Gruppo scout sia la Diocesi, mentre per le singole Unità il “riferimento più naturale è la Parrocchia”.[30] I problemi ‘aperti’ nel rapporto con la Chiesa potranno essere del tutto risolti quando si imparerà a ‘sedersi attorno allo stesso tavolo’ per programmare insieme, il che vuol dire disponibilità all’ascolto da parte della parrocchia e della Diocesi, e recupero del senso di appartenenza alla Chiesa[31] da parte dei Capi.[32] Scautismo e Chiesa locale “La Comunità Capi vive all’interno della comunità ecclesiale con un proprio ruolo, che è quello di sviluppare l’azione educativa dello scautismo” e si “pone perciò all’interno della comunità cristiana con un ruolo di complementarietà”.[33]In particolare nei confronti della parrocchia “assieme al diritto di avere uno spazio proprio, ha il dovere di impegnarsi con umiltà e coraggio per costruire il massimo di unità possibile, con una presenza attenta nei consigli pastorali e nelle varie iniziative di carattere educativo e quindi soprattutto nella catechesi”.[34] “Una Comunità Capi può trovarsi: · inserita direttamente in una parrocchia: in questo caso, se la parrocchia ha un suo piano pastorale, la Comunità Capi cercherà di armonizzare i propri momenti specifici di catechesi con quelli offerti dalla parrocchia, evitando i doppioni e colmando le lacune che vi riscontra. · situata fuori da una struttura parrocchiale: in questo caso va tenuto presente che i ragazzi del gruppo hanno (o dovrebbero avere) anche rapporti con la loro parrocchia. Occorre prestare attenzione a non porsi come struttura parallela, ma educare il ragazzo a cogliere il valore della appartenenza a una Chiesa locale, territoriale, (più completa come immagine del popolo di Dio): così l’itinerario di catechesi del gruppo sarà integrativo a quello parrocchiale. Una vera vita ecclesiale non si esaurisce mai in una sola comunità (che diverrebbe chiesuola) ma si apre continuamente alle altre Chiese: perciò diventa importante tenere conto delle linee pastorali diocesane, e delle indicazioni che vengono dalla Conferenza di tutti i Vescovi italiani”.[35] Permangono tuttavia difficoltà, in particolare a livello parrocchiale. Infatti se da un lato ci si incontra con una realtà strutturata in un territorio ben circoscritto, dall’altro si ha a che fare con ragazzi che arrivano nei gruppi scout da più parrocchie di provenienza. Se la parrocchia offre una catechesi sistematica, il gruppo scout incentra il discorso formativo su un orizzonte più globale del ragazzo, in cui si inserisce certamente come elemento essenziale anche quello della crescita religiosa, ma non si riduce solo ad esso, in quanto il discorso educativo è molto più ampio. Cosa può dare quindi lo scautismo alle parrocchie? Nella misura in cui si aiutano i ragazzi a crescere nelle varie dimensioni della vita umana e a fare scelte di fede li si aiuta a trovare la dimensione della loro vita quotidiana, che é poi quella della parrocchia; se questo non avvenisse certamente sarebbe lecito dubitare dell’educazione religiosa di un determinato gruppo scout.[36] Va riconosciuto anche in questo ambito un cammino che ha portato a proporre per il Consiglio Generale del 1995 l’invito esplicito ai gruppi e alle Unità scout di ricercare rapporti costanti e costruttivi con organismi e programmazioni pastorali delle comunità locali, a cui prendere parte nei modi e nei momenti appropriati.[37]Infatti risulta da una indagine del 1991[38]che solo ¼ delle Comunità Capi lavorano all’interno di Consigli Pastorali Diocesani e ancor meno sono quelli che vi partecipano in modo attivo. Anche la partecipazione ai grossi momenti diocesani è del 50%, mentre sale notevolmente a livello parrocchiale. Un terzo delle Co.Ca. ha capi che svolgono un servizio di catechisti e 2/3 dei gruppi intervistati hanno Rovers e Scolte che prestano servizi in parrocchia.
L’Azione Cattolica e lo scautismo italiano Il cammino dell’AGESCI è in diversi aspetti parallelo a quello dell’Azione Cattolica in quanto l’associazione scout nasce da ambienti di Azione Cattolica,[1]si rivolge a una fascia d’età abbastanza simile ed è spesso presente negli stessi ambienti. Fin dagli anni ’80, abbandonato “il triste cliché del passato: ‘ognuno per se’ ” i rapporti “tra Azione Cattolica e AGESCI sono [divenuti] esempio di sintonia profonda che deriva dal convergere su due medesimi grandi obiettivi: educazione e formazione al servizio, scelta religiosa. Le metodologie adottate sono sicuramente diverse, ma forse proprio questo accentua la complementarietà tra le due Associazioni”.[2]Inoltre dal 1993 “si sono intensificati i rapporti precedentemente instaurati con il settore A.C.R. dell’Azione Cattolica”.[3]Da un primo momento di conoscenza reciproca, si é passati ad un confronto sulla metodologia adottata nelle rispettive Associazioni fino ad approdare ad una riflessione/confronto sugli itinerari di catechesi per i giovani e gli adulti. Si sono avviati incontri a carattere trimestrale che “potranno condurre alla realizzazione di un momento seminariale più allargato rivolto presumibilmente ai formatori degli eventi nazionali che approfondirà il tema della figura/profilo dell’educatore - testimone della fede”.[4] A questo vi è da aggiungere la formulazione di due
progetti all’incirca nei medesimi anni: il Progetto Unitario di Catechesi[5]
per l’AGESCI nel 1983 e il Progetto Giovani per l’Azione Cattolica nel 1988.[6]Certamente,
da un confronto dei due progetti, si desume il problema da cui nascono tutti e
due i progetti e cioè un problema di integrazione, o di solidarietà, tra fede
ed esperienza a cui entrambi i progetti tentano di rispondere indicando
itinerari, modalità, risorse da investire per raggiungere l’obiettivo. Nel
PUC, che ha un taglio più catechistico, il problema è avvertito come problema
di integrazione tra catechesi ed esperienza scout. Nel Progetto Giovani, che va
al di là del problema catechistico, avendo un taglio più pastorale, il
problema è in riferimento a come si può vivere un cammino di fede di A.C. nel
rispetto, anzi nella profonda valorizzazione, dell’esperienza giovanile
attuale. CMagistero alla Catechesi dell’Agesci Notevoli sono stati fin dal sorgere dello scautismo gli interventi del Magistero, in particolare su temi di educazione, servizio, formazione umana e fede. Da una attenta lettura dei testi pontifici sullo scautismo si deduce che, malgrado alcuni periodi di incomprensione, mai è mancata da parte della Chiesa la stima per questa “moderna ed originale iniziativa educativa”. [7]Certamente questo è dovuto anche al processo di integrazione nella Chiesa da parte dello scautismo e al cammino della Chiesa che, in particolare dopo il Concilio Vaticano II, ha rivalutato e specificato il ruolo dei laici. Dovendo fare delle scelte, ho preso in considerazione i più importanti interventi del pontefice Giovanni Paolo II e il recente intervento su ‘AVVENIRE’ dell’Assistente Ecclesiastico Generale dell’AGESCI, sua eccellenza mons. Arrigo Miglio, vescovo di Iglesias. Giovanni Paolo II: “L’uomo progettato su Cristo”[8] Se da un lato il ministero petrino del papa polacco si è indirizzato ad una capillare attenzione alle problematiche mondiali, in particolare attraverso instancabili viaggi, dall’altro non è mancato un recupero della dimensione della ‘Chiesa Particolare’ con la scelta di condurre personalmente le visite pastorali alle parrocchie di Roma.[9] “Pur non mancando i rapporti con i vertici delle associazioni scout più tradizionalmente legate alla Santa Sede [...] e con le strutture internazionali, è proprio nelle visite pastorali che si sono svolti il maggior numero di incontri di Karol Wojtyla con lo scautismo”.[10]Il tono di tali interventi è quindi più discorsivo e legato ad una catechesi che sa quasi di occasionale, che ad uno stile ufficiale. Gli argomenti trattati riguardano specialmente tematiche di tutto il mondo giovanile, quali: “l’impegno (discorsi nn. 177, 179, 182), la gioia (nn.
177, 182), la giovinezza (nn. 186, 187, 202) o, ancor più concretamente, il
campo (n. 176), il fuoco (n. 179), il cammino (n. 190), la vita nella natura (n.
196). Giovanni Paolo II dimostra di cogliere con istintiva simpatia (non priva -
come già per Pio XI- di risonanze autobiografiche; cf. nn. 176, 186, 190) la
specificità del linguaggio dello scautismo, ma nondimeno tende a inquadrarlo
nella globalità delle espressioni pastorali che animano la pastorale diocesana,
al punto che si fa talvolta difficile indicare i destinatari in una sola delle
componenti associative rappresentate in una stessa parrocchia”.[11]
Non dobbiamo qui dimenticare che tutti i valori naturali a cui si rifà Giovanni
Paolo II nei suoi discorsi, traggono il proprio punto di forza dalla
proclamazione della centralità storica e cosmica di Cristo, affermata con forza
nella sua enciclica Redemptor hominis. In
sintesi una ‘doppia fedeltà’ a Dio e all’uomo, senza contrapposizioni, a
cui lo scautismo cattolico (ma a dire il vero tutto il mondo cattolico) è
chiamato, evitando da un lato l’integrismo e dall’altro la perdita della
propria specificità ecclesiale verso l’interno e soprattutto l’esterno
della Chiesa. Insegnamenti dai discorsi di Giovanni Paolo IIagli
Scout dell’AGESCI.
Due temi importanti che più volte si ripetono nei discorsi di Giovanni Paolo sono quelli della gioia e della serietà che devono animare tutto il mondo giovanile. Caratteristica della gioia è di esprimersi in un “modo di comportarsi semplice, sincero, diretto, e anche nei canti. La serietà è nell’impegno, umano e cristiano, nell’impegno apostolico”.[12]Questo può essere un punto di partenza per giungere a Cristo, vero fondamento della gioia e della serietà. Per questo diventa importante trasmettere quel sommo bene che è Cristo anche agli altri facendosi missionari nei propri ambienti. Rivolgendosi al consiglio generale dell’AGESCI[13]
il Papa invita ad avere una particolare attenzione all’interno del PUC per
coloro che attraversano l’età dell’adolescenza. Invita l’Associazione a
mettere al centro della propria catechesi Gesù Cristo come “guida ammirevole
e tuttavia imitabile”, educando “i
giovani [ad avere] una visione della vita, in cui prevalgano i sentimenti di
bontà, di vigore e di letizia, e un’esuberanza interiore che trabocchi in
quella carità esteriore, che prende il nome di apostolato”. E’ quindi un
forte invito a continuare a fare dello scautismo una “palestra per
l’allenamento alle virtù difficili”, virtù che passano attraverso
l’educazione all’essenzialità e all’austerità.
[14] Ho già accennato al famoso incontro di
Giovanni Paolo II con 13.700 giovani e Capi dell’AGESCI durante la 2a route
nazionale Rovers e Scolte.[15]Nell’omelia
egli parte dalla tematica tradizionale del cammino come immagine biblica che ha
in Abramo un vivo esempio e che richiama la fede (n. 204,1-2). Da qui passa a
delineare l’esempio di Paolo di Tarso, protettore dei giovani Scout, invitando
ad avere lo stesso zelo ed entusiasmo per la causa del vangelo e per l’ideale
del servizio compiendo scelte coraggiose cristianamente ispirate, sia sul piano
sociale che su quello individuale (n. 204,3-4).
Invita ad uscire dalla banalità
per cogliere attraverso tutto ciò che lo scautismo offre quei valori che danno
vero significato alla vita e dispongono all’incontro con il soprannaturale.
Questo prepara all’esperienza di Cristo[16]e
spinge alla missione. Nel discorso di saluto dopo la Messa, [17]Giovanni Paolo II riprende questi discorsi e mette l’accento sulla centralità di Gesù Cristo, il ‘più grande educatore dell’umanità’. Anche qui ribadisce l’esigenza della testimonianza e intravede in tutti quei giovani ‘una parte molto preziosa della Chiesa italiana’. Questi temi, in vario modo, compaiono anche come caratteristici di tutti i discorsi successivi fino ai nostri giorni. Dalle ‘virtù difficili’ l’educazione integrale[18] Secondo sua eccellenza, mons. Arrigo Miglio, dietro lo scautismo cattolico c’è una particolare visione del mondo e della vita che trova la sua consonanza nella legge del Signore, di cui la legge scout é eco fedele. Nella storia lo scautismo ha ben presto accompagnato la cura particolare dei valori umani, la scoperta della natura e dell’ambiente, la ‘valorizzazione del proprio corpo alleato a saper dare sempre di più’, l’educazione all’essenzialità nell’uso delle cose, a uno stile prettamente evangelico. Su questo humus si è sviluppata una spiccata sensibilità liturgica e un’attenzione privilegiata al ‘racconto’ biblico. Le idee conciliari in campo liturgico e biblico sono ormai patrimonio acquisito dell’Associazione, insieme alla consapevolezza di appartenere alla Chiesa come laici battezzati. Richiamandosi al Patto Associativo e al PUC egli dice che l’Associazione chiede ai Capi una scelta piena e convinta di fede vissuta nella comunione ecclesiale, e offre ai ragazzi una proposta di educazione cristiana integrale. A suo parere ciò non sacrifica affatto la proposta educativa scout, ma anzi valorizza l’impegno per le ‘virtù difficili’. Inoltre permette all’Associazione di stare su di una frontiera anch’essa caratteristica dello scautismo cattolico italiano: quella dove si incontrano ambienti cattolici e altri ambienti sensibili solo ai valori umani del metodo scout. Sua eccellenza mons. Miglio ammette che “l’amalgama non é sempre facile nè garantito, ma l’esperienza permette di verificare come non possa non incontrarsi ciò che é autenticamente umano con ciò che é autenticamente cristiano”. Infine due altri filoni su cui l’Associazione sta, a suo parere, molto lavorando in questi ultimi anni, sono: il “vivere la comunione ecclesiale cercando un inserimento sempre più organico nella propria Chiesa locale, e lo sviluppare l’impegno di catechesi nei gruppi curando la preparazione dei Capi”. Con questa particolare attenzione si sono mossi gli ultimi Campi Scuola nazionali per i nuovi Capi ( con oltre 2000 partecipanti l’anno) e gli incontri con gli Assistenti ecclesiastici a tutti i livelli. Certamente molto rimane ancora da fare, ma la strada che si è scelta fa guardare avanti con ottimismo all’Associazione e al servizio che lo scautismo cattolico italiano è chiamato oggi più che mai a rendere alla Chiesa. [1]Cf DEL ZANNA, o. c., 11. [2]BRUNI P., Un laicato attivo e aperto al dialogo, in Scout Proposta Educativa XI (1985) 42, 8. [3]Consiglio Generale 1993. Relazione del Comitato Centrale, in Scout Proposta Educativa XIX (1993) 10, art. 6.5, p. 21. [4]Ibid., 21. [5]Ne parleremo a lungo nella terza parte di questo lavoro. [6]Cf NEPI P., I nuovi progetti: per una unitaria e organica azione formativa e apostolica, in Presenza pastorale LIX (1989) 8/9, 141-146. [7]MORELLO G. - PIERI F., o. c., 5. [8]Ibid.,
35-39. [9]Ibid.,
35. [10]Ibid.,
35-36. [11]Ibid.,
36-37. [12]Ibid.,
n o 177, p. 261. [13]Ibid., n o 183, pp. 266-268. Il testo è quello dell’udienza privata accordata dal Papa il 30 Aprile 1982 nella Sala Clementina ai circa 250 delegati dell’8° Consiglio Generale dell’AGESCI. Questo Consiglio Generale stava discutendo del PUC e verificando il frutto di due anni di lavoro su questo progetto. [14]Ibid., p.. 267-268. [15]Svoltosi ai Piani di Pezza dal 3 al 10 agosto 1986. E’ questa una località nel comune di Rocca di Mezzo (l’Aquila) ed é la prima partecipazione in assoluto di un papa ad un momento ufficiale dell’AGESCI. Egli giunse qui in elicottero da Castel Gandolfo; visitò il campo e celebrò la messa. I testi che riportiamo sono ricavati dall’omelia e dal discorso fatto al termine della messa. Cf ibid., n o 204-205, pp. 289-297. [16]”La
vita comunitaria degli Scouts mira alla promozione della personalità,
aiutando ciascuno ad essere se stesso e rendere cosi un servizio migliore
agli altri. Nella route non c’è posto per la paura e la pigrizia che
spesso tarpano le ali alle persone, riducendole ad uno stato di passivo
conformismo. In essa tutto deve portare alla elevazione dello spirito.
L’attenzione ad evitare ogni banalità, ogni grossolanità e ogni
superficialità conduce via via a scoprire i valori umani e spirituali e a
coglierne le ricchezze più recondite. L’escursione in montagna, i
carrefours, il campeggio, la cerimonia della promessa, le messe al campo, i
canti attorno al fuoco o sotto la luna sono altrettante occasioni che vanno
al di là del fatto per diventare eventi che lasciano nell’animo una
traccia indelebile e un insegnamento a cogliere in ogni persona, gesto e
cosa quel significato che sfugge a chi e distratto o stordito in una
concezione materialistica della vita. E’ ancora questa vita a contatto con
la natura che insegna e rende possibile una ascesi, cioè uno sforzo, la
fatica e il coraggio che sono necessari per una scelta concreta di vira
veramente evangelica. Per questa via passa la conversione, che, in questi
giorni, vi siete proposti di attuare sull’esempio di Paolo di Tarso. A
questa luce le “scelte umane e cristiane”, saranno certamente valide e
sicure, perché avete imparato a superare lo spessore talvolta impermeabile
delle cose e dei rapporti umani, e a cogliere la trasparenza dello Spirito,
che informa tutta la creazione e dispone l’anima al contatto con il
soprannaturale. E’ questa la strada che conduce all’esperienza di
Cristo”. (Ibid., n° 204). [17]Ibid.,
n o 205, p. 294-297. [18] MIGLIO A., Dalle ‘virtù difficili’ all’educazione integrale, in Avvenire, 12 agosto 1994, 14.
[7]Per buona parte del paragrafo, cf ALBERICH EMILIO, Catechesi, in MIDALI M.-TONELLI R.(Edd), Dizionario di Pastorale Giovanile, Elle Di Ci, Leumann (To), 1989, 121-129. [8]Ibid., 122. [9]Ibid., 122. [10]Cf AGESCI, Statuto. Aggiornato al Consiglio Generale 1993 (= Quaderni AGESCI, 1), Nuova Fiordaliso, Roma, 1993, art. 2, p. 21. [11]CEI, Il Rinnovamento della Catechesi, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1993, art. 52. [12]Cammino formativo personalizzato e globale del ragazzo. Di questo parlerò a lungo nella quarta aprte di questo lavoro. [13]Cf ROSSI R., Animare l’educazione alla fede, in Supplemento a Scout Proposta Educativa X (1984) 34, 12-30. [14]Atti del Consiglio Generale 1994. Progressione personale unitaria e regolamenti, in Scout Proposta Educativa XX (1994) 25, mozione 29, art. 8, 47. [15]Nell’AGESCI si è passati dal concetto di ‘Catechesi Occasionale’ al concetto di ‘Progetto Unitario di Catechesi’. Cf anche BALLIS G. - ROSSI R., L’Assistente e il Progetto Unitario di Catechesi, in AGESCI, Scautismo ed esperienza di Chiesa, o. c., 127-131. [16]AGESCI, Statuto, o. c., art. 3, p. 29. Cf anche p. 28. [17]Ibid.,
18. [18]Idib.,
art.2, p. 3. [19]Stabilisce le scelte fondamentali richieste per poter far parte dell’Associazione a livello di responsabilità educativa. ”Il patto associativo é la sintesi delle idee e delle esperienze via via maturate nell’ASCI e nell’AGI ed é il punto di riferimento per ogni successivo arricchimento. I capi e gli Assistenti Ecclesiastici si impegnano a rispettarlo accogliendone i contenuti come fondamento del loro sevizio educativo e come stimolo per la propria formazione personale.” ( Ibid., 18). “I Capi dell’Associazione hanno scelto di fare proprio il messaggio di salvezza annunciato da Cristo e ne danno testimonianza secondo la fede che é loro concessa da Dio. Gesù Cristo é infatti la parola incarnata di Dio e perciò stesso l’unica verità capace di salvare l’uomo. Questa salvezza, già manifestata nella resurrezione di Cristo, ci dà la speranza-certezza che ogni partecipazione alla sofferenza e alla morte di Cristo, nei suoi e nostri fratelli, é garanzia di quella vita che Egli ci è venuto a portare con pienezza. Siamo cosi uniti dall’amore di Dio con tutti coloro che hanno questa stessa speranza e ci sentiamo responsabili, nei limiti delle nostre capacità, di partecipare aIla crescita di questo corpo che è la Chiesa, in comunione con coloro che Dio ha posto come pastori. Ci rendiamo conto delle difficoltà di partecipare alla vita di Chiese locali in cui ancora poco si sente lo spirito comunitario e avvertiamo il disagio di una realtà sociologica che talora ci presenta una cristianità intesa come “potenza del modo’’; per questo cerchiamo di essere, nella comunità ecclesiale, esperienza di continua conversione, ben sapendo che la nostra partecipazione non è motivata dalla soddisfazione umana, ma dalla fede. Per vivere questa esperienza di fede, che deve sempre crescere e rinnovarsi nell’ascolto della Parola di Dio e nella preghiera, ci riuniamo in comunità, che trovano il loro momento privilegiato nella liturgia eucaristica e che si sforzano di informare la loro vita a uno spirito di servizio, come espressione concreta della carità. La Comunità Capi e degli Assistenti Ecclesiastici propone dunque in modo esplicito ai ragazzi l’annuncio di Cristo: offre così una occasione perché anche essi si sentano personalmente interpellati da Dio e gli sappiano rispondere secondo coscienza.” (Ibid., 21). [20]AGESCI, Progetto Unitario di Catechesi. Dalla Promessa alla Partenza, Ancora, Milano, 1983. [21]Ibid.,
17. [22]Ibid.,
18. [23]Ibid.,
168-171. [24]Ibid., 18. [25]LOMBARDI G. - GRASSO G. , o. c., 41. [26]Ibid., 41. [27]Quando, ad esempio, “il Consiglio Generale del 1975 si trovò di fronte a un documento, elaborato dal Consiglio Permanente dell’Episcopato italiano, nel quale lo Statuto AGESCI inviato per l’approvazione non veniva approvato e allo stesso era richiesta una serie di modifiche”. Vi furono tensioni, ma poi prevalse il buon senso e nel 1976 il nuovo documento inviato ai Vescovi ricevette l’approvazione e un incoraggiamento. ( ALACEVICH A., Due problemi, per esempio...Fare route nella Chiesa, in Scout. Proposta Educativa XX (1994) 16, 33. Alacevich è stato responsabile centrale della Branca R/S dal 1984 al 1988). [28]LOMBARDI G. - GRASSO G. , o. c., 47. [29] “La Comunità Capi non é una comunità di vita ma una comunità di servizio educativo all’interno della comunità civile ed ecclesiale. La scelta cristiana nella Chiesa che i Capi compiono li impegna ad orientare la loro azione educativa secondo questa opzione ed a mettersi al servizio della Chiesa per la evangelizzazione e la iniziazione cristiana. Attraverso il ministero dell’Assistente, mandato dal Vescovo, la Comunità Capi fa parte di pieno diritto della Chiesa locale, medita la Parola di Dio, celebra l’Eucaristia e partecipa alla missione della Chiesa.” (PUC, art. 186, p. 127). [30]MEZZAROMA A. M.(Ed), Vai nella grande città...e grida. L’educazione alla fede in Agesci (= Collana Orientamenti), Nuova Fiordaliso, Roma, s.d., 148. [31]In particolare nelle dimensioni sociologica, formativa, di iniziazione ai sacramenti, caritativa e celebrativa. [32]MEZZAROMA A., o. c., 148-149. [33] “Un metodo educativo che mette in particolare evidenza lo sviluppo integrale dell’uomo nelle sue diverse potenzialità e di integrazione della fede e di tutta l’esperienza cristiana con la vita personale e quotidiana” ( PUC, art. 188, p. 127) [34]
“I Capi sono chiamati o ad integrare la catechesi parrocchiale [...] od
anche a fare opera di supplenza quando la catechesi parrocchiale manca.”
(Ibid., art. 189, p. 128). [35]Ibid., 128, art. 190. [36] Cf AGESCI PIEMONTE-FORMAZIONE, Scautismo e Chiesa locale: un rapporto difficile, ma indissolubile, in La Traccia VI (1987) 7,10-11. [37] Atti del Consiglio Generale 1994. Progressione Personale Unitaria e Regolamenti, art. 8, Mozione 30, in Scout Proposta Educativa XX (1994) 25, 47. [38]ALECEVICH A., Azione nel territorio e lettura dei segni dei tempi, in Servire XLV (1992) 4, 32-34.
Va riconosciuto anche in questo ambito un cammino che ha portato a proporre per il Consiglio Generale del 1995 l’invito esplicito ai gruppi e alle Unità scout di ricercare rapporti costanti e costruttivi con organismi e programmazioni pastorali delle comunità locali, a cui prendere parte nei modi e nei momenti appropriati.[37]Infatti risulta da una indagine del 1991[38]che solo ¼ delle Comunità Capi lavorano all’interno di Consigli Pastorali Diocesani e ancor meno sono quelli che vi partecipano in modo attivo. Anche la partecipazione ai grossi momenti diocesani è del 50%, mentre sale notevolmente a livello parrocchiale. Un terzo delle Co.Ca. ha capi che svolgono un servizio di catechisti e 2/3 dei gruppi intervistati hanno Rovers e Scolte che prestano servizi in parrocchia. |