Mamma mia quanti problemi avevano, una volta, le povere famiglie dei contadini! Sentite che cosa accadde un giorno a una di loro.
Era l'epoca della fienagione e, non potendolo affidare a nessuno, un contadino e sua moglie decisero di portarsi appresso Giovannino, il loro figlioletto di appena un anno d'età, che venne sistemato con cura in un angolo ombroso dell'enorme pascolo.
Dormiva della grossa, il bimbo, e perciò mamma e papà s'impegnarono nel lavoro per vedere se riuscivano a finire prima di sera. Tutto questo per dire che di lì a un po' i due si dimenticarono del bimbo, affacendati com'erano col fieno da falciare e da raccogliere in covoni. E intanto dalla foresta uscì un orso terribile!
Anzi, a dire il vero era un'orsa e ciò fu un bene, per il povero Giovannino. L'animale, infatti, si avvicinò al canestro, lo annusò a lungo e poi, come se si trattasse di un orsacchiotto di sua proprietà, lo prese tra le zampe con delicatezza e se ne andò!
Fu così che Giovannino venne allevato da un'orsa, che lo crebbe e lo fece diventare grande e grosso a forza di ghiande e frutta di bosco. Quando però ebbe vent'anni e una fame veramente insaziabile, l'orsa non ce la fece più e lo rimandò dai suoi genitori, che piansero di gioia quando lo videro e lo riconobbero. Ma i poverini ben presto si accorsero in quale razza di pasticcio s'erano cacciati: Giovannino o, meglio, Gioàn dall'Orso, come tutti ormai lo chiamavano, non solo aveva uno stomaco senza fondo - mangiava e poi mangiava e mangiava ancora senza sosta - ma era anche forzuto più di un vero orso, tanto che in meno di due giorni scardinò e distrusse tutte le porte e le finestre di casa.
Accolsero perciò con gioia la strana richiesta del loro "figlioletto": - Racoglietemi almeno tre quintali di ferro - disse un giorno Gioàn dall'Orso ai genitori, - ché voglio prepararmi un bel bastone col quale andare alla conquista del mondo!
Ce la misero proprio tutta, quel contadino e sua moglie, razziando ogni pezzo di ferro dei dintorni, ma alla fine, indebitandosi fino al collo, riuscirono ad accontentare il loro Gioàn. E quando il bastone fu pronto, ben temprato e tutto lucido, il giovane salutò i suoi vecchi e partì in cerca di fortuna.
Dopo tre giorni di cammino, Gioàn dall'Orso arrivò in una enorme foresta nella quale abitava Barbiscàt , "barba di gatto", un gigante che terrorizzava i pastori e i boscaioli dei dintorni col suo grosso bastone di piombo.
- Lascia stare queste bubbole - gli disse Gioàn, - prendi il tuo bastone e vieni con me!
I due camminarono per altri tre giorni, finchè giunsero in un grande pascolo, in mezzo al quale, all'ombra di un enorme pino, abitava Testa de moltòn , un gigante il cui unico divertimento consisteva nel far impazzire con un grosso bastone di legno duro le mucche e le capre che gli capitavano a tiro.
- C'è di meglio, al mondo, sai? - esclamò Gioàn. - Lascia perdere questi giochetti da bimbo: vieni con noi e vedrai che non ti pentirai!
Sette settimane dopo i tre compari giunsero nella capitale di un vasto regno, abitato da un popolo assai stano: tutti, ma proprio tutti, dal lattaio al mugnaio, dal contadino al pastore, dalla donna di casa al bambino più piccolo, tutti piangevano dall'alba al tramonto e anche di notte, nelle case di quella città, riecheggiavano pianti e lamenti senza fine!
Gioàn dall'Orso chiese in giro e, dopo molte insistenze, riuscì finalmente a far smettere di piangere un oste e a farsi raccontare che cosa fosse successo.
Era tutta colpa di tre terribili Maghi che, piombati in quel regno una notte di due anni prima, avevano rapito la principessa, che ora tenevano prigioniera chissà dove. Poi i tre si erano installati nella reggia, confinando il vero re in una cella sotterranea e vivendo alle spalle del popolo intero, che era costretto a lavorare per mantenere i vizi di quei tre mostri!
Gioàn guardò negli occhi i suoi due amici e….
- Vuoi provarci tu, Barbiscàt, a dare una lezione a quei figuri?
Il gigante non se lo fece ripetere due volte: afferrò ben bene il bastone di piombo, abbattè con un sol colpo il portone della reggia e in breve raggiunse la sala in cui erano riuniti i tre Maghi. Uno solo degli stregoni si fece avanti e urlò con quanto fiato aveva in corpo:
- Bè, brutto verme pidocchioso, che cosa vuoi? Stai forse cercando qualcuno?
Fatto sta che mentre strillava, contemporaneamente il Mago ipnotizzò il povero Barbiscàt, che terrorizzato a morte lasciò cadere la sbarra di piombo e fuggì fuori le mura della città.
Ci provò, allora,Testa de moltòn, ma non gli andò molto meglio, anzi: scappò a gambe levate e si fermò solo quando alle sue spalle le mura della città erano sparite dietro all'orizzonte.
Fu quindi la volta di Gioàn dall'Orso che imbracciò il suo bastone di ferro ed entrò di corsa nella sala dei tre Maghi, affrontandoli di petto a occhi chiusi e…….PATAPIM! PATAPUM! PATAPAM!……con pochi colpi ben assestati li ridusse a così mal partito, che i malvagi si videro costretti a scappare.
Gioàn li seguì finchè potè: poi, quando i tre scomparvero all'improvviso come per magia, si ritrovò da solo, davanti a quello che pareva l'ingresso di una tana di volpe. Ma non si perse d'animo: mandò Barbiscàt in città a prendere una lunga fune e, quando il gigante fu di ritorno, Testa de moltòn legò la corda all'albero più vicino. Dopo di che Gioàn dall'Orso si calò nell'oscurità della tana, per sbucare di lì a poco in una grande stanza sotterranea, al centro della quale vide i tre Maghi svenuti a terra.
Dal dito di uno di loro tolse un anello d'oro che brillava alla fioca luce che proveniva dall'alto e solo quando si infilò a sua volta l'anello al dito, potè udire dei lamenti che provenivano dall'oscurità. Armatosi dell'ultimo coraggio che aveva in serbo, affrontò anche quel mistero e vi lascio immaginare la sua sorpresa quando, in una profonda segreta, trovò una bellissima fanciulla che piangeva disperata chiamando suo padre!
Era la principessa rapita, Gioàn lo capì subito: la liberò dalle catene e dalle sbarre e la condusse nella stanza dei Maghi, che se ne stavano ancora sdraiati a terra, apparentemente senza vita. Legò poi la corda attorno alla vita della ragazza e gridò ai giganti di tirarla su, per poi rigettare la fune di sotto.
Il fatto è che la principessa venne riportata in superficie, ma poi i due giganti arrotolarono la corda e se ne andarono in direzione della vicina città, portando la principessa con sé. Gioàn dall'Orso urlò per due giorni e due notti, ma nessuno lo sentì: nessuno, tranne un'aquila reale che raggiunse chissà come la stanza sottoterra.
- Se tu mi darai tutto quello che hai da mangiare - gli disse il nobile animale, - io ti porterò in volo ovunque tu vorrai!
Certo: Gioàn non aveva molte leccornie in tasca, ma un po' di pane vecchio e qualche strisciolina di carne secca furono più che sufficienti per farsi trasportare alla reggia della bella principessa. Qui non ci volle molto tempo a convincere il re che il vero liberatore della sua figliola era lui e non quei due giganti traditori: la principessa testimoniò a suo favore e i due malvagi vennero puniti con l'esilio.
Gioàn accettò tutto l'oro e tutto l'argento che il re gli volle regalare e li portò ai suoi genitori, affinché potessero trascorrere negli agi i pochi anni di vita che ancora gli rimanevano. Lui, invece, fece ritorno alla città di quel vasto regno, sposò la principessa e visse per molti e molti anni circondato dall'affetto della bella moglie e di tanti bravi figlioli.

Autore: Mauro Neri




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