Arianrhod, la Vergine della Luna era gelosa, della sua Ruota d'argento, temeva che un giorno degli uomini crudeli potessero impossessarsi del bianco scudo. L'incarico, che Odino l'aveva dato era quello di illuminare il Mondo, mentre questo dormiva, rischiarare le tenebre, specialmente presso i Laghi, i sentieri, i dirupi, affinché nessun animale potesse annegare nelle acque scure, o sfracellarsi cadendo nei crepacci della montagna. Gaia la dea della Terra era grata ad Arianrhod per il suo impegno celeste e l'aiutava faceva scorrere nella foresta, sulle acque una delle sue sottili brezze, in modo che l'aria era sempre fresca e giocava sulle acque e tra le foglie degli alberi, cantando alla Dea della Luna per la sua benevolenza... La Vergine dai capelli di cristallo montava a cavalcioni il Crepuscolo, tingendo di un oro caldo le sue bellissime gambe, mentre con le braccia teneva sollevato verso il Sole il suo disco argentato per catturare più raggi possibili dal Sole. La celeste corsa sul destriero alato proseguiva veloce, quel tanto da rendere le notti illuminate, ma doveva stare attenta che la luce del Sole fosse attenuata quel tanto da non irritare l'Oscurità, la coltre naturale che conciliare il riposo ristoratore degli animali, dei fiori e degli uomini. Cernunno , il Dio dalle grandi corna da cervo, atavico protettore delle bestie, si era invaghito della bellezza di Arianrhod. La quale non degnava nemmeno di uno sguardo al dio cornuto. Anche se avesse rivolto lo sguardo in basso, il Sole l'avrebbe abbagliata e la Dea avrebbe lasciato cadere la Ruota della Luna sulla Terra. Cernunno ogni notte insisteva, ogni volta che passava la fanciulla della Notte, si struggeva dal desiderio, galoppava con le sue zampe di caprone su una vetta e buttava fuori dal sua grande gola pelosa certi, rumoreggi, proprio come fanno gli stalloni in cerca di femmine. Quei invochi alla bella, erano così forti che gli uomini si svegliamo di soprassalto, dei rumori assordanti, che facevano tremare tutte gli oggetti delle case. I toni bassi e continui, facevano rotolare le grandi cataste di tronchi giù nei torrenti. A quell'epoca gli uomini non conoscevano l'uso della ruota, si servivano di slitte di legno, per trasportare a valle il foraggio per gli animali. Erano fatti con due grandi pattini di legno, uniti fra loro ad una estremità, dietro un ripiano per il carico e in mezzo fra la punta e il carico stava l'uomo tentando di guidare giù per i pendii la divertente slitta, quando non c'era la neve, era l'erba fresca di rugiada che imprimeva con il peso del carico velocità al primordiale "Bob". Bhu'uda!! Lanciavano un grido e giù a tutta velocità per la china, se poi riuscissero a fermarsi era tutto da vedere. Una variazione: i due pattini di legno e più piccoli, invece di essere uniti, erano indipendenti ed erano legati ai piedi dei coraggiosi montanari con dei lacci di cuoio, Furono i progenitore degli "sci" sheeeehh , il sibilo del vento e dalla veloce corsa sulla neve ghiacciata . Oggi questo divertente sport è praticato ancora nelle valli alpine, specie nel Sud Tirolo, i montanari scendono lungo sentieri con slittoni carichi di legname e fieno, da portare a valle. Al Nord, nelle grandi distese dei laghi ghiacciati, le slitte erano fatte di ossa di renna e pelle di salmone, il grande freddo faceva da collante, erano così robuste e durevoli, che ci sono ancora oggi. Su, per le montagne, tempo permettendo, la vita concedeva dei piccoli passatempi e si scorrazzava allegramente, in pianura un po' meno. Le fatiche degli uomini nel spingere questo primo mezzo di locomozione, sudavano, sbraitavano, riuscendo a fare qualche metro, sempre se non c'era del fango, si sprofondava fino al polpaccio. Dovevano gioco forza attendere la stagione secca, per liberare il carico, qualcuno incominciò a calcolare le spese di trasporto. Tentarono con infilare sotto ai carichi dei tronchi rotondi, viscidi d'olio, ma non erano molto pratici, il più delle volte, guizzavano via come bisce e molti malcapitati ci rimettevano un piede schiacciato, non erano nemmeno coperti d'assicurazione. Vi abbiamo fatto questo preambolo, per tornare alla nostra avventura di Cernunno e la Dea della Ruota, il primo cantante urlatore. Il dio mezzo uomo, mezza bestia, non sappiamo da quale parte, urla, muggisce, barrisce, fra l'altro uno con una voce così, non doveva nemmeno essere di aspetto attraente. Ma non cedeva affatto, ogni notte, riprendeva sino quando il destriero bianco di Arianrhod se confuse all'orizzonte con Aurora. Lei è una ragazza seria e illibata, a certi richiami della Natura, non ci pensava nemmeno, ma non erano così i timpani di Arianrhod, alla dea, di queste interminabili strazianti serenate, non ne poteva più, non volendo disubbidire ad Odino, guadando in basso, verso la Terra, si portò le mani alle piccole graziose orecchie, proprio nel momento in cui sopraggiungeva una cometa, in rotta di collisione. L'urto fu sentito per tutto l'Universo, uno enorme schianto di lamiera, Dal urto, per fortuna, la Dea si salvò, vi furono solamente danni alla carrozzeria. La Ruota di metallo andò in mille, diciamo, milioni di pezzi, s'infilarono dappertutto, anche fra le famose slitte di montagna che presero poi il nome di "carrozzoni", in ricordo del grande urto della Notte dei tempi, quando Arianrhod perse la sua verginità, scusate, la sua Ruota. Gli umani e il loro cinismo, in questa favola non fa testo, anzi per una volta ebbero dei vantaggi e furono gratificati, conseguenze di un botto cosmico, oggi direbbero un incidente del traffico. Una riflessione: non distogliere mai l'attenzione di chi sta al volante, specialmente se si trattasse di una giovane principiante avvenente fanciulla, guardarla la sua bellezza, gratifica lo spirito, ma non si fanno rozzi apprezzamenti o atti che ledono il decoro della persona, di notte, è civica convivenza rispettare il sonno di tutti le creature di Odino e soprattutto non si rompono i timpani al prossimo, acconsentite: un tuonetto a Thor, ogni tanto, per rammentare agli umani che non sono degli dei.

di: Lucien Riva, editore:odinonline98@yahoo.com



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