Mi sporgo dalla finestra
Nella sera glaciale,
E vedo il crepuscolo d’inverno
Dissolvere le dirute mura;
E il tramonto ostile fiammeggia
Sulla secca e vuota corteccia
Del sobborgo cittadino, e cade
Come un dito accusatore
Sulle chiese sventrate,
Sulle piccole case rotte
Spaccate come giocattoli; o indugia
Per le strade e cerca
Con la perizia d’un poeta
I piccoli, i trascurati
Segni dell’antica, invincibile
Vita che senza sosta,
Tutta innocente e improtetta
Ora si rinnova: il bimbo
Che giuoca con un cerchio, la donna
China sul fornello,
E i lastricati con la lanugine
Del tenero verde primaverile
Di finocchio selvatico e cicoria.
Ed ora, calando la sera,
Le case ruinate si adergono
Scialbate di luna, bianche come ossa,
Presso l’orlo della città, dove i campi
Fluiscono dolcemente nell’ignoto
Paese oscurato dalla guerra;
E la porta appena illuminata
Offre la sua visione incorniciata di buio(Una natura
morta di Chardin);
E i fuochi sul lastricato
Che ardono per il pasto serale
Come per una festa,
Sfidano la dura costrizione
Della Guerra e l’urgente, maschio assalto
Del preparato disastro:
Segnale luminoso per i futuri
Giorni sorridenti
Quando di nuovo i fuochi festivi
Nella strada e sulla piazza avvamperanno
E i getti e le candele romane
Sprizzeranno la loro ingenua lode
Delle sgargianti immagini di santi,
Riscattando con ore liete
Questo duro tempo senza amore;
E la gente tornerà a danzare
Nelle strade parate di fiori,
Tra lo scorrere del vino nuovo.