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STEFANO PANZA
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DECADIMENTO [dicembre 2000]

13 Marzo 1202. La mia vita non ha più senso, e stento a definirmi un essere vivente. L'inizio del mio decadimento ebbe inizio circa 5 anni fa, e si manifestò nella sua forma più spregevole e inaspettata. Ero felice della mia vita, da sempre libero da ogni problema, sia economico che affettivo, grazie al nobile lignaggio dal quale discendevo e alla sposa che ho incontrata e amata.
Certo mi era impossibile pensare che il mio più caro amico avrebbe posto fine a quella felice esistenza, mai ne avrei conosciuto il motivo, e qualora un giorno ne venissi a conoscenza, credo che non sarei mai in grado di comprenderlo. Egli mi spogliò dei miei averi, poiché divenne il signore delle mie terre; attirò su di me le antipatie dei miei amici, poiché agì in combutta con essi; mi privò del mio amore, poiché anch'ella mi tradì, divenendo sposa di codesto maligno, che aveva tramato alle mie spalle. La morte fisica sarebbe stata un sollievo in quei momenti, e forse sarebbe stata in grado di alleviarmi dalle pene della morte spirituale in cui mi ero imbattuto. Fui bandito dalle mie terre, e privato di ogni bene materiale e spirituale, mi allontanai dai luoghi in cui da sempre avevo vissuto, sapendo che mai vi avrei fatto ritorno. Viaggiai a lungo, presto i miei abiti divennero degli stracci e i preziosi calzari, che indossavo e che avevano da sempre battuto lucidi pavimenti di sublimi palazzi, divennero inutilizzabili.

7 notti fa mi stavo aggirando affamato in un piccolo boschetto, trascinandomi lungo un polveroso sentiero, che come un serpente si districava a fatica tra la folta selva che lo circondava. La lucidità era un lusso che ormai non potevo più permettermi, e come un essere privo di volontà muovevo le mie membra stanche in direzione di un luogo che non conoscevo, poiché il mondo mi passava a fianco senza toccarmi, e tutti i luoghi per i quali transitavo rappresentavano per me lo stesso inferno. Sì, l'inferno non è come lo dipingono famosi scrittori o mondani artisti, non v'è fuoco né creatura luciferina, è lo scorrere della vita che ti passa accanto senza scalfirti, senza che tu ne possa gustare, dimenticato da tutti, e dimentico di tutto. Ma uno strano segnale, nella nebbia della mia mente, improvvisamente mi riportò per un fuggente attimo a contatto con il mondo reale; mai avrei potuto immaginare di riprovare la paura, convinto di aver già perso tutto, mai avrei potuto credere di tremare al suono di un campanellino.
Mi fermai in ascolto, irrigidito sulle deboli gambe, l'orecchio teso, e il battito del cuore accelerato, sebbene la mia mente lo volesse far tacere. Nulla, non sentii nulla; ma ecco quando stavo per compiere a fatica un nuovo passo, che alla mia sinistra un fruscio attirò la mia attenzione. Mi fermai nuovamente e vidi un'ombra avanzare lentamente, e a fatica attraverso la vegetazione. Camminava in posizione eretta, sebbene la figura fosse grottescamente incurvata, appoggiandosi pesantemente a un lungo e nodoso bastone, il quale attirò subito tutta la mia attenzione.
All'estremità superiore del bastone erano appesi, probabilmente con l'ausilio di pezzi di stoffa stracciati, dei campanelli, che tintinnavano freddamente ad ogni sussulto del loro oscuro padrone. La paura, che prima si era manifestata in modo indefinito nella mia mente assente, prese forma, e realizzai il motivo di tanto terrore. Nel frattempo l'essere si era avvicinato abbastanza da poter essere visto con maggiore chiarezza, così che ne scorsi il viso sotto il logoro cappuccio. Subito mi misi a correre, raccogliendo le poche forze che ancora si ostinavano a rimanere nel mio corpo, e mi diressi come impazzito all'interno della boscaglia, frustato e sferzato violentemente dai rami che sembravano volermi trattenere. Non so per quanto tempo continuai a correre, né quante volte mi voltai tremante nello sconvolgente pensiero di rivedere l'oggetto della mia paura, ma continuai a fuggire finché le forze decisero di lasciare vuoto il mio corpo, facendolo crollare a terra immobile.

Il volto sporco di terriccio si alzò, fissando il rudere che gli si trovava di fronte. A fatica mi rimisi in piedi, appoggiandomi a un albero, e mi diressi verso le rovine di quella che doveva essere una casa in avanzato stato di abbandono, avvolta dalla vegetazione che sembrava ormai essersene impossessata. Penetrai nell'oscura ferita, che un tempo doveva essere servita come ingresso all'abitazione, facendomi largo tra le fragili e umide assi di legno che ancora pendevano stancamente dai cardini rosi dalla ruggine. L'interno era buio, sebbene a volte qualche pallido filo di luce tentava a fatica di farsi largo tra le tenebre, sforzo che veniva malamente ricompensato, in quanto serviva solo ad illuminare porzioni del polveroso pavimento, legno marcescente e cocci di terracotta. Mi sedetti in un angolo dopo averlo liberato dai cadaveri degli oggetti che lo infestavano, e diedi modo alle mie membra di riposare.

Quando mi svegliai, per un attimo non riuscii a capire dove mi trovavo e come ci ero arrivato, ma poi la mente mi ricordò quanto era accaduto. Mi alzai e avanzai facendomi largo tra la confusione e sostenendomi al muro, quando a un tratto la mia mano incontrò il vuoto, rivelandomi così un passaggio, che probabilmente conduceva ad altre stanze dell'abitazione.
Imboccai quello che doveva essere uno stretto corridoio, anch'esso parzialmente ostruito da cianfrusaglie, finché non arrivai a delle scale, che conducevano ad un livello sotterraneo.
Scesi lentamente, accompagnato dall'eco dei miei passi, sempre sostenendomi alle pareti di pietra, e quasi mi sembrava di entrare nella gola di un'enorme creatura, che con la pazienza che solo i predatori hanno, ha atteso che io entrassi nelle sue fauci. Mi fermai cercando di scacciare la paura e la suggestione che quel luogo era in grado di evocare, e subito ripresi la discesa. Dopo qualche metro, alla fredda pietra delle pareti si sostituì l'umida terra compatta ricoperta in gran parte da muschio, che come una malattia mortale sembrava infestare la maggior parte della superficie delle pareti. Procedevo lentamente, saggiando il terreno ad ogni passo, poiché la vista, in quel luogo privo di luce, non poteva aiutarmi. Mentre avanzavo a fatica, in quel mondo ovattato dalle tenebre, cercavo di immaginarmi cosa vi avrei potuto trovare. Date le condizioni della costruzione in cui mi trovavo, non pensavo certo di trovare qualcosa di straordinario, ma forse la paura di tornare fuori e di incontrare nuovamente quell'essere dannato, mi aveva spinto ad esplorare quella che una volta doveva essere stata l'umile abitazione di qualche zotico boscaiolo. Con questi pensieri nella mente giunsi, dopo un percorso che mi sembrava essere durato delle ore, al piano interrato.

Subito mi misi ad esplorare il nuovo ambiente, il braccio sinistro teso verso la parete e il braccio destro teso in avanti in modo da evitare di scontrarmi con qualche ostacolo. Camminavo a ridosso delle pareti, come se al centro della stanza ci fosse un baratro infinito, dove suoni, tempo e materia non esistevano. Avevo quasi terminato l'esplorazione della stanza, che doveva misurare circa 3 metri per 4 metri, e già mi aspettavo che la mia mano destra toccasse l'angolo della stanza, quando con un piede colpii un oggetto. Non riuscii a capire di che cosa si trattasse, so solo che non doveva pesare molto, e dal rumore che avevo generato nel farlo rotolare (dunque la sua superficie doveva essere curva) sembrava essere cavo. Mi chinai lentamente, appoggiando le mani sul pavimento di fronte a me, che era di semplice terra battuta, umida e fredda al tatto. Iniziai a muovere con cautela le mani, disegnando un arco che potesse comprendere la direzione in cui si era spostato il misterioso oggetto, e così facendo avanzavo facendo attenzione a non allontanarmi troppo dalla parete.
Dopo brevi istanti la mano sinistra toccò qualcosa di freddo e liscio, dalla superficie sferica. Curioso di capire che cosa fosse l'oggetto che avevo appena trovato, lo afferrai con entrambe le mani, quindi iniziai a farle scorrere sulla sua superficie, cercando di indovinarne l'esatta forma, ma non continuai a lungo, perché dopo una breve indagine, le mani si bloccarono dal terrore, lasciando cadere l'orribile cosa che mi ero stupidamente fermato a raccogliere.
Un tonfo sordo rimbalzò contro le pareti della piccola e fredda stanza, che moltiplicarono il rumore in un lugubre eco, come se fossero state disturbate e risvegliate da un sonno iniziato in un tempo passato che ormai nessuno ricorda. Stavo già per precipitarmi verso il punto in cui ricordavo dovessero trovarsi le scale, ma mi fermai, vinto ancora una volta dalla curiosità. Ero proprio certo della natura dell'oggetto, o mi ero fatto influenzare dalla situazione pazzesca che stavo vivendo? Lentamente mi chinai per raccogliere ciò che poco fa mi aveva fatto rabbrividire, e quando le mani toccarono nuovamente l'oggetto esitai per un momento. Strisciando contro la parete e cominciai la risalita, anelando l'uscita dalle viscide tenebre, ma anche questa volta il percorso che mi separava dal piano terra pareva non aver fine.

Quando rinacqui nuovamente dal buio, mi fermai cercando di chiamare a raccolta tutto il coraggio in mio possesso, nella speranza di smentire le mie aspettative in merito alla natura dell'oggetto, che in modo così riluttante trattenevo tra le mani tremanti. Abbassai lentamente lo sguardo, finché non mi si posò sul freddo pallore di un teschi umano. Le mani mi si aprirono di scatto, lasciando cadere nuovamente il macabro rimasuglio di ciò che una volta fu una persona normale, viva, così come lo ero io, mentre in quel momento non era altro che mucchio d'ossa abbandonato in un rudere. Ero immobile, lo sguardo fisso sul teschio, pensando quale morte avesse potuto colpire la persona che molto probabilmente abitava questo piccola casa, senza rendermi conto che tali pensieri non facevano altro che terrorizzarmi ulteriormente.

Improvvisamente mi girai di scatto, pronto a fuggire da quel luogo macabro e maledetto, afflitto da un insopportabile senso di nausea, ma il destino (o forse qualche malvagia volontà che si diverte nella sofferenza degli altri) non volle che le mie pene terminassero.
Appena mi voltai vidi nuovamente l'oscura e curva figura che avevo incontrato nella selva, fuggendo dalla quale mi ero ritrovato in questo luogo misterioso, lontano dalla vita e dallo scorrere del tempo. Era lì, immobile, il corpo avvolto in una logora tunica che ne nascondeva le deformazioni; ma il suo viso, nonostante il cappuccio, era visibile, butterato, distorto da una perenne smorfia di dolore e stanchezza. Era lì, immobile, che mi fissava con i suoi occhi ingialliti, le cui palpebre si abbassavano lentamente e a lunghi intervalli. Era lì, immobile, come se già sapeva che mi avrebbe incontrato qui, e sembrava che sulle sue labbra lacerate si dipingesse uno strano ghigno. Era lì, immobile, che si sosteneva pesantemente al bastone ricurvo, come se vi fosse appeso. Era lì, immobile.
Poi fece un passo verso di me, e i lugubri campanellini, legati all'estremità superiore del bastone, risuonarono freddi nella penombra della stanza.

Un senso di nausea mi assalì, e la testa iniziò a girarmi, in una confusione di immagini e pensieri, un miscuglio di sensazioni legate tra di loro, seguite dal buio più profondo. Era un sensazione strana, mai provata prima, ma terribile. Non vedevo nulla, non sentivo nulla; ma intorno a me il buio era denso, spesso, opprimente, filamentoso. Non so dire quanto tempo trascorsi in quello stato, ma poi una voce fece vibrare il silenzio e le tenebre intorno a me. Era una voce inumanamente bassa, profonda, roca, gutturale, quasi provenisse dalle profondità di abissi che non dovrebbero esistere, perché contenenti segreti che nessuna mente sana vorrebbe conoscere. Ciò nonostante la voce sembrava quasi un bisbiglio, un sospiro, come se chi parlasse facesse fatica ad emettere quegli strani suoni. "Non temere", mi sussurrò l'atavica voce, ma nonostante quello che avesse appena detto, c'era qualcosa di blasfemo e orribile nelle sue parole, "il tuo Essere negli ultimi anni ha sempre desiderato la Morte Ultima, e io sono qui per aiutarti. Tu non appartieni più al mondo, il suo popolo ti ha rifiutato, ha messo su di te un bando che nessuno può cancellare. Su questa terra tu non sei più niente, sei un oggetto senza valore, ormai inutilizzabile. Non sta a me decidere del tuo destino, ma qualcuno l'ha già fatto, e tu, di certo, non puoi fare altro che accettarlo". Le sue parole rimbalzarono dolorosamente all'interno della mia mente, ma per un motivo che non riuscivo a decifrare, una parte di me sembrava deliziarsi al loro suono, una
parte che non avevo ancora conosciuto a fondo, ma che era nata da quando era iniziato il mio Decadimento.
Risi, risi come mai feci nella mia vita; non conoscevo il perché di questo mio folle divertimento, che contemporaneamente mi spaventava in modo indescrivibile. Le lacrime si mischiarono in un'amara alchimia con il fragore delle mie risate, mentre l'essere che mi aveva parlato nel buio rimaneva in silenzio. Non se ne era andato, no; di certo era lì, immobile.

Mi svegliai, ero confuso, e ricordavo tutto in modo ovattato, sfuocato, come se fosse un sogno (o meglio un incubo), o come se fosse accaduto tutto moltissimo tempo fa... in un'altra vita.
Mi trovavo in una radura, nel mezzo del bosco che mi ricordavo di aver percorso, ma tutto sembrava più bello, più fresco. Il sole accarezzava dolcemente le verdi foglie degli alberi, che parevano disposti intorno a me come a volermi proteggere, e gli animali riprendevano la loro quotidiana attività, assaporando l'aria ristoratrice del mattino. Mi alzai e decisi di riprendere il cammino, senza sapere dove andare, ma certo che in qualunque luogo sarei arrivato avrei potuto ricominciare una nuova vita. Ogni mio pensiero era velato da una inspiegabile felicità, ma non mi crucciavo nel tentativo di carpire il motivo di questo buon umore.
Imboccai un piccolo sentiero che si districava tranquillamente tra la rigogliosa vegetazione, quando, dopo non molto tempo di cammino, intravidi una piccola costruzione avvolta dai rampicanti in fiore. La porta era ormai inesistente, quello che rimaneva erano delle semplici assi appese a malapena ai cardini arrugginiti. Varcai la soglia, spinto da una curiosità che non riuscivo a spiegarmi, e mai mi sarei potuto immaginare ciò che mi attendeva al suo interno.

Steso a terra, nella penombra, c'era il corpo di un uomo vestito in abiti nobiliari, ma riconoscibili a fatica, poiché erano sporchi e strappati in più punti, nonché insozzati di sangue! Curvo su di lui c'era una strana figura, avvolta in una tunica cenciosa, che teneva al proprio fianco un lungo bastone nodoso, alla cui estremità erano legati dei campanellini.
L'essere aveva la testa poggiata sul ventre dell'uomo steso a terra, e si stava cibando famelicamente delle sue interiora! Non riuscii a fuggire, perché tutto il mio corpo era bloccato dal terrore. L'essere si voltò verso di me, con l'orribile viso lordo di sangue, e di brandelli di carne. Fece un silenzioso ghigno, e successivamente spostò lo sguardo verso il volto di colui di cui si stava cibando. Anch'io spostai la mia attenzione, lentamente e con grande timore, verso il volto dell'uomo che giaceva sullo sporco pavimento della stanza.
Il suo volto, rigato da lacrime di sangue, era contorto in una smorfia di gioia e di estremo dolore, ma in esso ravvisai qualcosa di orribilmente familiare: ero io! Allora ebbi la forza di fuggire lontano, finché tutto intorno a me non iniziò a sfaldarsi in mille brandelli, ed io mi ritrovai solo, nel buio.
STEFANO PANZA
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