autore: DANNY GLICK 
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:: NEL TUO ABBRACCIO ::
Questo è per te, che ancora mi attendi e che mi chiesi quel giorno di scrivere della tua vita.
Questo è per te, Madeleine, che forse permetterai che qualcuno legga di lei; mai e poi mai potrete però sfiorare, con queste semplici parole, la sua vera grandezza.
Questo è per te, Morgana, e anche per tutta la Magione; con poche righe mi hai insegnato che non ci si può nascondere davanti ad uno specchio e pretendere di rimanerne riflessi.
Questo è per voi che, come me l’avete conosciuta... E non avete avuto alternativa dall’amarla.
E in ultimo è per voi che leggerete o che avete già letto queste righe come uno spaccato di vita quali sono, e avete creduto o crederete che siano un semplice racconto. Sappiate che sono sia l’uno che l’altro.

Piango per te, musa del mio pianto
E non lascerò alcuna traccia
Perché sorgerò di nuovo
Quando morirò tra le tue braccia


Silence: "In Thy Embrace"


Annegai ad un suo sguardo. Forse alcune delle cose che doveva dirmi e per le quali non riusciva a trovar fiato rimasero impigliate in quei rantolanti respiri, ma tante altre, racchiuse in quell’unico, intenso osservarmi, mi raggiunsero, saltando con un solo breve passo le galassie di granelli di polvere che vorticavano, sospese tra noi, in quella spada di luce che fendeva la stanza.
"Recitami una poesia. Voglio qualcosa che possa ricordarmi di te", mi disse.
Mi sciolsi dal suo sguardo, un po’ controvoglia, fino ad allora cullato come una foglia sul soffio del vento, e mi diressi all’immensa libreria che ci guardava con cipiglio ai piedi del letto cui era confinata; così maestosa che sembrava il taglio stesso di una quercia affettata per custodirvi libri; scavata per la conoscenza. Pescai un volume a caso, senza leggere né titolo né autore (la vera arte non porta nome), sapevo che il dio mi avrebbe guidato la mano nella scelta, così mi abbandonai. Il suo braccio, lungo ma gentile, si posava sulle coperte, illuminando la forma disconnessa delle gambe di lei.
Mi avvicinai al letto, assaporando il cinguettio eccitato dei passeri sull’albero antistante alla finestra. Sembravano attendere, pronti a scortarla nella terra dell’estate. I miei passi sul parquet non volevano disturbare la solennità dello sguardo del sole, che splendeva sempre, su chiunque, sui buoni e sui cattivi, sui vivi e sui morenti. Così attraversai la stanza in leggerezza, per non guastare il silenzio, e mi sedetti nuovamente al mio posto, al suo capezzale. Per alcuni attimi temetti che avesse smesso di respirare, dolcemente, morendo in punta di piedi. Poi notai che il suo sguardo era stato rapito da quegli uccellini, dal loro incedere davanti all’arroganza della vita, posati sui rami della betulla che c’era in giardino, e che il suo petto continuava ad alzarsi ed abbassarsi con regolarità. Aprii il libro a caso, capitai alla pagina 158. Le pagine erano un po’ ingiallite e odoravano di conoscenza. E lessi quelle parole che così tanto mi completavano, ad alta voce.

"Ero una piccola creatura nel cuore
Prima di incontrarti,
Niente entrava e usciva facilmente da me;
Eppure quando hai pronunciato il mio nome
Sono stata liberata, come il mondo.
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti.
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri.
Stupidamente sono scappata da te;
Ho cercato in ogni angolo un riparo.
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito.
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto.
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto.
Restituendomi
Al tuo abbraccio."


A volte è così strano. Leggi qualcosa in un dato momento della tua vita, e ti sembra che sia stato messo lì proprio perché tu lo leggessi... E comprendessi, soprattutto. Ogni parola si integra perfettamente con te; si sposa con la tua vita, bacia le tue azioni, i tuoi pensieri.
Lei si voltò e mi osservò. Vidi che stava piangendo.
"Non voglio morire, Vento Notturno", mi disse soffocando un singhiozzo. "Se devo lasciare qui tutta questa bellezza..." Alzò un braccio e lo volse verso la finestra, verso i passeri che cinguettavano, verso il sole che la salutava... ma io sentii che quel gesto non si limitava solo a quella visione estatica, si riferiva a tutta quell’immensità di luce che si stendeva oltre alla finestra, oltre all’albero, oltre alle macchine che passavano oziose per la strada, oltre alle case e oltre anche al cielo... sentivo che avrebbe voluto amare tutte quelle cose ancora e ancora per lungo tempo, e che non voleva abbandonarle. O forse non voleva sentirsi abbandonata al suo destino, come se stesse salendo una lunga scalinata immersa nell’oscurità, e il resto del mondo rimaneva giù, ad osservarla. E non sai cosa ti aspetta nel regno del grande mistero... Per questo un po’ lo temi. O forse, in un modo che allora non capivo... temeva di aver dimenticato qualcosa, o di essere ella stessa immemore di ciò che era stata e di ciò che aveva fatto. Decine di piccoli disguidi di percorso, litigi, piccole parole che non avrebbe dovuto dire... tutto lì in quel momento... e l’irrimediabilità come sola coscienza. Non c’era più tempo ormai; l’orologio stava facendo scattare i suoi ultimi tocchi. Io avrei voluto dire qualcosa, avrei voluto far sì che quel nero sipario che le scendeva sugli occhi potesse sollevarsi di nuovo; avere il potere di donarle la mia vita per far sì che potesse continuare a respirare senza rantolare e senza bisogno dell’ossigeno... e così sarei stato per sempre qualcosa di grande; se avessi potuto donarle tutto ciò che avevo sarei vissuto per sempre dentro di lei, come parte della sua anima, del suo corpo; come un cuore che batte dentro al cuore, come linfa che nutre lo spirito... ma la dea la voleva con sé, e non c’era niente che io, misero essere umano, potessi fare per impedirle di prenderla.
Si voltò di nuovo verso la finestra e con un sospiro appena percettibile disse: "Porterò con me la tua poesia, Vento Notturno. Quando sarò là la ripeterò tante e tante volte affinché sarà la prima cosa che ricorderò al momento della mia rinascita in questo mondo."
"Non l’ho scritta io", replicai con timidezza dopo aver sbirciato sulla copertina del libro che tenevo tra le mani. "È stata una poetessa di nome Mary-Elizabeth Bowen."
"Non ha importanza. Sei stato tu a regalarla a me..."
Feci per dire qualcosa, ma capii che il silenzio era l’unica risposta che potesse suggellare le sue parole. Così mi piegai su di lei; emanava una fragranza dolcissima, come di fiori... o come il dolce profumo che emanano i bambini neonati... ricordava quello dei biscotti. Forse è proprio quello... il profumo che ha la vita nei suoi primi attimi... lo riacquista quando si consuma nei suoi ultimi. Il profumo della purezza, della serenità... lo ottieni nuovamente quando sei purgato da ogni gioia e dolore, e non hai più niente di questo mondo che ti avveleni. Tastai con gli occhi la sua bellezza. Non potevo credere che l’avrei perduta, anche se per breve tempo. Poi, per alcuni attimi tutto mi parve così semplice... senza macchia, di una nitidezza... un candore che fa male agli occhi: lei era vicina al dio e alla dea. Non doveva temere. E nemmeno io dovevo rammaricarmi. Di cosa in fin dei conti? Il ritrovarsi non era poi così lontano. Solo qualche giro di orologio, cosa vuoi che sia?
L’odore dell’incenso era così terso che mi faceva lacrimare gli occhi, perché lunghi solchi di pianto mi stavano scendendo sul volto. Sentii la sua mano sul mio capo... gentile.
"Non piangere...", mi disse. "È la natura che fa il suo corso... ricordi cosa ti ho insegnato? La ruota... la ruota della vita... la ruota dell’anno. Mabon è ormai alle porte. Tornerò alla terra e aspetterò... aspetterò che verrà Samhain, così che potrò germogliare di nuovo, e impiantare radici, e ricominciare un nuovo ciclo..." 
In quel momento maledii il mio nome. Così pretenzioso. Se solo fossi stato veramente un Vento Notturno, e se solo avessi potuto soffiare su di lei con delicatezza e far sparire con un respiro tutta la sua sofferenza; se solo avessi potuto comportarmi davvero come il Vento e avessi potuto accompagnarla lungo il suo cammino, sostenendola, accarezzandola, scivolandole accanto per far sì che non le capitasse alcun male... strisciare davanti al suoi piedi per toglierle ogni sasso affinché non avesse ad inciampare; spostare ogni ramo che potesse ferirla, e intrecciare giunchi sui fiumi e i torrenti affinché non avesse a bagnarsi... accompagnarla nel suo lungo cammino verso la terra dell’estate come un vero e proprio Vento Notturno, prendendole la mano urbanamente per accertarmi che non avesse a perdersi...
...Ma forse la verità nascosta è che nella vita dobbiamo accettare ogni giorno come fosse un dono, e alla stessa maniera, dobbiamo accettare ogni divina richiesta come il saldo di un debito. E se rendere vita per la vita era il saldo a ciò che ci è stato dato in prestito, non dovevo sentirmi in qualche modo defraudato dagli dei se stavo loro cedendo qualcosa di così grande... perché la mia stessa vita non è mia.
"Non distruggere con il solo intento di distruggere", mi disse lei sollevandomi il volto dalle coperte. Mi sforzai di ricacciare indietro le lacrime. Il dio mi osservava di lassù, sembrava volermi giudicare. "Se devi farlo... distruggi con l’intento di ricostruire. Non voglio andarmene con la coscienza di non averti potuto insegnare tutto ciò che so." Sorrise. 
Sembrava un raggio di sole tra le nubi, un arcobaleno in una palude. "Non vorrei dover tornare indietro da così lontano solo per darti ripetizioni."
"Se dovessi tornare indietro..." affermai io con decisione, "ti nasconderò dagli occhi degli dei, così che non ti porteranno via più."
Lei rise, e fu l’ultima risata che fece in questo mondo. Cristallina, dolcissima. Ma non mi parve così divertita dalla mia affermazione; lo fece solo perché quella grandezza che era nata tra noi non poteva racchiuderla in un solo cuore. Non ci riuscivo nemmeno io. Era come doversi dissetare del mare, abbracciare la terra. Alcune cose nascono perché non siano comprese nemmeno da chi le conosce. Esistono e basta. Così mi spinsi alle sue labbra, con gentilezza, e colsi il suo respiro. Fu semplice. Lo colsi come un fiore e lo tenni qui, dentro di me, pronto a cederlo a chi ne sarebbe stata degna. Solo in quel modo sarebbe vissuta per sempre in questo mondo. Il suo respiro dentro al mio, fusi insieme. E poi il mio e il suo insieme a quello di altri. E così vivere nel respiro delle generazioni a venire, come acqua per le piante, come i sali minerali della terra; parte integrante degli individui che sarebbero vissuti dopo di noi; globuli rossi nel loro sangue, neuroni nelle loro menti. Sentii il suo respiro in bocca, umido, lieve, caldo, per niente invadente, e lo accolsi dentro di me, pronto a passarlo al mondo intiero, in un unico grande abbraccio; una parte di lei si sarebbe trovata anche in chi mai avrebbe potuto conoscerla. 
Poi tacqui, pervaso da oscuri pensieri. Non c’era altro che potessi fare ormai. 
Osservai... 
L’amai... 
Aspettandone il tramonto.


Danny Glick: 1 luglio 2002
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