autore: Danny Glick 
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Nel bosco, ove su tenui primavere noi due solemmo giacere, a confidarci ogni intimo desio, c’incontreremo il mio Lisandro ed io; quivi ad Atene stornerem la faccia, di strane genti e nuovi amici in traccia. Dolce compagna de’ miei giochi, addio; prega pel bene di Lisandro e mio; e a te Demetrio renderem la fortuna! Bada Lisandro; la vista digiuna, terrem del cibo che la fa beata fin domani nel cuor della nottata

William Shakespeare: “Sogno d’Una Notte d’Estate”

Occorre darci fretta, o re d’incanti: i draghi della notte, ecco, hann’infranti i nembi, e splende il messo dei mattini dinanzi a cui gli spettri peregrini ai cimiteri affollansi, e i dannati spiriti, in crocicchi e flutti sotterrati, ai verminosi letti fan ritorno: perché non scruti le lor colpe il giorno.

William Shakespeare: “Sogno d’Una Notte d’Estate”

C’è festa nella Foresta Incantata. Candele nere danzano al ritmo delle dolci note emesse dai flauti. Un corpo giace supino nell’erba, inondato dalla luce lunare: lo sguardo fisso nel vuoto sopra di lui. Urla di tenebra s’innalzano tra i tronchi secolari in una mistica riunione di spiriti crudeli; le ninfe del legno fuoriescono dalle piante strisciando come serpenti velenosi. Saltellando allegramente, mitologici figuri compaiono nella radura con in mano flauti di midollo, emettendo note favolose e travolgenti. La figura si alza dal suo giaciglio rugiadoso e comincia a danzare al suono dei flauti. Ceneri di vita, ouverture d’orrori e oscure tranquillità. Infauste sinfonie si alzano in un crescendo di perniciose urla malefiche. Il crepuscolo stende il suo grigio mantello velato sulle piante e sugli spiriti dei boschi. L’Orchidea Nera è nel cuore di chi la desidera ardentemente. L’incubo della fantasia perversa è senza fine, e il baratro che si apre sotto di te è lungo e ti fa precipitare in una rapida discesa fino all’inferno. Il desiderio di morte prevarica quello della vita e il fuoco ardente brucia i peccati dell’animo. La carne è debole, l’anima immortale. Il silenzio è loquace e il dilemma rimane la danza eterna di fazioni in contrasto tra loro; il perpetuo rincorrere della luna da parte del sole finisce. L’eclissi totale è il crepuscolo più lungo e in quel mentre, ogni anima volge il proprio viso verso l’araldo della solitudine del corpo. Le creature della notte cercano prede. La pelle si sgretola e il sangue si coagula, niente è eterno: siamo nell’ombra degli déi. L’erba ha vita propria, le fronde si agitano, gli spiriti urlano e gli déi tacciono. L’alito della foresta avvolge nella sua tiepida nebbia ogni singola cosa; i tronchi coperti di muschio parlano con i sospiri che si senton talvolta nel vento. I cani ululano alla luna la loro mestizia e gli uomini maledicono gli déi. Le fiamme del peccato bruciano nella radura, dove la figura si accascia al terreno, inondata di fuoco; la sua pelle brucia come brace incandescente, i suoi occhi esplodono in frammenti di sangue. La pioggia nera piomba dal cielo ad infradiciare ogni cosa; e consuma il desiderio, e spegne la danza, e uccide il peccato. Cammeo di orrori supremi, spasimo di eterna vita. L’Orchidea Nera brucia il nulla: colma il vuoto tra la vita e la morte, distrugge l’innata malizia dell’infinito. L’Orchidea Nera è l’universo. Suoni di zoccoli riverberano nell’aria malsana; zampe caprine saltellano gaiamente. La luna è rossa; il cuore è nero. Il fiore si apre in un suadente sorriso al centro del mondo. La cenere ricopre ciò che era vita, sepolta sotto anni d’incomprensione. Denti da cannibale affondano nella carne; lacrime di sangue stillano dalle stelle. Fulmini di vita incendiano come le mani degli déi; comete d’orrori precipitano dal tetto del mondo ormai in frantumi. L’aria s’infiamma, il serpente ride e la luna scompare. Ma è sempre festa nella Foresta Incantata, ivi il tempo si è fermato. Fauni cornuti escono dagli alberi e ridono al mondo. La figura danzante dalla pelle di nuvola e gli occhi di donnola si catapulta in mondi paralleli. Steli d’erba saggiano il suo corpo ermafrodito. Le candele danzano al suono dei flauti d’osso; i figuri troneggiano sulla vita ormai spenta. Lo stoppino incandescente balugina ancora un poco prima di morire in un sospiro di fumo. Una lingua di nebbia rantola in un angolo e le fate danzano intorno al potere dell’Orchidea Nera. La rosa si schiude: le spine stracciano la pelle. I boccioli grassi si spalancano come bocche affamate che inghiottono atomi di vita. L’Orchidea Nera vive nel giardino del tempo, al riparo da sguardi velenosi. Mani mozzate, vite distrutte. Gli alberi sono coperti di dondolanti figure impiccate, con lo sguardo perduto e il sorriso sbilenco di denti marci e storti. Il corvo strappa gli occhi e poi se ne nutre. I Lazzari tornano alla vita, il cielo ci parla e i lampi camminano. Tutto gira intorno al nucleo centrale, dove dimora l’Orchidea Nera, che ride del passar dei secoli. Mondi sommersi da onde di sangue, mura ciclopiche nell’inferno dei vivi. Non esiste un mondo felice: il male alligna e il bene ristagna. Per i morti non può esistere alcun futuro. C’è del buio in fondo a quello che chiamiamo corridoio, e non la luce che tanto agognamo; c’è del buio dentro di noi. Il potere è delle tenebre; la fede è dell’occulto. Un rituale sanguinoso segna lo scoccare dell’ultima ora dell’umanità; le lancette girano, il tempo fugge. Con grazia una farfalla si alza in volo e le sue ali vengono tranciate dalle possenti mascelle di una vespa: l’incubo senza fine, l’agonia di mille Anime Perdute e di spiriti che gorgogliando, si agitano come coccodrilli in uno stagno ormai asciutto. Il gelido abbraccio della morte, il glaciale bacio dell’oblio. Il mondo è un camposanto e noi siamo le lapidi; granito che parla di tempi fuggevoli e spariti sotto cortine di fumo. Urla disumane esplodono quando le lame affondano contemporaneamente nella carne, con il soffio dell’aria tagliata. È tutto troppo straordinario perché sia umano. Una civetta vola alta, con le ali di piume smaltate d’odio, gli artigli macchiati e lo sguardo assai furtivo. Culti innominabili, orrendi segreti svelati, tombe scoperchiate, profumo di morte, incendio nascosto dentro una carcassa in decomposizione: la potenza delle tenebre è stata scatenata. Non c’è via di scampo da noi stessi. Occhi vuoti e freddi per la creatura senza nome che penzola impiccata all’albero delle mani, circondata da bambole dagli arti strappati. La piaga chiamata esistenza ha puntato il dito su di te. Solo, con la tua dolce amarezza come unica compagna, attraversi il ponte della sofferenza, sotto di te scorre il fiume del dolore, dove spesso hai nuotato. Ed ecco davanti a te la Puttana di Satana, con il grembo gravido di ipocrisia e dolore per il genere umano: unica musa perpetuamente incinta. Graffi sanguinanti sul suo petto ormai scarno, denti e sangue nella tua saliva. L’anatema del genere umano attende da tempo immemorabile. L’ultimo desiderio del condannato a morte: un gotico viaggio nella notturna cattedrale del tempo immacolato. Carne lacerata, urla cauterizzanti, stridii d’unghie. Se le porte del paradiso ti sono state chiuse, quelle dell’inferno attendono solamente te per essere sigillate. Cerbero, cane infame, liberati dalle catene che ti stringono ad un mondo ormai in rovina. Caronte, divino essere, prendi la mia anima per mano e accompagnala fino al luogo dell’eterno riposo, là dove la notte suprema incide la nostra storia sulle nostre stesse ossa e sulla nostra pelle. Frantuma le mie ossa, prosciuga il mio sangue, schiaccia i miei occhi, dilania la mia carne: rinascimentale mausoleo di ossessioni e fobie. Sangue cola dalle pareti in tante lacrime di rugiada velenosa. Lingua biforcuta serpeggia e si contorce; figure in ombra cavalcano a pelo il riflesso dell’alba. Una porta si spalanca sbuffando polvere: sorridi ed accogli il risveglio della tua nuova rinascita. Ma c’è sempre festa nella Foresta Incantata, i suoni dei flauti e quelli dei violini si sposano come un gatto ruffiano acciambellato e il fuoco che gli dà calore. Il vento bacia le creature che danzano deformi sull’erba, la pioggia ne lucida le curve. Le unghie lacerano la pelle come carta in un letto dalle lenzuola inzaccherate di sangue, un baratro nero e senza fondo ti risucchia come una gola infernale spalancata per ingoiarti: la gola di Thanatos, che tiene Eros per il collo, sollevandolo innanzi al suo viso e ridendo come solo un dio può fare. E sopra ogni questione divina o mortale che possa essere, c’è solo il mistico e misterioso potere dell’Orchidea Nera, che sorride nelle tenebre bluastre come i felini occhi di un gatto. E non esiste più il domani, perché qualcuno l’ha abilmente cancellato, e il pianto si tramuta in riso e le giustizie in ingiustizie, mentre nel giardino del tempo, l’Orchidea Nera cresce e ci schernisce con tranquillità. Anime di granito si risvegliano alle note dell’allegorica orchestra, come balsamo per le loro orecchie inesistenti. Urla sconosciute, agitati suoni di tamburi in un tamtam continuo; le notti remote attendono di risorgere in bufere d’ostilità. I titani camminano tra noi e la loro ira funesta si scatena improvvisa. E tuoni e fulmini e saette di vetro. Creature calve e cieche con la pelle bianchiccia, brancolano nel buio con gli occhi malamente cuciti, e irrimediabilmente saldati. Gli uomini dal cranio troppo piccolo inevitabilmente impazziscono, e la natura muore come in un quadro dipinto a sangue, mentre arpie e draghi leggendari si combattono la supremazia del cielo di ghiaccio. I figli dei cimiteri giacciono in bare occultate al mondo intero, dopo anni di lune fredde. Ci sono sacrifici di sodomia, pedofilia e perversione sull’altare del peccato divino e della dannazione; la Morte rincorre i vivi dalla loro nascita, e non c’è via di scampo, perché lei è sempre più veloce. E così la festa giunge al termine nella Foresta Incantata: l’orchestra si ritira, i morti tornano a riposare, il mondo ricomincia a girare e il tempo si ridesta; accozzaglie di pensieri giacciono come nervi sanguinolenti stesi al sole ad essiccare. L’Orchidea Nera vive e prospera al centro del nostro universo, emanando tenebre, come tentacoli di oscurità. È forse il fiore dell’infinito, lo specchio dove gli déi si guardano: non sfiorisce mai, non appassisce mai; vive per sempre. Perché l’Orchidea è eterna. Perché l’Orchidea è il male.



Danny Glick: 12 marzo 1997
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