autore: Danny Glick 
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. : a n n e g h i a m o . i n . u n . a m o r e . s e g r e t o : .
"Un giardino nero dove piangere, dove morì il mio innamorato"

Anathema: "Restless Oblivion"


Caro Ilario, come mi piace ricordarti eroe infrangibile delle mie poesie, davanti a quel pubblico che tanto chiedeva da te e che tu non deludevi mai, riuscendo sempre a dimostrare che la tristezza che portavi con te era così a fondo radicata nel tuo animo che se solo mi fosse stato possibile aprirti e dare una sbirciata all'interno avrei visto uno Stige di dolore scorrerti nel cuore. Rodendo via ciò che eri. Trascinandosi via i tuoi sorrisi.
Caro Ilario, che tu sia dannato quando hai affermato che mi avresti amata per sempre, quando mi hai passato la mano sul viso e hai catturato le lacrime dalle mie gote come cristalli chiusi in un pugno. Pensare a te mi fa immensamente male, ma non riesco a privarmi dell'immagine che mi è rimasta stampata in mente: quel tuo sorriso un po' piegato da un lato, come se stesse pendendo appeso solo per un angolo, le tue timide mani affondate nelle tasche fino al polso e quei tuoi occhi languidi che se solo avessero avuto il dono della parola avrebbero spiegato il perché mi sembravano immensamente tristi... disperati, senza via d'uscita.
Ricordo ancora quel giorno in cui sei salito sul palco, con quel tuo inferno che ti consumava dall'interno: musa dello struggimento. Sei salito e hai preso in mano quel microfono urlandoci dentro tutto ciò che provavi, senza pietà, senza paura di fare del male a qualcuno; è stata la prima e l'ultima volta che ne hai avuto il coraggio, e io ti ammiro per quello che hai fatto, angelo mio, perché io, come tutto il resto del mondo che è ancora qui con me ad ascoltare le parole che ti hanno avvelenato il sangue, non saremmo stati abbastanza forti da farlo. Sì, mi ricordo come lo seppi fare bene: sei salito sul palco, trotterellando in quei tuoi stivali troppo larghi e in quei tuoi pantaloni di pelle che comprammo usati, con quella maglietta nera come la notte che regnava sovrana dentro di te; sei salito acclamato dal pubblico che ti amava perché avevi sempre saputo dir loro ciò che volevano sentirsi dire, hai preso quel microfono tra le tue dita bianche e sottili, e con la tua voce da baritono eppur così musicale, hai cominciato a dir loro ciò che sentivi, senza badare agli sguardi pallidi e perplessi della gente che ti guardava, ignorando gli altri membro del tuo gruppo che ti osservavano dapprima allibiti e poi impotenti. Hai urlato tutto il tuo inferno personale fino a quando le lacrime non ti hanno rigato il volto, andando a colmare i solchi che ormai avevano scavato sul tuo viso, come un fiume si riappropria del suo letto. Hai pianto e io ho sentito di amarti ancora di più, nonostante in quel momento mi hai fatto il cuore a pezzi, nonostante le pugnalate dolorose mi colpivano a tradimento il petto. Ti ho amato allora Ilario e ti amo ancora adesso.
Poi hai smesso di parlare perché i singhiozzi ti soffocavano la voce, e sei caduto in ginocchio appoggiando la fronte all'asta del microfono stringendolo nelle mani ad artiglio e continuando a piangere come un bambino. In quel momento ho pensato che il pubblico non avrebbe retto alle tue parole, sarebbe caduto in preda ad un delirio immane... ma sono cominciati gli applausi e solo chi li ha ricevuti può sapere quanto ti fanno sentire orgoglioso, quanto ti colmino il cuore di forza. Ma per me e per te quegli applausi sono stati solo olio bollente versato in gola.
Allora ho ringraziato il cielo quando il batterista è venuto a prenderti e ti ha portato dietro le quinte. Quanto avrei retto a vederti in quello stato?
Che tu sia maledetto, Ilario, e maledetto sia il giorno in cui ti ho incontrato, perché da quel giorno non ho potuto fare altro che pensare a te ogni ora, Mi deliziavo dei tuoi abbracci, mi saziavo con i tuoi baci, Ma tu hai mantenuto il segreto e per questo non ti ho mai perdonato. Una verità fa meno male se dosata tempo per tempo, ma detta di colpo è una scudisciata su una ferita sanguinante.
Ho ancora tra le mani i tuoi album e più li ascolto e più mi rendo conto che tu sapevi già da tempo che sarebbe andata a finire in quella maniera; tu sapevi qual era il destino che ti attendeva, ma non me l'hai mai detto, non mi hai mai messo a parte di quel segreto che ti tenevi dentro come uno scrigno chiuso a chiave. Ecco dove andavi tutte quelle volte che sparivi per interi pomeriggi e quando ti rivedevo eri sempre più pallido; ecco cos'erano quei segni sulle braccia che ti comparivano quando sparivi, anche se non ti sei mai bucato. Stupida che sono stata a non capire subito il disegno che tutte queste cose portavano a comporre. Stupida che sono stata a non seguirti per vedere dove andavi, per scoprire da me la verità, dato che tu insistevi a mentirmi perché credevi così nel tuo piccolo di non farmi del male. Ma quanto me ne hai fatto... Dio solo sa quanto mi hai ferito... E la risposta era sempre stata a portata di mano. Risaltava come la luna nel sereno firmamento. Ma io non avevo capito... io non ho saputo vedere...
Caro Ilario, il tuo nome in ogni caso sarà ricordato da tanti ragazzi e ragazze che facevano delle tue parole la legge, delle tue poesie la propria ragione di vita. Anche io sono una di quelle... l'eco dei tuoi pensieri è ancora viva dentro di me.
E ricordo ancora le volte che ci siamo concessi l'uno all'altra e le volte che rimanevi accucciato come uno scoiattolo su un ramo ai piedi del letto, tremante di vergogna e di disperata umiliazione perché il tuo modo di amare non era come quello degli altri e perché come gli altri non avresti mai potuto amare. E quanto tempo impiegai per farti capire che per me era uguale, che niente sarebbe cambiato e che non sarei andata da qualcun altro a cercare ciò che tu non mi potevi dare. Le mie parole però sembravano cadere nel vuoto. Deve essere terribile essere diversi; ancor di più però deve esserlo sentirsi addosso tale differenza: una differenza che per voi uomini è una pecca peggiore di qualsiasi altra, una macchia sul vostro vestito lindo di tutto punto, come un prete che ha perso la fede; od un padre con il figlio drogato.
È così che ripenso a te: come ad una persona che aveva la propria lapide già incisa ma che nonostante tutto ha saputo tenersi dentro tutto quanto per non trascinare con sé nella fossa anche chi gli voleva bene.
Il trucco per te era quello di non lasciarsi andare. Hai raccontato tutto nelle tue canzoni ma nessuno aveva veramente compreso ciò che intendevi comunicare. Così per anni, per tre album di tristezza liquida, per centinaia di concerti in cui salivi su un palco diverso ogni sera a raccontare la tua storia alla gente che stava ad ascoltarti. Per tre album sei stato un mesto bardo, un menestrello che mischiava la verità alla menzogna. Mi sentivo quasi di paragonarti a Omero e a Virgilio, a Dante e a Leopardi, e sono certa che anche tu hai avuto diritto al tuo piccolo posto nell'Olimpo dei Poeti Immortali. Quando ti sei presentato davanti alle porte del paradiso, avevi tutte le carte in regola per sederti a fianco ai più grandi della storia nell'immenso disegno divino, dove tutti sono uguali. E scommetto che lo hai fatto... hai riscosso ciò che era tuo.
Te ne sei andato in punta di piedi, chiudendoti la porta alle spalle, silenzioso come un gatto che scivola nella notte. Da un giorno all'altro sei sparito; non c'eri più, Ed era inutile per noi cercarti perché te ne sei andato per sempre. La tua odissea in questa terra era finita, rapida come solo la vita è capace di essere.
Ricordo solo una frase che mi hai detto migliaia di volte mentre ci rotolavamo su noi stessi. Una frase che mi ha accompagnato sempre per mano fino ad adesso, mi hai detto; "Per favore... anneghiamo insieme in un amore segreto." E da quel momento ho capito che sarei stata tua per sempre...
È stato inutile piangere sulla tua fredda tomba: le mie preghiere non hanno ricevuto risposta. Troppe volte mi rigiravo nel letto pensando a te, e mi sentivo chiusa nella bara al tuo fianco, e il mondo sopra di noi continuava ad andare avanti, continuava a vivere anche senza di noi; e i nostri ricordi sbiadivano lentamente come una fotografia che ingiallisce, gli angoli si piegano, il tempo la consuma. E la pace, Ilario, l'avvolgente sentimento di pace che provavo a stare sotto terra con te, abbracciati nel buio e nel silenzio dell'eterno riposo. Una pace che non troverà mai eguali, se non il giorno in cui ci ritroveremo. E pensare che sognavo di passare il resto della mia vita con te, perduta nelle tue parole, nel guscio vuoto che è la vita; sognavo di restare nel tuo tiepido abbraccio per l'eternità, seduti su un divano ad invecchiare guardando la televisione, le teste appoggiate l'una all'altra, e così morire senza nemmeno accorgersene. Morire e diventare cenere che si sgretola con il tempo, poi attendere che anche la casa si faccia polvere e riposare per sempre come particelle; mischiati insieme e portati dal vento verso orizzonti lontani. Sognavo di avere dei figli, di vederli crescere, e diventare nonni e trovare in tutto ciò il significato nascosto che ogni volta l'alba ci confida all'orecchio mentre ancora dormiamo ma che al nostro risveglio sempre ci sfugge come una farfalla dalle ali leggere. Speravo di trovare quel significato insieme a te, Ilario, il significato della frase: la vita è una ruota. Ma tu ti sei portato via tutto.
Oggi il cielo piange, e la tua lapide dialoga con la pioggia in un cantilenante linguaggio di ticchettii, come unghie sul marmo. E piange per chi è ancora qui su questa terra ad aspettare di giungere dove tu ci hai preceduti.
Caro Ilario, conservo ancora le lettere che quel mio innamorato misterioso mi ha scritto. Quell'innamorato misterioso che altro non era se non tu; i ho sempre saputo, ma non te lo ho mai detto come tu non l'hai mai detto a me. Eravamo amanti, eravamo innamorati, eppure tu mi scrivevi lettere anonime esaltando i miei seni di alabastro e le mie labbra rosse come due tocchi gai di pennello rivolti all'insù. Mi ci sono volute diciotto lettere per capire che eri tu. Così tante perché era come se un'altra persona le stesse scrivendo... non erano nel tuo stile, quello che ho imparato ad amare. Sei riuscito ad interporre una falsa personalità tra te e il tuo vero io e con questa mi hai scritto quanto mi amavi e lo hai fatto talmente bene che mi sono stati necessari mesi di tempo per capire che il mio segreto ammiratore eri tu, la persona che mi ha regalato più sorrisi al mondo. C'è stata una frase che hai scritto che mi ha fatto comprendere ogni cosa, era l'unica frase che rispecchiava te stesso. Probabilmente l'hai scritta senza pensarci, così come ti è venuta... (un po' come hai vissuto ogni giorno della tua pur breve vita); la frase diceva: un sorriso, ecco la cosa che è veramente eterna, anche nella bellezza della morte un teschio può sorridere, anche senza quelle labbra che ispirano eterne poesie. Un sorriso... basta capovolgerlo e si ottiene l'emozione perfettamente opposta ai riso. Non sempre la vita funziona così semplicemente.
Ci sono tante cose che non ho mai capito di te, che non sono mai riuscita a leggerti in quei tuoi occhi così profondi, in cui talvolta mi specchiavo. Non ho mai capito perché l'hai fatto, perché hai scritto tutte quelle lettere anonime spacciandoti per un altro. Non lo ho mai capito e ormai la risposta a tutto ciò te la sei portata con te, stretta al cuore. 
Chissà come stai adesso, Ilario, se non soffri più per ciò che hai passato qui, se fili puoi vedere mentre piango ancora per te. Mi piacerebbe poter tornare indietro e chiederti il perché di tante cose, poter abbracciarti per lunghi minuti e sentire il contatto soave che s'instaurava come un filo diretto tra le nostre anime. Cercare di recuperare tutti gli istanti che ho buttato nella mia breve esistenza senza stare abbracciata a te, senza dirti che ti amavo; ecco quello che dovrei fare. Se non avessi bruciato inutilmente quei momenti adesso, probabilmente, sarebbero meno, le lacrime che verso ogni giorno. Ma come potevo saperlo? Come potevo anche solo pensare che quando mi hai detto "buona notte" sarebbe stata per l'ultima volta? Come potevo sapere che quando hai detto: "Io vado", sarebbe stato un viaggio senza ritorno?
Un'ultima cosa prima di chiudere gli occhi di nuovo. Ilario... per tutto il tempo che siamo stati insieme siamo davvero annegati in un amore segreto... il più bello e celato che nessuno mai abbia conosciuto. Il cancro ti ha strappato lentamente via da me, o piccolo uomo la cui natura ha negato quella virilità di cui il tuo sesso va fiero, in modo che tu debba rimanere vergine per sempre. Come se fossi stato attaccato al ciglio di un dirupo con la sola forza delle dita, la tua vita è stata vissuta con una consapevolezza che solo tu sei riuscito ad affrontare con successo; poi, dito dopo dito, il male che ti ha distrutto ha cominciato a divellerti la presa fino a quando non sei precipitato, da solo, senza che nessuno potesse tendere una mano per poterti afferrare, per poterti aiutare; e ad attenderti in fondo alla lunga caduta c'era il gelido abbraccio della morte; quella musa che tanto hai decantato nelle tue canzoni: il tuo eterno anatema che alla fine ti ha accolto con sé. Per sempre. Spero solo che dove sei adesso, se mai tu possa sognare, sogni di me.
Piove sempre da quando te ne sei andato, la notte non cede posto all'aurora, l'inverno che è in noi non dà spazio alla primavera; i tuoi baci sono stati petali di rosa che cadevano sul mio petto fragile.
Smetti o Dio di torturar la mia esistenza! Portami da lui il più presto possibile; salterò da una nuvola all'altra per raggiungerlo! Nessun posto è lontano abbastanza per convincermi a rinunciare! Fallo tu che sei onnipotente! Non vedi qual è il mio dolore?
Piove...
E piovve anche quella notte buia, quando il mio corpo fremeva del desiderio di averti tra le braccia, quando la mia passione bruciava come brace ardente. Io so che tu sei venuto da me... io so che non è stato un sogno. Io so che solo in quel momento tu ce l'hai fatta, solo in quel momento tu sei riuscito dove ogni tentativo era stato fallace. Sei riuscito a scavalcare con un corto passo quel muro invisibile e invalicabile che ti ha diviso da me per tanto tempo, quello che ci impediva di unirci in un essere solo, divino, con un coito eterno ed immortale, privo di orgasmo perché questo cominciava dal primo istante e non terminava fino a quando il rapporto non era giunto alla fine.
Io so che non è stato un sogno. Tu quella notte sei venuto a me e mi hai amata... ed è stato un unico vortice di sensazioni pulsanti e non descrivibili a causa del limitato numero di vocaboli esistenti nella nostra lingua. È stato qualcosa di alieno a ciò che nessuno mai ha provato.
Solo dopo ho compreso tutto, solo quando era troppo tardi, solo quando non potevo più trattenerti a me, solo quando sapevo che se eri tornato lo avevi fatto solo per amarmi una volta, per poi sparire di nuovo.
E da allora ho cominciato a piangere, senza riuscire più a smettere, temendo di continuare fino a quando il deserto mi avesse inaridito il cuore, ho cominciato quando mi sono svegliata nel letto, da sola, con il tuo odore addosso, con le tracce dei nostri umori sul corpo, con alcuni tuoi capelli sul cuscino, con tutte quelle parole che ti portavi dietro, la pesantezza di quelle sensazioni, come mobili antichi, che non ti lasciavano mai che ancora aleggiavano nella stanza. E ho cominciato ad urlare dal dolore quando ho trovato quel biglietto sul comodino, e ho letto quella frase scarabocchiata con una matita spuntata:
"Anneghiamo in un amore segreto? Sarà per sempre..."



Danny Glick: 26 ottobre 1997
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