autore: Alberto Casti 
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IL RIFLESSO DELLA LUNA
Com'è piena l'aria stasera... respirarla a pieni polmoni... all'esterno... liberarsi... se solo potessi uscire, guardare in faccia la luna che qui si limita a poggiare l'ombra della finestra sul pavimento. Sono certo che è bellissima, con quel suo chiarore mite, quasi spento che non pretende di illuminare, è semplicemente posata lì; quello è il suo posto. Non svela niente se non la sua inutilità. È un cadavere che fluttua, sospeso. Eppure la sua morte mi rimanda immediatamente a qualcosa di immanente e vivo, è la sua stessa presenza... è totalmente inutile eppure esiste... questo mi consola. Sì. Non è tutto deciso, forse potrei urlare «Io!», ma no, lasciamo perdere... non ho neppure la forza di voltare lo sguardo.
Il mondo rovesciato non è poi male.
I piccoli affari quotidiani mi hanno stancato. No, non ho voglia di sputare di fuori, non mi interessa che gli altri mi ascoltino. Non me ne frega proprio un cazzo! Vedi, ho marcato il limite. Io, vorrei dissipare le ombre, ma semplicemente non ci riesco, non ne sono capace.
Non mi sento migliore ed anche se così fosse, ciò non cambierebbe le cose. Avere la testa per guardare oltre, ma non potersi muovere non serve a niente se non ad impazzire. Siamo sempre troppo soli, siamo troppo individui. 
Io, non è che non riesco a comunicare, parlo, sono socievole, ma qualcosa mi limita tremendamente. Le parole, sono delle maschere ed è difficile rappresentare sé stessi. Non diciamo idiozie...ma quale linguaggio universale! Concetti, universali, generici, transgenerici, univoci, multivoci, equivoci... basta con queste formule!
Ma chi diavolo crediamo di essere!?
Il dolore provocato da una lama non mi piace, è così insinuoso e freddo e poi, non sopporto la vista ed il sapore del sangue. Capisci? Ogni piccola perdita mi sembra irreparabile... i nostri corpi sono molto fragili e spesso per questa loro fragilità li dimentichiamo. Io, l'avevo capito, ora non me lo ricordo più. 
Mi sentivo parte del ciclo, il vento e l'acqua mi attraversavano facendomi dono di indimenticabili istanti, avvertivo una pienezza assoluta... avevo trovato la via. Ma ora il vento mi infastidisce e, pur amandola ancora, l'acqua mi scivola addosso; qualcosa ci separa. 
Preferisco prendere a pugni il muro o sfasciare le porte a calci, sì! Dimostrare a qualcosa che posso distruggerla, annientarla. Delle volte vorrei farlo a qualcuno, così, improvvisamente, non appena si atteggia in un modo che mi dà fastidio, mollargli un pugno in faccia con tutta la forza, fracassargli il naso, la bocca, fargli saltare qualche dente... Magari sulla metropolitana nell'ora di punta. Individuare un passeggero di quelli odiosi, magari qualcuno di quegli adolescenti che parlano solo di calcio e di discoteca e vanno in giro con il bomber ed i calzoni tra le chiappe. Afferrarlo alle spalle, passarli un braccio sotto la gola e spezzargli l'osso del collo girandogli violentemente la testa di lato. Crok! 
Osservarlo rantolare ancora alcuni attimi e ritornare a leggere il giornale. Sarebbe bellissimo. Magari domani lo faccio.
Qualche notte fa... ero in macchina. Da solo. Procedevo a passo d'uomo lungo una coda interminabile. Una ragazza si avvicinava da dietro barcamenandosi lentamente tra la mia fila e lo spartitraffico con una vespa bianca. Ad un tratto un ragazzo apparso così all'improvviso le salì dietro, toccandole il seno e leccandole il volto ed il collo. Lei cercava di staccarsi, ma lui la stringeva violentemente. La vespa, procedendo un po' a singhiozzi raggiunse la mia macchina.... Di scatto aprii il finestrino e mentre passava bloccai il tipo per la gola facendolo cadere a terra. Era spaventato, non capiva neppure cosa fosse successo. Scesi dalla macchina, lo afferrai per i capelli senza dirgli una parola e gli fracassai il cranio sullo spartitraffico. Una, due, tre violente botte; finché dall'iniziale rumore sordo potei sentire il "crak" finale. Era morto e non me ne fregava proprio niente, non provavo rimorsi, anzi ero soddisfatto, mi sentivo Meursault sulla spiaggia di Algeri... «allora ho sparato quattro volte su un corpo inerte dove i proiettili si insaccavano senza lasciare traccia»... 
Non è certo la prima volta che uccido... non so se mi piace. Spesso riesco ad essere del tutto indifferente... non credo di essere un maniaco. Sicuramente sarei giudicato malato di mente, ma non sarebbe che un altro errore. Io... sono capace di intendere, ma più di ogni altra cosa sono capace di volere... la mia volontà è tanto forte che tra pensiero ed atto non esiste scarto alcuno. 
Non sono un misantropo, non odio gli uomini, forse qualcuno, ma non uccido per odio, semplicemente per fastidio... alcuni mi infastidiscono forse perché rappresentano qualcosa che invece odio, come la televisione, i telegiornali, i miti borghesi e cattolici, i bluff-intellettuali portavoce del nientismo assoluto, quelli che vomitano versi indecifrabili tra un balletto ed uno stacco pubblicitario e poi... "consigli per gli acquisti"... vorrei ucciderlo, anche lui, con le mie mani a calci nei denti e urlargli «Bastardo!!! Bastardo!!!» e poi sputare sul suo cadavere che ancora sussulta in preda agli ultimi spasmi muscolari. Ma non posso certo perdere tempo, io vado dritto alla fonte di queste "disgrazie" che impestano il mio cervello con gangli infetti di propaganda occulta... Io colpisco la mediocrità, nel suo aspetto più forte, quello del qualunquismo.
Qualche sera fa... mi trovavo sul grande raccordo che circonda la città. La strada era quasi deserta. All'improvviso le luci azzurre della polizia... un posto di blocco? Mi avvicinai rallentando, un agente mi fece cenno di frenare ancora e di procedere molto lentamente, c'era stato un incidente catastrofico. Il traffico non era interrotto, si procedeva a zig-zag tra decine di corpi dilaniati. Una donna di colore era ancora cosciente e si lamentava mentre violenti spasmi le facevano spillare il sangue dal ventre totalmente esploso. Vedevo le interiora sparse ovunque e le costole bianche si erano aperte, come le mani che contratte rimanevano immobili col palmo rivolto verso l'alto. Uno dopo l'altro... sono stato costretto ad osservare da vicino ogni vittima, ogni corpo, ogni brandello di carne... il dolore che provo anche solo a ripensarci è inesplicabile.
Da bambino sterminavo centinaia di formiche sentendole scoppiettare sotto la pressione delle mie dita, oppure gli davo fuoco, o semplicemente ci ballavo sopra ridendo... poi magari ce n'era una che mi faceva pena ed anche se ormai l'avevo schiacciata e si trascinava via terrorizzata strisciando l'addome a terra, cercavo inutilmente di aiutarla. 
I bambini sono una moneta che ruota. 
Quando piangevo avvertivo veramente una disperazione pura, maligna, uno stato di abbandono assoluto che difficilmente un adulto può provare. A volte piango ancora...

La brezza notturna smuove le foglie dell'edera che circonda la finestra. Lo vedo dall'ombra. 
Me lo ripeto da sempre, l'estate è la stagione che preferisco. Anche se è torrida e ti impedisce quasi di respirare... è così selvaggia... si può stare nudi senza patire il freddo ed il sudore che in piccole gocce cola sulla schiena o si condensa sulla fronte in minute perle, mi fa sentire vivo, mi piace spargerlo per tutto il corpo. É anche la stagione che mi eccita di più. Le donne passeggiano con vestiti leggeri che solo due piccoli e sottili tratti di stoffa tengono su... l'odore delle creme doposole, la pelle che si stende e si colora, i sandali e i piedi senza smalto... sono come degli unicorni bianchi, evanescenti creature, leggere sensuali... le labbra, gli occhi sempre così profondi che lasciano solo intravedere la sessualità latente e così invitante... 
A volte la vedo correre... con addosso proprio uno di quei vestiti... colorato di fiori tenui, tra l'azzurro ed il porpora. A piedi nudi in un campo di ulivi sulla terra rossa e polverosa della Puglia... all'orizzonte una linea blu: il mare. Corre e sorride mordendo un pomodoro appena strappato dalla pianta con quei suoi denti bianchi, vuole giocare, mi invita a seguirla... la amo... io amo... io amo... amo. 
Ora, la vorrei qui, ma non ho voglia di parlare. Dovrebbe sapere, entrare in silenzio dalla porta, spogliarsi e sdraiarsi sul letto senza toccarmi. È la sua presenza quella di cui ora ho bisogno... sentire il suo respiro e percepire il calore del suo corpo.

Tic-Toc, Tic-Toc, Tic-Toc, Tic-Toc... il tempo passa. Inesorabilmente. Una volta mi ero liberato anche di questo... «il Tempo, non esiste», dicevo. E invece lo sento, sempre di più, farsi strada tra i miei capelli, come l'acqua che modella le rocce. Sulla mia testa tesse la sua tela, ogni giorno più grande, ogni giorno più rifinita, come un ragno. Non ho paura di morire, ma ora ne comprendo il valore... se sto qui e lo lascio passare senza far nulla, io, non ho senso... No, non c'entra niente con i falsi miti borghesi di progresso... devo fare qualcosa per me, dovrei progettare, aspirare a qualcosa, pensare a qualcosa di finito... Prima che io, in quanto Tempo mi esaurisca. Sono una clessidra.
Per ora sto qui, come crocifisso tra queste lenzuola a pensare... forse non è tempo sprecato e poi io dono il mio sangue a chi voglio!
Ho studiato tanto: cinque anni di elementari, tre di medie, altri cinque di liceo, ed ancora cinque di università... in tutto diciotto... eppure non mi ricordo niente. Un cazzo. Zero. 
Mi sono anche laureato a pieni voti, ma non so come.

Roma, mattina del 24 Marzo 1944. Kappler cammina dalle parti di via Tasso dove stanno raccogliendo parte delle 335 persone che tra le 12 e le 20 circa verranno trucidate alle Fosse Ardeatine. Un passante porta a passeggio il proprio cane.
Kappler gli si rivolge dicendo: «povera bestiola, dovrebbe portarlo da un veterinario, non vede che è visibilmente malato?». 

Domani guarderò l'infinito. Potrei farlo per ore: uno specchio riflesso nell'altro. È meraviglioso...
Una volta lo feci notare anche a mia nonna...
«Vedi nonna, l'infinito...».
«Come?». 
«Sì, guarda nello specchio... l'immagine dello specchio nello specchio si riproduce fino all'infinito...».
«Hmm... ma come scusa, tu che sei ateo credi all'infinito?».
Credere... credere... «credi»... «credi»... «non esiste uomo senza Dio...», dicono... ma esiste forse Dio senza uomo?
E poi in cosa si crede? In qualcosa che si conosce... ma quel Dio che passeggia tra le chiese vestito d'oro e sangue io non lo conosco né, lo voglio conoscere. Non ho fede, e comunque non mi interessa averne, io sono uomo tra gli uomini, carne tra la carne con la mia mente limitata, le mie gioie peccaminose e i miei dolori blasfemi, hic et nunc. Tuttavia non sono ateo, non sono senza Dio... 
Preferisco gli dei con cui parlare e ancor di più le ninfe con cui fare l'amore tra le rive di piccoli ruscelli dove si stendono immensi canneti o in prati rigogliosi di primavera... io, non ci credo semplicemente attraverso un atto di fede... io le ho viste... bellissime, eterno candore... prender forma dai tronchi d'albero o emergere in un fascio di luce sulfurea dalla terra morbida ed umida... i loro sguardi tra le foglie, i loro corpi puri e nudi... le ho viste rincorrersi nella pioggia... e scambiarsi baci e carezze. Le ho anche udite piangere... portando in grembo qualche piccolo animale ucciso dai passi umani... o urlare, vittime delle fiamme... cenere alla cenere, polvere alla polvere...

Com'è piena l'aria stasera... respirarla a pieni polmoni... all'esterno... liberarsi... 

Alberto Casti 

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