Estesasi ai quartieri cittadini, la camorra è
richiesta a chi pratica l'usura, la prostituzione, il gioco d 'azzardo. La
"protezione" dietro pagamento di tangente sarà poi imposta a cocchieri,
facchini, venditori ambulanti, commercianti, tavernieri. Viene così formandosi, nel
panorama sociale napoletano, un particolare associazionismo criminoso, imperniato sul
comune interesse degli affiliati alla spartizione dei proventi dell'estorsione
generalizzata. Il termine "camorra" giunge infine a designare un'organizzazione,
la "Bella Società Riformata", retta da uno statuto, il "frieno", che
prescrive anzitutto l'obbedienza agli ordini dei capi e il mantenimento del segreto su
quella che è chiamata "onorata società". La "Società maggiore"
raggruppa i veri e propri camorristi, mentre gli affiliandi ("giovanotti
onorati", "picciotti", "picciotti di sgarro" fanno parte della
"Società minore". In ognuno dei dodici quartieri di Napoli agisce una
"società" rionale divisa in "paranze" (gruppi con diverse
specializzazioni), retta da un "caposocietà" o "capintrito",
coadiuvato dal "contaiuolo", che funge da segretario-tesoriere. Il contaiuolo
riscuote i proventi delle estorsioni, che ripartirà in base alle norme societarie.
Collegati tra loro, ma di fatto indipendenti, i "capisocietà" rispettano
l'autorità del "capintesta", una sorta di supremo capo della camorra, che
governa il quartiere della Vicaria. Sembra che il "frieno", agli inizi
tramandato oralmente, sia poi stato redatto in forma scritta intorno al 1840. La copia
pervenutaci stabilisce i gradi della gerarchia interna, regola i rapporti tra consociati,
sancisce le pene irrogabili dai "tribunali" camorristi. Questi si articolano in
"Mamme" (con giurisdizione limitata al quartiere) e "Gran Mamma",
competente per l'intera città e presieduta dal "capintesta", in questa sua
funzione chiamato "Mammasantissima". Alessandro Coletti, Mafie, storia della criminalità organizzata nel Mezzogiorno. Sei, Torino, 1995, pagg. 24-25. |