IL DILEGGIO
Mi piace irretirmi
in San Carlino alle Quattro Fontane, la mia creatura prediletta, il mio
orgoglio d'artefice, la fuor di regola. Impossibile qui un gioco a
rimpiattino. Gli anfratti, i ciechi trabocchetti creati dall'ottagono in
ellisse, occultano sprazzi , sfumano nitori, frangono sguardi, creano
esitazioni, ma rivelano impotenze di fronte a fisicità lampanti. In simile
spazio si è condannati all'evidenza, volendo all'esibizione. Dovrà,
perciò, ricomparire . E difatti, accompagnata da un giovinetto riccioluto,
mano nella mano, la donna sbuca dalla sagrestia. Ha lo sguardo perso,
vitreo eppur invasato, posseduto, ossesso. Impassibile, distante, schiva
la ruvida strada della penitenza, allontanandola da sé con il piede,
sprezzante. Mi degna, al passaggio, di assoluta noncuranza. Quasi fosse
indirizzata, non avverte la necessità di alzare lo sguardo, allorchè
occupa la proiezione ortogonale del centro della cupola. Qui, dopo aver
deposto un mazzuolo ed uno scalpello ai suoi piedi, resta immobile. Il
putto, sistemata a qualche metro dalla donna una poltrona ammantata di
velluto rosso, m'invita con un cenno a sedermi, ad occupare il posto del
principe. E lei, quasi ad onorare il mio punto d'osservazione, scioglie la
nera tunica, mostrando per contrasto il colore dello sfinimento,
dell'assenza di libertà, della fame di luce. Si compiace, così sembra,
d'immergersi nell'ispezione del proprio corpo interamente nudo, affranto
dal pallore. Fronteggia senza imbarazzo il mio sguardo puntuto e indaga
fin nel profondo la fonte della vita, per lei radice d'ogni dolore. Il
luciferino giovinetto, angelo senza ali, estrae dalla rivelata faretra un
dardo prezioso, la cui punta brunita si scioglie in lingua fiammeggiante;
sorridente, la ferisce con veemenza. La bocca socchiusa di Teresa, così la
donna, lascia fuggire un suono al confine tra il gemito doloroso e il
singulto da piacere, lasciando intendere una prevalenza di gradita pena,
affatto manifestata dall'espressione d'abbandono da cui il volto è
soggiogato. L'intensità del suo sibilante compiacimento insidia il
trascendente inerpicarsi degli aggetti, scorta il mistico ondeggiare delle
pareti, ricerca stabilità tra il concavo e il convesso degli spazi.
Svanite infine le torbide atmosfere suggerite dalle anomale contemplazioni
,dagli estenuanti indugi e dalle profane conquiste, Teresa si riacconcia,
sprofonda nella sua opaca veste e, altera, si avvia verso la sagrestia. La
difesa della mia meraviglia è violata dal ripensamento della donna, che
raccolta la pungente cintura , innanzi sdegnosamente scostata, mi si
avvicina e me la porge. Leggo nel suo volto una livida, soddisfatta
espressione. Abbasso lo sguardo e avvolto, protetto dal disegno della
cappella dei Cornaro, il cilicio ha assunto la forma agghiacciante del
cappio. (ndr) Questa mia cosa
può essere letta a sé oppure può avvalersi di questo inquadramento storico
artistico: |