LO SCOGLIO

 

 

Scoglio ti ho visto e non ho potuto rinunciare a guardarti, so versare la mia linfa in calici sconosciuti quando voglio capire e i sospiri sono carezze che sovente diventano graffi e poi preziosi e caldi ricordi.
Osservavo la tua roccia e scoprivo sfumature di colori e luci, ogni volta diverse, che il mare e il sole disegnavano senza sosta, erano momenti di morte e di vita, di abbandono e resurrezione, cercare di comprendere il loro alternarsi segnava una via che portava a svelare uno dei misteri.
Camminavo a piedi nudi sui sassi che mi separavano da te e sentivo quelle forme immutabili, dure, scomposte, racchiuse in una dimensione e simili tra loro, erano piccoli ostacoli, piccole rotondeggianti avventure, come quelle minuscole note che avevo avuto l'ardire di leggere e che ora, senza una ragione, invadevano il mio silenzio.
Era una melodia complessa e sommessa che esplodeva a piccoli tratti e si avventurava in grandi suoni, misteriosa e degna del fascino della sua incompiutezza.
Uno sguardo al mare e all'orizzonte e poi chiusi gli occhi e il bianco e il nero, di una antica tastiera, presero il posto di quel blu.

Quel giorno ero pensierosa, girellavo tra le dita una ciocca dei miei riccioli , ero indecisa, ma poi presi la matita, la infilai nei capelli che avevo confusamente raccolto e cominciai.
Non ero stata felice della scelta dello spartito, pensavo fosse triste e non volevo regalare i miei sforzi e le mie emozioni alla tristezza, seppure espressione di un grande, era pur sempre un pianto, il Requiem di Mozart.
Ricordo che cominciai a leggere senza entusiasmo, mi si chiedeva di interpretare l'inverno, conoscevo quella fredda stagione ed era assai difficile alimentare a tutti i costi il mio fuoco, perché mai avrei dovuto contemplare una fine?
Leggevo riluttante, sfidando la tecnica, senza impegnare il cuore, ma, ad ogni fruscio del mare segue il canto dell'acqua che si ritrae, e quella melodia nasceva piano, ancora offesa e confusa dalla mia prima volta, ma qualcosa in me rispondeva, imparai ad ascoltarla e, delicatamente, mi avvolse in ogni suo ritorno.
Una musica di note disperate in un susseguirsi di albe luminose e di tramonti travagliati e temuti, ma sola ed unica fonte di nuove e più splendenti vite.

Continuavo a camminare sui sassi e il moto perenne del mio mare, segnava il tempo dei ricordi, stringevo a me la mia sciarpa e percepivo la forza delle mie mani, le stesse che avevano ubbidito a quelle note scritte, suonando le grida di quel dolore.

Rammento che , ad ogni battuta, temevo la successiva, ma proseguivo rendendomi schiava di quella passione, toccavo l'infinito della sua espressione, vivevo quello che la sua intuizione aveva scoperto.
Accordi violenti e splendidi giochi di note, lenti trilli vanitosi accompagnati da tristi arpeggi, era dunque questa la completezza del percepire? Non porre confini ed alternare i sensi fino a confonderli per poi riconoscerli ed amarli , sognarli , invocarli , accarezzarli, in un sensuale e sublime incontro.
Non si trattava di un addio, quella musica mi regalava il suo segreto, il delirio di un genio che aveva in se la gioia dell'amore e risorgeva, sussurrando la sua vittoria sulle umane cose.
Amadeus ha avuto il dono di comprendere fino a ricreare quello che la disperazione modella nel profondo, il suo è un esplorare cauto, ma inesorabile, un avventurarsi tra i meandri della paura che diviene coraggio ad ogni brivido vissuto, è il sapere di sentirsi pervasi dalla potenza del male e anelare al bene, senza mettere mai fine a quel cammino che, in dono, porgerà l'antidoto e renderà immortali.
Assaporavo quelle emozioni, proseguivo in quel frenetico ascoltare e sentivo un'immensa grandezza entrare nel mio piccolo corpo.

Mare tu sai cosa provavo, follia di momenti, euforia di attimi che cercavo e chiamavo: blu.
L'ultimo accordo e, sfinita, mi lasciai andare, la bambina che è in me si sentì coccolata, il calore, di quello che ora era un silenzio, mi avvolgeva amico e un velo di allegria infantile copriva il mio pianto.

Mi sdraiai sui sassi scomodi di quella spiaggia e sorridevo pensando ai dispetti della natura, quei piccoli mali che sentiva il mio corpo erano semplice generosità, mi riportavano infatti ad un presente non sempre voluto, ma reale e migliore, con l'insistenza gradita degli scherzi di un compagno di giochi.
Buttai via tutte quelle punte maldestre e prima che potessi sentirne altre, vidi il cielo e mi fermai.
Il mio sguardo ricercò il mio mare, ma il suo orizzonte mi riportò al cielo, smisi di respirare per sentire sulla pelle il suo spazio e, quella profondità, fu timore e poi nutrimento .
Chiusi gli occhi, mi tuffai nel mio divenire e, poi, mi alzai e mi avvicinai a te, scoglio, odiavo la tua immobilità e amavo la tua imponenza, compresi finalmente ……. non porre confini ed alternare i sensi fino a confonderli per amarli in un sublime incontro ……. e decisi di infrangermi su di te, quello che le tue pareti avrebbero restituito al mio mare, sarebbe stato comunque migliore, in lontananza sentivo il canto delle balene e , tra i venti, un vento amico si stava già avvicinando.